Per brevità chiamato artista<small></small>
Italiana

Francesco De Gregori Per brevità chiamato artista

2008 - Caravan

04/07/2008 di Massimo Sannella

#Francesco De Gregori#Italiana

Limpido ed enigmatico come è di natura, sempre al comando del suo sogno a vapore. Viscerale ed insieme lunare. Prototipo della naturalezza criptica stemperata dalla sua fedele chitarra che non si azzitta mai, dalle sue canzoni che fanno sempre rima con libertà. Il “Principe” Francesco De Gregori torna a griffare l’alta musica d’autore con il suo linguaggio biascicato, impastato, con quella capacità – dono dei fuoriclasse – di portarsi dietro la tradizione narrante dandole sempre un nuovo senso.
“Per brevità chiamato artista” è l’ultima fatica discografica del cantautore italiano, ed è l’album della riflessione, dell’easy, una “autobiografia fantastica” per definizione dell’artista, in parte acustico e nell’altra il sè stesso di sempre, sornione poeta della polvere del Folkstudio che quì riabbraccia le passioni giovanili del country-folk ’70 picchiettato da pagliuzze rock-blues. Non un disco rivolutionaire, ma della saga DeGregoriana, di quelli che si aspettano ogni volta con trepidazione per riagganciare il discorso sospeso col precedente, come infilare nobili semi uno dopo l’altro in una collana che non ha fermaglio.
De Gregori racconta di sè stesso e degli esordi da giovane squattrinato chansonnier impegnato (“Per brevità chiamato artista”), della società malata, degli anni di piombo del ’68 (“Celebrazione”, dove l’elettrico guizzo dell’inseparabile chitarrista Paolo Giovenchi gioca forte) e dell’obbrobrio dell’oggi tra disumanizzazione e profitto (“Carne umana a colazione”). Dopo la parentesi rock-blues di (“Finestre rotte”) l’anima onirica e in un certo modo agro-scontrosa dell’artista prende il sopravvento in due stupendi episodi (“Volatola” e “L’Infinito”): pianoforte e cupezze, drammaticità e derive plumbee ( … e ho visto un grande albero con le luci spente e ho avuto un po’ di paura / Alle mie spalle il giorno si stava consumando ed ho provato un poco di tristezza ma nemmeno tanto…).
In ogni lavoro di De Gregori vive quel momento di lucida necrosi che affonda il sussulto scorrevole delle tracklist, ma sono come attimi spesi a rimestolare dentro per vedere che niente sia lasciato in disparte nella foga, e una volta appurato che l’anima è sgombra da fardelli, riprende il bandolo dello story-teller per regalarci, distribuendole nel qua e là di ogni sua produzione – caratteristica del suo modo di registrare - quelle due o tre canzoni che sublimano il senso della vita e dell’ascolto, la rinascita dopo il buio che questo grande maestro delle “utopie concrete” firma senza mai sprecare una parola o un vocalizzo in più. Ed eccole queste preziose “calligrafie sonanti”: la ballata con armonica country di “Ogni giorno di pioggia che Dio manda in terra”, “L’imperfetto”, giocata sul poetare con i verbi all’imperfetto, e la dolcissima cover di “L’angelo di Lyon”, pezzo suggestivo, scritto da Tom Russell e tradotto dal fratello musicista Luigi Grechi.
Non c’è nulla da aggiungere: “Per brevità chiamato artista” è il nuovo traguardo del songwriting intenso e viaggiante del “Principe”, cantautore che non conosce stasi o smagliature, sempre lì al comando del suo sogno a vapore; un viaggio di meno di un ora nell’intimità di un grande che, come scrisse di lui Enzo Biagi, “racconta storie e sparisce nelle sue canzoni”.

Track List

  • Per brevità chiamato artista|
  • Finestre|
  • Celebrazione|
  • Volavola|
  • Ogni giorno di pioggia che Dio manda in terra|
  • L’angelo di Lyon|
  • Carne umana per colazione|
  • L’imperfetto|
  • L’infinito

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