Francesco De Gregori Calypsos
2006 - Sony Bmg / Columbia
Anche De Gregori nel suo viaggio tra il folk-rock e la musica leggera è rimasto ammaliato da questa dea solitaria e a lei si è ispirato per questo nuovo disco, che è riuscito ad abbagliare molti.
Personalmente trovo che queste canzoni siano invece esempio di come la maggior parte dei cantautori italiani siano imprigionati in sé stessi e nei propri sentimenti: “Calypsos” è l’ennesima riflessione sull’amore attraverso le parole. De Gregori stesso ha già prodotto in passato dischi simili, meno pensati e più suonati, con canzoni migliori: rispetto alla media nazionale il suo è un discorso alto, ma comunque limitato.
Limitato già dalla copertina, povera come una fotocopia in bianco e nero, con una grafica inesistente che dovrebbe contribuire ad un prezzo di vendita ridotto. Anche perché il disco è composto da nove canzoni per una durata di trentanove minuti scarsi: un’essenzialità che a fatica cammuffa un lavoro di ordinaria amministrazione.
A differenza del precedente “Pezzi” che trovava un minimo di tensione in un rock farraginoso, questa raccolta si adagia su una manciata di ballate che nel migliore dei casi suonano come degli esercizi di scrittura: l’iniziale “Cardiologia”, solo piano e voce, che a tratti suggerisce “nuove” chiavi di lettura al tema del cuore, il folk-rock di “La linea della vita” che raccoglie immagini di esistenza e la costruzione da musica leggera de “La casa”.
A parte qualche slancio alla Dire Straits in “Mayday”, tutto è prevedibile, soprattutto quando De Gregori si appoggia troppo ai modelli della musica americana come succede in “L’angelo” e “Tre stelle”.
L’aggiunta delle vocals non porta cambiamenti significativi, anzi dà una sensazione di simil-soul che aumenta l’impaccio del risultato finale. Il canto di De Gregori poi perde l’asprezza delle ultime prove in studio e a forza di raccogliersi attorno alle ballate finisce per smarrirsi addirittura in un mezzo falsetto (“In onda”).
Troppe volte i testi si fermano a ragionare sul mistero del tempo e dell’amore che sfugge senza offrire spunti musicali in grado di emozionare: è il caso anche di “Per le strade di Roma”, ennesima dedica alla capitale con qualche ombra di storia e poco altro tra le righe.
La chiusura di “Tre stelle” è su un andamento bluesy che abbiamo già sentito troppe volte in Italia e nonostante il titolo porta ad un ulteriore abbassamento del voto finale.
“Calypsos” è un disco povero, che non aggiunge nulla al repertorio di De Gregori. Serve però almeno a capire cosa portò Ulisse a fuggire dalla dea inizialmente amata: la noia.