live report
Francesco De Gregori Cernobbio (CO) / Villa Erba
Concerto del 21/07/2024
Francesco De Gregori: un concerto, tre punti di vista
- Silvano Rubino
De Gregori. Che parla troppo. A un concerto. È proprio vero che tutto cambia. E che la senilità di questo monumento della canzone sia un progressivo percorso verso la leggerezza, anche sul palco. Guardo con un po’ di commozione i due anelli che indossa (uno all’anulare e uno al medio) e non posso non pensare che la perdita della sua Chicca abbia sicuramente pesato in questo sua strada e non so perché mentre canta Sempre e per sempre intravedo una commozione inedita. Ma forse sono mie illazioni.
Stiamo ai fatti. Cernobbio, 21 luglio, una serata di vento che spira dal lago e rinfresca gli animi, l’ex Galoppatoio di Villa Erba pieno zeppo. È la sesta tappa del suo ennesimo tour estivo. Come lui stesso ammette la scaletta non è ancora definita e cambia molto a ogni data (viene pubblicata dopo ogni concerto sul suo profilo Instagram). Ma secondo me c’è proprio la voglia di cambiare, forse un prologo alle date in autunno a Milano quando per un mese al Teatro Out Off proporrà serate con cambi di scaletta ogni sera, con brani del suo repertorio meno frequentati.
Qui a Cernobbio sorprende con una versione chitarra e voce de La Casa di Hilde, in purezza, come quel De Gregori di 40 anni fa. Con una struggente Festival, la canzone dedicata a Luigi Tenco, un feroce ritratto della crudeltà dello star system sanremese, potente, commovente, attuale. Con una divertita L'Uccisione di Babbo Natale (“dovevo essere proprio di cattivo umore quel natale”). Con un Guanto introdotto da una lunga e colta spiegazione (l’ispirazione è una serie di tavole dell’artista tedesco Max Klinger). Con Il vestito del violinista, potentissima fatta live, del suo filone antimilitarista, mai così attuale.
- Laura Bianchi
E già questo sarebbe sufficiente a incorniciare un concerto perfetto: il Capo ci guida, ci invita, ci spiega come interpretare le sue canzoni più ermetiche.
La chiave di questa atmosfera inedita e piacevole, forse, sta nello spirito con cui il cantautore ora interpreta la propria sterminata produzione, sterminata e sterminatamente famosa (mi aspettavo suoi - e miei - coetanei, ci trovo anche trentenni non ancora nati quando quei pezzi sono stati composti). Introducendo Gambadilegno a Parigi, lui dichiara: "Le canzoni esulano dal protocollo, forse è per questo che le mie non si capiscono: come Gambadilegno a Parigi che sogna Atene."
Sta qui, credo, la lente attraverso cui leggere la nuova veste con cui le canzoni si presentano: fuori da ogni protocollo, il Capo ha dato ordine ai suoi eccellenti musicisti di costruire un percorso autentico e originale, che comprendesse quelli che un tempo si chiamavano "grandi successi", ma anche - e si direbbe soprattutto - rarità assolute, compresa quella Mannaggia alla Musica scritta per Ron, e che ora riemerge con una vena autobiografica.
Vedendo la corista Francesca La Colla sul palco, in molti pensano che sia un modo per supportare De Gregori nei punti critici di partiture non sempre facili da interpretare; invece la sua voce sembra immune al passare dei decenni, ed emerge con tutta la sua potenza espressiva, che sia nell'equilibrio tra vuoti e pieni (Atlantide, San Lorenzo, Il cuoco di Salò), o nella delicatezza dei brani più intimistici (Sempre e per sempre), per non parlare dello splendido duetto con Angela Baraldi, (già ammirata nel suo opening act), a riscoprire l'enigmatica e profetica bellezza di un primo capolavoro di Lucio Dalla, Anidride Solforosa.
Merito anche di una band stellare, dal capo orchestra Guido Guglielminetti al basso, al polistrumentista Alex Valle, sempre più imprescindibile, passando per il pianista lirico Carlo Gaudiello, i sapienti tocchi di hammond di Primiano Di Biase, senza dimenticare gli assoli di chitarra di Paolo Giovenchi e l'energia della batteria di Simone Talone.
Quando canta gli ultimi versi di Mannaggia alla musica è impossibile non pensare a lui, al suo suonare da decenni, alla sua sigaretta fumata sul palco, mentre ci saluta sorridendo:" la sera quando smette di faticare/ si sente libero come una piuma/ chiude nel fodero la fisarmonica e ne accende una / e poi pensa "Mannaggia alla musica / dopodomani gli dico addio" /ma poi si siede in faccia al golfo di Napoli / e ringrazia Dio".
Ringraziamo anche noi il dio della musica, perché siamo contemporanei di Francesco De Gregori.
- Valerio Corbetta
Interno Due. Scompartimento del Frecciarossa Roma-Milano, periodo qualunque della sua carriera: il ragazzo si ritrova di fronte proprio lui, il suo riferimento musicale, filosofico, poetico. Rimane bloccato, sa che lui non è che sopporti i fan che lo importunano: quindi se ne sta seduto ad osservarlo di sottecchi, sperando di incrociarne lo sguardo, magari per offrirgli un sorriso. Niente: quello legge e prende appunti. Il treno arriva in stazione Centrale, il ragazzo e il suo riferimento musicale, filosofico, poetico, scendono. E a quel punto il ragazzo prende il coraggio a due mani, lo affianca e gli dice: “Grazie Francesco, volevo solo dirti grazie perchè so che non ti piace essere disturbato”. E lui di rimando: “Ecco, eri stato perfetto fino ad ora: perchè devi rompere i coglioni proprio alla fine?”. Tutto riportato tipo “mihaddettomiocuggino”, stile leggenda metropolitana ma assolutamente credibile rapportato alla leggenda misantropica che lo circonda.
Esterno Uno. Cernobbio, Ex Galoppatoio, 21 luglio 2024, periodo attuale della sua carriera. Lui che parla, interagisce col pubblico, addirittura saluta qualche vecchia conoscenza sotto il palco, spiega e introduce sei-sette pezzi, sorride, si fuma un paio di sigarette, beve acqua (all’inizio) e un paio di calici di vino. La voce è sempre quella, anzi: rispetto a qualche esibizione degli ultimi anni è anche più pulita, calda quando va a cercare tonalità profonde e secca quando deve urlare di rabbia. La pancetta che spunta sotto la maglietta nera è un altro segno che è un De Gregori diverso, più vicino al suo pubblico col quale scherza sull’età (di chi sta sopra e sotto il palco), le critiche al suo carattere ombroso e la poca loquacità. La band lo sorregge quando c’è da picchiare duro, rockeggiando qualche arrangiamento e lasciando spazio allo scarno appoggio della chitarra acustica o del pianoforte se c’è da rallentare e mettere in primo piano il testo, quelle sue parole precise, ricercate, mai casuali ma piuttosto profonde, a volte coperte da mistero che rimarrà nonostante qualche tentativo di spiegarne la genesi.
Atlantide ti fa capire che se non stai attento rischi di ritrovarti ad asciugarti gli occhi. San Lorenzo, Festival e Il cuoco di Salò ti tagliano in due. Meno male che Rimmel e “the last waltz” di Buonanotte Fiorellino riportano tutto in modalità festaiola e si esce dal parco galleggiando a mezz’aria, abbracciando amici e sorridendo felici. Perchè col Principe è sempre così: ti emozioni, chiudi gli occhi e voli là dove quel pezzo ti aveva trafitto, li riapri e ricominci. Da quasi mezzo secolo. Sempre e per sempre. Dalla stessa parte.
Setlist
Sento il fischio del vapore
Il vestito del violinista
La casa di Hilde
Piano bar
Atlantide
Festival
Pezzi di vetro
Un guanto
L'uccisione di Babbo Natale
Gambadilegno a Parigi
I matti
Generale
Il cuoco di Salò
San Lorenzo
La leva calcistica della classe '68
Sempre e per sempre
La donna cannone
Encore:
Mannaggia alla musica
Anidride solforosa
Rimmel
Buonanotte fiorellino