Artisti Vari God Don`t Never Change - The Songs of Blind Willie Johnson
2016 - Alligator Records / IRD
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Blind Willie Johnson era un texano non vedente figlio del blues rurale, poverissimo, vissuto in una emarginata condizione sociale minata dal razzismo , trovò nella musica un veicolo di sfogo alla propria sofferenza e la possibilità di raccogliere qualche spicciolo per vivere. Dotato di una vocalità vibrante, intensa e viscerale, capace di variare su più registri, e di un originalissimo, sapiente uso della slide guitar, Willie Johnson iniziò a predicare il suo seminale gospel blues con una ferocia emozionale da lasciare senza fiato. Il suo canto intenso esprimeva dolore e speranza, la musica in lui non è era il fine ma il mezzo, aveva urgenti cose da dire a dio e le diceva con tutta la forza che aveva. La sua musica, devastante e sensibile al tempo stesso, univa sacro e profano, spiritual e blues rurale e aveva in se il senso dell’assoluto, della tensione spirituale, profonda , quasi ultraterrena. La sua enorme influenza ai posteri (ancora oggi difficilmente quantificabile) è passata inizialmente da figure importanti, tra i tanti, come il Rev. Gary Davis, Sister Rosetta Tharpe e Leadbelly, per poi arrivare a tutte le varie e moderne correnti black, soul e r&b. Fu ucciso dal razzismo perché era nero e cieco, la sua richiesta d’aiuto ad un ospedale di Beaumont per una malattia infettiva fu respinta e morì nel letto di casa sua nel settembre del 1945.
Inoltre, la sua esistenza avvolta tra mistero e leggenda aveva le caratteristiche dei grandi romanzi (interessante la biografia “Revelation” di B. D. Blakey o l’approfondimento “Shine A Light”) e del miglior cinema (sono a firma Wim Wenders le immagini del documentario “L’anima di un uomo” prodotto da Martin Scorsese) .
Ma torniamo al presente: dopo tanti suoi pezzi interpretati negli anni da personaggi rock di spicco come Bob Dylan, Rolling Stones, Van Morrison, Led Zeppelin, Ry Cooder, Eric Clapton, etc…è arrivato il sospirato tributo God Don’t Never Change -The Songs of Blind Willie Johnson , nato dal desiderio ardente di Jeffrey Gaskill, dopo diversi anni di lavoro dedicati soprattutto alla ricerca dei fondi necessari.
Il disco è bello, ha momenti più o meno ispirati, si fa ascoltare con estrema piacevolezza e gli artisti scelti hanno caratteristiche ideali per nobilitare l’ottima selezione del repertorio, i pezzi più importanti ci sono tutti.
Inutile dire che Lucinda Williams è in un periodo particolarmente ispirato e che anche qui fa la parte del leone su ben due brani: nella splendida versione di It’s Nobody’s Fault But Mine, con la slide in evidenza, la voce indolente della Williams perde riferimenti gospel ma vive quell’inquietudine che per certi versi lo stesso BWJ approverebbe a pieni voti. In God Don’t Never Change , che sembra uscire da uno dei suoi ultimi albums e che spesso include nei suoi concerti, con una coinvolgente progressione la cantautrice americana perfeziona ulteriormente il sound, fa ancora suo il pezzo e cosa mai scontata: emoziona davvero. Pur rigenerando i suoni Lucinda riesce a far percepire ancora oggi i colori emozionali del sangue e delle rose, degli inferi e della redenzione, che scorrono sulla lama di un rasoio dove pericolo e bellezza si confondono e si fanno mistero di vita. Forse la cosa migliore del tributo.
L’altro protagonista assoluto del tributo non poteva essere che un vero erede vocale di Blind Willie Johnson: Tom Waits. Anche per lui due pezzi: la sua interpretazione di The Soul of AMan è grande, la velocizza, limita sapientemente l’uso della slide e la sua voce, ideale e sconvolgente, sembra riportarci indietro di un secolo, magicamente. Unica nota stonata: il coretto femminile “somebody” sembra eseguito con uno stampino automatico campionato. Notevole e senza difetti John The Revelator , dove l’espressività devastante di Waits trova una dimensione apocalittica ma ancorata alle origini , alienata ma ancora terrena, tremendamente terrena.
Gli altri episodi salienti mettono in risalto Derek Trucks e Susan Tedeschi, che offrono una versione molto bella di Keep Your Lamp Trimmed and Burning, in piena sinergia con gli intensi intenti spiritual originali; in Jesus Coming Soon i Cowboy Junkies recuperano il ritornello originale di Willie Johnson e lo usano nel pezzo, un’integrazione indovinata che si arricchisce di feedback e ritmo sostenuto, mentre Trouble Will Soon Be Over di Sinead O’Connor ha una intensità che irradia, la musicista irlandese sembra davvero aver colto lo spirito del pezzo pur usando sonorità decisamente moderne.
Meno riuscite Mother’s Children Have a Hard Time dei Blind Boys of Alabama, dove la dimensione puramente gospel annulla la tensione emotiva che il pezzo richiederebbe, l’abbastanza insipida Bye and Bye I’m Going To See The King reinterpretata da Luther Dickinson e purtroppo Let It Shine On Me, uno dei brani più spiritualmente lucenti e saccheggiati in assoluto di tutto il pre-war blues, dove Maria Mckee non riesce a trovare le corde giuste. Poca miglioria nell’inedita versione cantata da Rickie Lee Jones della celeberrima Dark Was The Night, Cold Was The Ground.
Ovviamente disco consigliatissimo a tutti gli appassionati della scena roots americana ma soprattutto a coloro che non hanno mai conosciuto i dischi originali di Blind Willie Johnson: sono convinto che alla fine questo nobile progetto possa rappresentare la più facile e necessaria porta d’accesso alla vostra futura redenzione*.
* The Complete Blind Willie Johnson (1993), il doppio cd della Columbia , probabilmente preferibile alle edizioni Yazoo (suono pulitissimo ma troppo disturbato), raccoglie tutti e trenta i pezzi registrati dal 1927 al 1930. Un capolavoro da far conoscere agli alieni (ma forse il Voyager Golden Records c’ è già riuscito).