Artisti Vari

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Artisti Vari I migliori dischi del 2016

22/12/2016 di Autori vari

#Artisti Vari#Rock Internazionale#Alternative

Speciale sui migliori dischi italiani e internazionali del 2016 con playlist con i brani più interessanti dell'anno da ascoltare e i commenti dei nostri collaboratori
Il 2016, è noto, è stato un annus horribilis per la musica, in cui le classifiche si sono amaramente confuse con i necrologi; tuttavia non sono mancate affatto anche in questi dodici mesi uscite significative, tra nuovi nomi e artisti storici ancora in ottima forma.

Degni di nota sono il ritorno di Peter Wolf, che con A Cure For Loneliness ha realizzato uno dei dischi più belli in carriera, e di Michael McDermott, il suo Willow Springs commuove per intensità. Ryley Walker si conferma grande talento, mentre dalla California spunta Weyes Blood e si afferma come nuovo nome su cui puntare. Toussaint e Bowie non sono più tra noi facendo parte di quella folta schiera che purtroppo nel 2016 è passata a miglior vita, ma ci hanno lasciato con due splendidi dischi; netta e inconfondibile poi la classe di Madeleine Peyroux (con l’intenso Secular Hymns) e Lucinda Williams, tornata con un disco intimista che raccoglie ricordi e storie ripercorrendo la Highway 20. Tra gli italiani che suonano molto americano si può iniziare parlando del nuovo splendido lavoro dei Lowlands, che ci ripropongono la scaletta dell'ultimo concerto di Townes Van Zandt (Londra dicembre 1996 pochi giorni prima della sua prematura morte). Questo album è arrivato giusto a dicembre a nobilitare ulteriormente un anno molto interessante per i dischi italiani che guardano all'America, tra i quali si sono segnalati gli eccellenti: Daniele Tenca, Jimmy Ragazzon, Luca Milani, Cesare Carugi, John Strada, Charlie Cinelli e 106 aka Marcello Milanese.

Ancora tra gli artisti internazionali che hanno segnato l’annata Cohen con l’album di addio You Want It Darker, Nick Cave con il suo disco molto probabilmente più intimo e drammatico, così come i Radiohead, che sono tornati con un album ispirato, molto influenzato da interessi e ricerca musicale di Jonny Greenwood (ma anche, nei temi, dalla fine della lunga relazione di Thom Yorke con Rachel Owen, deceduta purtroppo anche lei in questi giorni) e anticipato da un’efficace quanto discussa scomparsa temporanea da tutti i social network.

Ottimi riscontri hanno ottenuto in redazione tra i cantautori nostrani nomi come Vinicio Capossela, che ha continuato le sue ricerche appassionate e certosine nel repertorio di racconti e canti popolari, ma soprattutto Michele Gazich, che nel suo settimo lavoro ha raccontato le contemporanee Vie del sale attraverso città distrutte, migrazioni e barricate, adoperando una scrittura “carsica” e cercando di ricostruire un folk-rock tutto italiano. Da ricordare ancora un’uscita preziosa e delicata come Una somma di piccole cose di Niccolò Fabi, il doppio album articolato e lancinante degli Afterhours, lo spessore pensoso, le atmosfere malinconiche e la qualità musicale del progetto Spartiti di Max Collini (Offlaga Disco Pax) e Jukka Reverberi (Giardini di Mirò) o l’eleganza abrasiva e lo stile di Nada. Menzione speciale meritano poi tre debutti, il primo album da solista di Ermal Meta, che inserisce un cuore di rara sensibilità in ottime canzoni in bilico tra cantautorato e pop, quello di Motta, che ha investito l’esperienza maturata nei Criminal Jokers in un disco in italiano dal notevole peso specifico prodotto da Riccardo Sinigallia, così come la nuova avventura musicale di Carmine Tundo (questa volta con la sorella Isabella) ne La Municipàl, duo che ha pubblicato un album agrodolce e affascinante, fruibile, ma anche dalle ampie risonanze interiori. Dulcis in fundo, album di conferma e di successo per Cosmo, tra riflessioni synth-pop, ballabilità e lievità solo apparente.

Qui sotto trovate l’elenco completo dei 20 dischi internazionali e dei 26 album di artisti italiani più apprezzati dai nostri redattori (in ordine alfabetico); lo strano numero “26” è frutto di molteplici ex aequo nelle votazioni interne e della varietà di generi in cui Mescalina cerca di spaziare, dal blues al folk, dal pop al cantautorato, dal synth-pop al post-rock. Seguono anche due playlist, una made in Italy e una con artisti internazionali, con le migliori canzoni scelte dai collaboratori di Mescalina, anche in questo caso in un ampio spaccato di stili e generi musicali, e infine i commenti dei redattori che hanno voluto/potuto presentare la loro selezione di dischi e brani del 2016.

Buon ascolto e buone feste da Mescalina.it!

Ambrosia J.S.Imbornone e Gianni Zuretti

 

I dischi internazionali dell’anno, selezionati da Mescalina.it

Bon Iver, 22, A Million
David Bowie, Blackstar
David Bromberg Band, The Blues, the Whole Blues and Nothing but the Blues
Nick Cave, Skeleton Tree
Leonard Cohen, You Want It Darker
Ben Glover, The Emigrant
Beth Hart, Fire on the Floor
Iggy Pop, Post Pop Depression
Michael McDermott, Willow Springs
Mudcrutch, 2
Radiohead, A Moon Shaped Pool
The Rolling Stones, Blue and Lonesome
The Stray Birds, Magic Fire
Allen Toussaint, American Tunes
Van Morrison, Keep Me Singing
Ryley Walker, Golden Sings That Have Been Sung
Bob Weir, Blue Mountain,
Weyes Blood, Front Row Seat to Earth
Lucinda Williams, The Ghosts of Highway 20
Peter Wolf, A Cure for Loneliness

   

I dischi italiani dell’anno, selezionati da Mescalina.it

106, The Rope
Afterhours, Folfiri o Folfox
Vinicio Capossela, Canzoni della Cupa
Cesare Carugi, Crooner Freak
Charlie Cinelli, Rio Mella
Cosmo, L’ultima festa
Niccolò Fabi, Una somma di piccole cose
Michele Gazich, La via del sale
Massimiliano Larocca, Un mistero di sogni avverati, Massimiliano Larocca canta Dino Campana
Lowlands and Friends, Play Townes Van Zandt’s Last Set
Ermal Meta, Umano
Luca Milani & The Glorious Homeless, Fireworks For Lonely
La Municipàl, Le nostre guerre perdute Hearts
Motta, La fine dei vent’anni
Nada, L’amore devi seguirlo
Fabrizio Poggi and the Amazing, Texas Blues Voices
Jimmy Ragazzon, Songbag
Daniele Silvestri, Acrobati
Federico Sirianni, Il santo
Spartiti, Austerità
John Strada, Mongrel
Daniele Tenca, Love Is the Only Law
Tolo Marton, My Cup of Music
Tre Allegri Ragazzi Morti, Inumani
Peppe Voltarelli, Voltarelli canta Profazio
The Zen Circus, La terza guerra mondiale

 


Hanno votato per stilare l’elenco dei migliori dischi del 2016 e/o hanno contribuito alla playlist Laura Bianchi, Barbara Bottoli, Pietro Cozzi, Veronica Eracleo, Alfonso Fanizza, Andrea Furlan, Carlotta Garavaglia, Fausto Gori, Ambrosia J.S.Imbornone, Matteo Manocci, Francesco Malta, Arianna Marsico, Marcello Matranga, Mauro Musicco, Aldo Pedron, Federico Sponza, Giuseppe Verrini e Gianni Zuretti.

 

I commenti dei nostri collaboratori

ITALIANI
Larocca, Voltarelli, Rondelli: perché, quando un cantautore incontra un poeta, un cantastorie, un uomo che proviene da un’altra epoca, il cantautore, se è sensibile, si arricchisce di bagliori inaspettati, e regala luce a chi lo ascolta.

Sirianni, Carrieri: perché, quando in un disco ci sono almeno tre piccole perle, quel disco diventa un gioiello, che illumina il senso di tutto un percorso.

Crabuzza: perché l’Italia ha una ricchezza inestimabile, ossia le sue lingue, crocevia di infiniti percorsi, e le isole sono più vicine al continente, se chi le canta abbraccia con vero amore le origini comuni.

Tenca, Piu, Carugi, The Mamabluegrassband: perché in Italia esistono musicisti che, con profondità, umiltà e bravura, solcano l’Oceano per scoprire un’altra volta l’America, e tornano a casa con energia, allegria e passione.

STRANIERI

Tricca&McNiff, Collins&Hest: perché, per intrecciare chitarre e voci, bisogna essere in due, avere un cuore grande, rispetto per il passato e lo sguardo aperto al futuro.

McDermott, Glover, Dickinson: perché la grandezza di un uomo, quando imbraccia una chitarra e dà voce ai propri sentimenti, si misura nell’equilibrio fra esperienza e freschezza, spontaneità ed eleganza; e perché un uomo è grande quando sa commuoversi e commuovere.

Williams, Hart, Blood: perché la grandezza di una donna, quando crea un mondo musicale, si misura nell’equilibrio fra fragilità e forza, tenacia e sensibilità; e perché una donna è grande quando nella voce mette cartavetrata e velluto.

Stray Birds, Avett Brothers: perché, in una band, le harmonies sono esattamente quello che dice la parola: la ricerca dell’armonia attraverso un amalgama perfetto fra strumenti e voci, in un’alchimia che riscalda e rasserena.
Laura Bianchi

 

Tra tutte le uscite italiane nel 2016 sono apprezzabili gli album che hanno saputo unire sperimentazione e la parte più classica della cultura musicale; tra questi spicca Profondo blu di Emiliano Mazzoni che è riuscito a proporre un vero e proprio rapimento emotivo. Sono molti gli artisti che si possono definire coraggiosi per la loro attualità, come Carlo Martinelli che in Caratteri Mobili presenta un EP con l'imponenza di un album, e chi invece sceglie di stravolgere le regole del cantautorato moderno con un album diretto, immediato come un live per Losburla con Stupefacente.
Dopo anni di attesa, quest'anno, una certezza e sempre una scoperta ad ogni ascolto con gli Acrobati di Daniele Silvestri con la sua indiscutibile capacità di mescolare suoni e parole, oltre ai suoni delle parole.
Ermal Meta con Lettera a mio padre e Odio le favole firma i brani pop più intensi del 2016.
Barbara Bottoli

 

Risalire la corrente del “fiume” musicale che ha attraversato l'annata non è un'impresa facile, soprattutto in un'epoca di apparente abbondanza – tanti dischi, forse troppi, tutti subito a disposizione – e sostanziale inaridimento: di vendite, di interesse, forse anche di ispirazione. È un fiume che guarda più alla foce che alla sorgente, immerso nell'oscurità delle domande ultime e illuminato dalla “stella nera” (ma coloratissima di jazz e stile) di Bowie, dalla voce insostituibile del compianto Leonard Cohen e dal minimalismo modernista e sofferto di Nick Cave.

Una musica ormai matura la nostra, e di una maturità feconda (vedi anche l'ultimo, inaspettato Crosby), a caccia di un mainstream perduto e di un baricentro di “classicità” intorno a cui ritrovarsi tutti, al di là dei legittimi e sempre più parcellizzati gusti personali. Gli ultimi eroi rock di massa risalgono agli anni Ottanta, o forse Novanta. Cosa consiglierei quindi a mio figlio adolescente qualora mi chiedesse di iniziarlo al rock con le produzioni del 2016? Forse il non più giovanissimo Alejandro Escovedo, che è ormai un classico a tutti gli effetti, e Burn Something Beautiful l'ennesima conferma; e sicuramente, nella generazione degli anni Novanta, Lydia Loveless, che con Real allarga il cerchio del suo orizzonte sonoro, tra energia punk e carezze pop. Anche P.J. Harvey non smette di stupire, regalandoci un disco “totale” per varietà di ispirazioni e ricchezza di arrangiamenti, tra violini orchestrali e ruvidi sax baritoni.

Fin qui dunque le foci, e il corso centrale del fiume, ma c'è anche chi ha guardato alle sorgenti, un po' per mestiere (lo spettrale Tony Joe White e il commovente, ultimo, Allen Toussaint), un po' per scelta (gli Stones). E anche sul versante italiano si segnalano due compiuti concept-album che parlano delle nostre radici, lungo La Via Del Sale di Michele Gazich e nell'Alta Irpinia arcaica e contadina della Canzoni della Cupa, rivisitata da Vinicio Capossela. Sorgenti, radici, origini: pronti a ripartire?
Pietro Cozzi

 

Blackstar di David Bowie è un’opera straordinaria, un disco sperimentale immerso in ambientazioni cupe e post-punk nel quale la migliore tradizione pop si mescola all’avanguardia.

You want it darker di Leonard Cohen è il testamento poetico di un’artista in grado di emozionare come pochi. Un’opera maestosa, l’ultima, in cui poter assaporare la sua straordinaria voce.

Give a Glimpse of What Yer Not dei Dinosaur Jr. è una scarica d’adrenalina allo stato puro.

Skeleton Tree di Nick Cave è il contenitore emotivo nel quale il dolore, la rabbia e l’angoscia per la perdita diventano pura creatività.

Hippie dixit d’Amerigo Verardi è un’opera priva di compromessi, carica di tensione e desiderio, uno stile ed un’espressione cantautoriale, stralunata e genuina, unici nel suo genere, dove la psichedelia e le sperimentazioni si mescolano con le migliori intuizioni pop e la musica terapia.
Alfonso Fanizza

Nel mio personale cartellino degli album migliori dell’anno figurano al primo posto due dischi che mi hanno particolarmente impressionato non solo per il loro intrinseco, alto, valore musicale ma anche e soprattutto per il più ampio contesto letterario in cui si muovono, un valore aggiunto che li rende decisamente affascinanti. The Ghosts of Highway 20 di Lucinda Williams è un lungo viaggio psicologico, a tratti emotivamente molto impegnativo, attraverso il quale l’autrice esorcizza i propri fantasmi mettendosi a nudo in tutta la sua fragilità descrivendo con lucidità i sentimenti spesso contrastanti dell’animo umano; la presenza e i suoni di Bill Frisell rendono l’opera imprescindibile. Michele Gazich con La via del sale ci consegna il suo album più bello e importante: la denuncia dei nostri mali e la celebrazione della fine di un modo rivelano il pensiero profondo di un artista che penetra la realtà con sguardo tagliente, un’opera che mette in moto la mente e fa riflettere sui valori fondamentali che ci rendono umani, il tutto accompagnato da una splendida musica che recupera alla modernità le nostre tradizioni.

In ordine sparso, senza una particolare classifica, indico i nomi che più mi accompagnato durante l’anno nei miei percorsi musicali. Tra gli italiani un posto di assoluto riguardo lo occupa Vinicio Capossela con le sue Canzoni della Cupa: doppio, corposo, album che recupera la musica tradizionale alla luce del suo personalissimo stile, senza correre il rischio di noiose interpretazioni filologiche, anzi colmandola di vita. Seguono sul filo di lana Songbag di Jimmy Ragazzon, il disco di una vita, Lowlands and Friends Play Townes Van Zandt’s Last Set con cui Edward Abbiati si cimenta alla grande nella lettura del songbook del grande texano, Il ritorno dell’indiano dei redivivi Del Sangre, energico rock fiero, potente, appassionato, scritto da chi non piega la testa ma procede con determinazione sulla sua strada. Degni di nota Daniele Tenca e il suo fantastico blues elettrico, Carlo Ozzella che ha pubblicato un ottimo secondo lavoro, John Strada, Jama Trio e Fabrizio Poggi. Tra gli internazionali segnalo Blue & Lonesome dei Rolling Stones, stupendo album di blues dai numeri uno al mondo, Willow Springs di Michael McDermott, songwriting urbano e rock’n’soul ad alto tasso emotivo, The Emigrant di Ben Glover e a seguire John Prine, Willie Nile, David Bromberg Band, Willie Sugarcapps, Parker Millsap (giovanissimo ragazzo che scrive con grande maturità) per finire con Hayes Carll.
Andrea Furlan

Nell'anno del Nobel a Bob Dylan la poesia e la sperimentazione vincono su tutto. Ho scelto degli album che a livello testuale non si limitano a uno sproloquio di lamentele sul presente e di luoghi comuni sui sentimenti dell'uomo. Ciascuno degli autori menzionati, a modo loro e con la propria cifra stilistica, mi ha comunicato qualcosa, mi ha fatto emozionare e sorprendere. Molti di loro li ho visti in concerto e la poesia è arrivata forte e chiara anche durante i live. Ci sono le vecchie rocce come Vinicio Capossela che ha fatto un doppio album poetico: Canzoni della Cupa diviso in Polvere, che parla di terra, lavoro, sole, vita, e in Ombra che parla di racconti, leggende e mistero. C'è poi Daniele Silvestri che con Acrobati mi ha fatto sognare e gli Winstons (Dell'Era, Gabrielli e Gitto) che con l'omonimo album hanno rilanciato un prog-rock da capogiro. Poi ci sono Dente, che non sbaglia un colpo e che qualsiasi cosa tocca la rende poesia e i Tre Allegri Ragazzi morti che con Inumani hanno prodotto un disco fresco e giovane ma allo stesso tempo che suona come un sunto della carriera della band. E poi le nuove leve, Cosmo primo fra tutti che ha fatto un album bellissimo scardinando le regole del pop italiano e la sincerità assoluta di un gruppo come La Rappresentante di Lista su cui voglio scommettere per il futuro.

Del 2016 fuori dai confini italini mi porto via sicuramente Blue & Lonesome degli Stones, simbolo del fatto che a settanta e passa anni la creatività e il genio musicale sono vivi e vegeti. Un altro ritorno alle origini che ho apprezzato è stato quello di Sting con 57th & 9th e quello di Iggy Pop affiancato da Josh Homme in Post Pop Depression. Come non citare Black Star di David Bowie? L'ultimo estero è una collaborazione tra Jonny Greenwood, Shye Ben Tzur, Rajasthan Express Orchestra si chiama Junun e vi farà viaggiare lontano.

Le mie canzoni dell'anno? Good Grief dei Bastille, Come la neve di Boosta ft Luca Carboni, La mia casa di Silvestri, L’ultima festa di Cosmo e Pink Balloon di Ben Harper.
Carlotta Garavaglia


 

Le vicende artistiche e personali delle più grandi figure rock hanno condizionato gran parte di questo intenso anno musicale segnato fortemente da parole di dolore, morte e salvezza. Bowie, Cave e Cohen ci hanno fatto entrare dentro le loro vite, vissute fino all’ultimo secondo, senza barriere, in modo diretto, drammatico, ci hanno dato arte funerea ma autentica, quasi persa nelle tenebre ma ancora legata a una flebile luce avvolta di speranza e redenzione. Comunque a equilibrare gli umori c’hanno pensato, in modo inaspettato e trionfante, Bob Dylan con il Nobel per la letteratura, Van Morrison che è tornato alla dimensione cantautorale, al misticismo romantico, con il suo disco più bello di questo millennio e due grandi progetti legati alle origini del blues: quello dei Rolling Stones che hanno fatto uno dei dischi di cover più riusciti di sempre e lo splendido tributo fondato sulla figura leggendaria di Blind Willie Johnson.
Fausto Gori

 

A inaugurare il 2016 in musica è stato purtroppo il momento in cui Bowie ci ha ricordato di essere immortale; la morte è lo sfondo terribile che ci ha regalato gli album in cui rispettivamente Cave e Agnelli si sono mostrati più vulnerabili e umani (altrettanto disarmante Conor Oberst, che ha messo a nudo la sofferenza seguita all’infamante, falsa accusa di stupro). Il 2016 ha dato vita però a tante altre creature musicali splendide; tra le cantautrici si segnalano l’intensità da pelle d’oca e la profondità di Mitski, il fascino torbido di Emma Ruth Rundle, la voce ‘70s di Weyes Blood, ma anche in Italia la classe e il carisma di Verdiana Raw e il calore intimo e oscuro di Mimes of Wine. Ancora tra i dischi italiani, si ricordano ad es. delicatezza e spessore di Fabi e del progetto Spartiti, i primi album-rivelazione di Motta e La Municipàl; nota di merito anche il nuovo album di Jonathan Clancy (His Clancyness), quasi un’antologia del rock indipendente.
Ambrosia J.S.Imbornone

 

Il 2016 è stata un'annata particolare per la musica italiana. Un discreto quantitativo di buoni dischi in cui forse viene a mancare la vera e propria pietra miliare. Tanti generi vengono ben rappresentati ma soprattutto il pop, che sia d'autore (Niccolò Fabi, Vinicio Capossela) o che sia di più largo consumo ( I Cani, Motta, Cosmo).

Un disco complesso segna il ritorno in grande stile dopo un paio di flop per gli Afterhours, I Cani sembrano aver trovato ormai la loro dimensione con il loro terzo album, mentre per gli Zen Circus si tratta di una conferma dopo tanti ottimi lavori.

Ma la nota di gran lunga più positiva è l'ottima annata per i giovani. Motta, Cosmo, Novamerica, Alysir ( ma ce ne sarebbero tanti altri) e volendo anche gli stessi Cani rappresentano quel nuovo che ha voglia di emergere e che verosimilmente ci sta finalmente riuscendo.
Francesco Malta

 

Se dovessi associare una parola alla musica del 2016, direi “dolore”: lo stesso dolore che attraversa due grandi dischi usciti quest'anno come Blackstar del mai troppo compianto Bowie o Skeleton Tree di Nick Cave.

Ma non è tutto così nero: i dischi di Frank Ocean e Bon Iver (attesi rispettivamente da 4 e 5 anni) hanno causato un polverone mediatico che, appena si è dissolto, ha lasciato spazio al solo lavoro dei due musicisti; complesso, contemporaneo, mai banale o pomposo. Una volta andati fuori dai tempi e dagli spazi del mercato sono riusciti ad alzare di molto i propri standard regalandoci due dischi di cui probabilmente porteremo memoria negli anni a venire.

Chance the Rapper è invece riuscito a far cadere un importante muro, riuscendo a far capire ai Grammy che i tempi sono maturi per considerare anche i dischi disponibili solo per lo streaming.

L'Italia, al contrario, preferisce rifugiarsi in un infinito loop di canzonette e revival-“cantautorale” buono per tutte le stagioni. Personalmente, resto in cantina sperando in un 2017 migliore.
Matteo Mannocci

 

Nonostante le apparenze il 2016 non è stato avaro di soddisfazioni per la musica italiana. Se ripenso ai concerti seguiti quest’anno in buona parte sono di artisti italiani. E non è provincialismo, quanto gioia nel vedere che ci sia qualcosa di bello anche qui. Che a volte esordisce in modo lancinante e disarmante come La fine dei vent’anni e la sua Sei bella davvero che balla anche con gli occhi rossi. Che a volte non è perfetto, ma ti tira certe botte al cuore come L’anima non conta degli Zen Circus. Che diventa autopsia del dolore e ricerca di salvezza, come in Grande degli Afterhours, tornati con una formazione rinnovata e coesa con Folfiri o Folfox. Che è verace e dolente come solo certa romanità sa essere, come il Fiore de niente de Il muro del canto cresciuto in un Roma abbrutita e disorientata messa molto peggio di quella da cui Remo Remotti se ne andava in Mamma Roma. Che rileggendo Profazio apre uno squarcio su una terra spesso dimenticata come la Calabria, come fa Peppe Voltarelli in Voltarelli canta Profazio. Che sempre dalla Calabria ci dà i piccoli squarci di Affetti con note a margine di Carmine Torchia.

Il 2016 però ha anche giocato sporco, togliendoci David Bowie. Il quale ci lascia un Blackstar così intenso ed elegante da sembrare un arrivederci e non un addio. Iggy Pop con Post Pop Depression torna sulla scena con un suono più composto ma non meno vigoroso. E poi c’è Nick Cave, che con Skeleton Tree con commoventi elegie come I need you cerca di superare il dolore più assurdo che un padre possa provare, quello della perdita di un figlio.

Tra gioie, riscoperte e tantissime perdite (si è cominciato con Bowie e poi Prince e non solo, e da ultimo Greg Lake) il 2016 la lasciato molti dischi interessanti. Ed in ambito italiano oltre ai nomi citati ha mostrato un terreno piuttosto fertile, che fa sperare in un 2017 ancora migliore.
Arianna Marsico



Un anno ricco di qualità, con un deciso passo in avanti specie per i musicisti italiani che hanno saputo dare corpo a produzioni che, in molti casi, si avvicinano a quelle di molti loro colleghi stranieri. Se può non sorprendere che l’unico “nome famoso” sia quello di Capossela fra gli italiani, tutti gli altri sono musicisti con i fiocchi. Alcuni di loro sono realtà consolidate a partire da Tolo Marton che prosegue un percorso personale fatto di molti concerti e rare uscite discografiche come il recentissimo My Cup Of Music. Si consolidano i Fargo, una band che meriterebbe un maggior riscontro tra gli appassionati, mentre meritano una segnalazione gli Stolen Apple che con il loro Trenches hanno saputo guadagnarsi la nomination, grazie ad un Rock ad ampio spettro che rivolge un occhio a sonorità molto interessanti. Bravissimi i Lowlands che compiono un atto d’amore verso Townes Van Zandt, intenso come mai La via del sale di Michele Gazich, splendido il lavoro di Fabrizio Poggi che sceglie di mettersi al “servizio” di grandi voci blues. Daniele Tenca si conferma tra le realtà consolidate, mentre Charlie Cinelli con lo splendido Rio Mella ci regala in disco di splendida musica americana che si fonde con i testi in dialetto bresciano. Jimmy Ragazzon lascia momentaneamente i Mandolin Bros. per regalarci la sua personale visione musicale, pescando dal repertorio altrui una serie di canzoni bellissime. Il fronte straniero, aggiornatosi anch’esso fino all’ultimo momento disponibile, ha visto il trionfo delle ristampe, sempre più interessanti, ma anche costose, e, talvolta, inutilmente ridondanti. Fra le uscite impossibile notare come il Blues, Rock Blues, abbia goduto di un’annata di grazia, aperta dalla strabiliante Tedeschi / Trucks Band con quel Let Me Get By che attendiamo di poter veder riproposto live a marzo a Milano, in un concerto attesissimo. Accanto a loro sono sfilati The Markus King Band, con il secondo, ottimo album, sotto la supervisione di uno come Warren Haynes (Gov’t Mule) per chiudere il cerchio con il ritorno alle origini degli immensi Rolling Stones che con Blue and Lonesome hanno rispolverato entusiasmi che si temevano sopiti. Van Morrison è tornato a pubblicare un disco in purezza come non faceva da tempo, Peter Wolf ha il solo difetto di uscire una volta ogni tanto, ma quando lo fa i cuori s’infrangono davanti a dischi tanto belli e curativi come il recente A Cure for Loneliness. Leonard Cohen, il maestro, ci ha lasciato con un disco intriso di segnali di una fine imminente, ma con una intensità tale da collocarlo fra i dischi tra quelli indimenticabili. Sorpresa per quella meraviglia di Fever Dream di Ben Watt. Il disco che mai ti aspetteresti arriva senza preavviso a colorare le giornate. Ryley Walker compie il salto definitivo nell’olimpo con un disco meraviglioso ed intenso come pochi. Folate di aria fresca arrivano da The Shelters con l’esordio omonimo, uscito sotto l’ala protettiva di Tom Petty che di loro si è innamorato. Infine un disco di Jazz non poteva mancare, e la scelta di chi scrive è rimasta invariata fin dal primo, abbagliante, ascolto di una perla come Blues & Ballads del Brad Mehldau Trio che, in questa formazione, riesce a dare vita a dischi che continuano a riverberare la loro luce anche negli anni successivi. L’unica cosa che avremmo voluto evitarci è la sequenza ininterrotta di lutti che, forse mai come quest’anno, hanno colpito duramente l’universo musicale mondiale. That’s life, folks!!
Marcello Matranga

 

Curtis Salgado, The Beautiful Lowdown
Nato sulla costa orientale il blues-pensiero di Curtis Salgado ha un sapore rotondo, raffinato, elegante di organi, irrorato di ottoni, echi di migrazioni californiane. Non per questo il suo Blues mix è meno puntuale, robusto, energico. È carico di T-Bone Walker, di B.B. style, incorpora un ispirato dynamic soul, il funky, la swayng balladry, meno incline a derive downhome. Fa del riferimento storico una particolare visione, quella di un blues globale, senza perdere distintività Questo l’elemento plurimo, aperto e la sua voce firma The Beatuful Lawdown coem uno dei migliori blues-job del 2016.
Kenny ‘Blues Boss’ Wayne, Jumpin’ & Boppin’
Kenny “Blues Boss” Wayne onora l’impegno con la tradizione del piano blues come pochi. Porta in alto il piano, spinge il blues nel ritmo, nel nostro desiderio di lasciarci alle spalle i guai senza perdere un briciolo di coerenza. Una band di prima classe lo aiuta a trattenere tutta la gioia del ballo senza scomporsi. Suda con voi senza togliersi né giacca, né cappello. È sofisticato senza essere elitario. Discreto, come il barman che vi ha appena riempito il bicchiere. Un disco divertente senza essere sguaiato. Per gente di spirito ma consigliato a tutti.
Sugar Blue, Voyage
Per chi non conoscesse Sugar Blue, al secolo James Whiting, Voyage è un’occasione da non perdere. Armonicista, vocalist di ottima fattura ha conosciuto tanta storia del blues. Egli è tanta storia del blues. Memphis Slim, Willie Dixon, Lousiana Red, non li ha visti su una rivista e neanche li ha incontrati al mercato. In molti, da Johnny Shines a Roosevelt Sykes hanno riconosciuto a Sugar Blue l’ineguagliabile, personale maestria nel trattare il foro. Voyage è la conferma di questa maestria ma anche la capacità di guardare a linee anche più oblique senza perdere un briciolo di blues.
Toronzo Cannon, The Chicago Way
Guidare un bus pubblico nel South Side è un buon punto di osservazione dei consimili. “I have the stories to put out” dice Toronzo e queste stanno tutte in The Chicago Way. Il lavoro consolida il tragitto di una lunga, umile, incorporazione del blues partita da gratuite, lunghe attese di un turno alle Jam del lunedì fino all’attenzione di Delmark e di Alligator. È diventato un beniamino di patron Bruce Iglauer non a caso. Toronzo Cannon se la suona, se la canta e se la scrive pure. Il suo blues è figlio della contemporaneità e The Chicago Way è una gran prova per innovare e innervare con nuovo sangue ilcity blues. Un gran lavoro di suono, cesellato senza essere lezioso, di racconto senza essere inventato. Blue quanto serve ironico quanto basta.
Lil’Ed and the Blues Imperials, The Big Sound Of Lil’Ed and the Blues Imperials
Ci sarà un motivo se dopo trenta anni di onorato blues, Chicago style Lil’Ed and the Blues Imperials sono ancora qui a raccontarla. Costanza, scrittura, grande scuola, presenza scenica, senso dello show, visione comune, sono tutte cose difficili da avere insieme e loro le hanno tutte. Sono dentro fino al midollo nel suono della loro città. The Big Sound assolve il compito di portare ad altri ciò che accade nel blues di Chicago oggi. E sono buone notizie. Una benedetta, vitale, ripetitività.
Mauro Musicco



Rivelazione dell’anno il disco di William Bell, rhythm and blues come Dio comanda quasi a ricordare i magnifici tempi e suoni di Otis Redding, Sam Cooke e Arthur Alexander, la musica e le atmosfere Stax.

Allen Toussaint muore il 10 novembre 2015, stroncato da un infarto, dopo aver tenuto un concerto presso il Teatro Lara di Madrid. È sempre stato lui, l'anima più signorile e jazzy, della Crescent City. American Tunes, album postumo, è uscito 5 mesi dopo della sua morte, il 10 giugno 2016 lasciandoci in eredità un fenomenale testamento di un grandissimo artista di New Orleans quale Allen Toussaint ed un disco pubblicato sia in CD che in vinile con un pianoforte superlativo ed una manciata di canzoni a dir poco magnifiche. Accanto a dei brani di solo piano, incisi nel 2013, in cui la tecnica gumbo di Toussaint esplode in tutta la sua maestosità di colori, c'è davvero l'anima misteriosa e calda di New Orleans. Ci sono brani più ritmati ma con una strumentazione misurata e assai riuscita. Suoni e sonorità esemplari. Standard di New Orleans di struggente bellezza per una musica senza tempo, elegante ed affascinante.

Van Morrison è una certezza, resta sempre a grandissimi livelli.

I dischi di Rolling Stones e della David Bromberg band confermano l’amore di questi artisti per la loro musica primaria, un ritorno obbligatorio alle radici. Back to the roots della musica americana, il Blues.

La ex moglie di Phil Spector, Ronnie Spector, ci regala un album di fortissime emozioni ed una azzeccata rilettura di classici di blues, pop, rock and roll, rhythm and blues. La voce è ancora bellissima e potente.

I Mudcrutch sono una band di Gainesville in Florida nata nel 1970 con Tom Petty al basso (all’inizio della sua carriera) e Benmont Tench alle tastiere ma prima degli Heartbreakers. I Mudcrutch dopo l’iniziale album del 2008 davvero fenomenale si ripetono con un Mudcrutch 2 inferiore al precedente ma pur sempre con un solido e luccicante rock

Peter Wolf (ex J. Geils band) ci consegna l’ennesimo disco superlativo, rock classico senza fronzoli suonato alla vecchia maniera, blues e country per un artista davvero eccellente.

Dig in Deep è il 20° album della rossa Bonnie Raitt, una delle migliori chitarriste al mondo. L’album si conferma assai valido per una carriera esaltante già da oltre 45 anni. Bonnie mischia in maniera superlativa: rock e blues, rhythm and blues e funky ed i suoni alla Little Feat cantando sempre in modo splendido.

Jim Kweskin e Geoff Muldaur ritornano alle radici della folk music.  Due stili diversi di interpretare la musica, due temperamenti differenti ma insieme entrambi sono padroni e perfettamente a loro agio della cosiddetta musica tradizionale: jug band music, old time music, folk, blues, suonati in maniera esemplare. Vecchi brani riletti sapientemente con passione e gusto.
Aldo Pedron



È stato un pessimo anno per il numero e l'importanza degli artisti che ci hanno purtroppo lasciato, ma è stato un ottimo anno sul fronte delle uscite discografiche e proprio per questo non è stato facile scegliere i migliori dieci dischi Internazionali ed Italiani. È stata dunque una scelta difficile che ha lasciato fuori almeno altrettanti dischi meritevoli di essere acquistati ed ascoltati.
Sul fronte internazionale accanto a ottimi nuovi lavori della vecchia guardia come Van Morrison, Lucinda Williams, Bob Weir, Peter Wolf e, ovviamente,  allo stupendo testamento spirituale di Leonard Cohen, ho molto apprezzato l'album del vero e genuino folksinger Joe Purdy, il toccante disco di Ben Glover dedicato all'emigrazione, le conferme di Michael McDermott e The Pines e la sorpresa, è il suo migliore disco, di Beth Hart.
Sul lato italiano due artisti che non sbagliano un colpo come  Michele Gazich e Massimiliano Larocca, tre band che continuano ad alti livelli come I Luf, gli Yo Yo Mundi e L'Orage autori di lavori che integrano il folk-rock con la canzone d'autore, i dischi di due artisti con una lunga carriera alle spalle come Nada e Mimmo Locasciulli, due bravi artisti che sfornano quest'anno il loro miglior lavoro, Charlie Cinelli e John Strada e il grande recupero della tradizione folk popolare fatto da Vinicio Capossela.
Ancora più difficile scegliere le tre canzoni dell'anno, ho indicato tre brani di Van Morrison, Leonard Cohen e Michele Gazich, che mi hanno veramente emozionato.    
Giuseppe Verrini 

 

Al di là dei grandi nomi che hanno realizzato dischi controversi ma importanti (Dylan, Van Morrison, Cohen, Rolling Stones), tra gli intermedi si segnala il grande ritorno di Peter Wolf, mentre tra gli emergenti si sono messi in evidenza alcuni artisti poco noti al grande pubblico ma di assoluto interesse e comunque portatori di una indubbia qualità, su tutti si segnala Weyes Blood (aka Nathalie Mering), 28enne californiana che propone un folk cosmico con sonorità a tratti psichedeliche, a là Jonathan Wilson, ed una voce che ricorda la giovane Dusty Springfield, da seguire! Riley Walker si conferma come talento del presente per il futuro, mentre gli strepitosi The Stray Birds hanno prodotto con Magic Fire un disco splendido. Madeleine Peyroux con Secular Hyms ha piazzato un album che sarà difficile dimenticare, tanto si è avvicinata all’intensità di Billie Holiday. Rimangono fuori di poco, dalla personale lista, alcuni nomi da non trascurare: Ben Watt, Allen Toussaint, Lucinda Williams, Bob Weir.
Gianni Zuretti