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Artisti Vari 25x25 Musica: il primo quarto di secolo secondo Mescalina
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A settembre 2025, Mescalina.it compirà 25 anni. Per prepararci all'evento, abbiamo pensato di condividere non una classifica delle canzoni migliori dal 2000 a oggi, ma un elenco di brani che alcuni di noi ritengono significativi.
Le canzoni scelte sono solo alcuni tra i molti esempi di come la musica abbia saputo, e sappia, interpretare i cambiamenti vissuti, e che viviamo, nei primi 25 anni del terzo millennio, un periodo complesso, denso di avvenimenti globali: l'11 settembre, Black Lives Matter, la questione di genere, la crisi climatica, la pandemia, il populismo, le migrazioni, le guerre. Musica e storia s'intrecciano strettamente, scuotono e ispirano la creatività dei musicisti. In questo quarto di secolo muoiono molti grandi del Novecento, ma ci lasciano perle splendenti. Altri continuano a comporre opere toccanti e lucidissime. Iniziano a farsi apprezzare anche talenti destinati a durare, ciascuno nel proprio genere. Quanta sensibilità, negli artisti di questi anni; da loro nasce la forza della musica che gira intorno, che unisce e guarisce noi, esseri fragili, ma resistenti. Canzoni contro la paura, che ci ricordano chi siamo.
Laura BianchiHo pensato a un elenco alfabetico di artisti che hanno saputo interpretare i cambiamenti dei primi 25 anni del secolo.
Afterhours: la delusione di una generazione
Baustelle: la profezia di una sconfitta
Benvegnù: l'invocazione alla nostra parte migliore
Bersani: la partecipazione responsabile
Bowie: Look up here, I’m in Heaven…
Brunori: canzoni che salvano la vita
Caparezza: gli eroi quotidiani
Capossela: quello che le donne dicono
Cave: la catarsi degli ultimi
Cohen: il suo grazie alla musica
Corsi: storie vere (e quotidiane) sotto forma di bugie
The Cure: attuali da 40 anni
Dylan: contiene moltitudini
Fabi: la denuncia degli abusi
Fontaines D.C.: la bellezza nel caos
Fossati: con gli occhi dei migranti
Gaber: l'ultimo testamento
The National: vivere In un impero fake
Prince: Black Lives Matter
Rolling Stones: la pandemia diventa arte
Silvestri / Rancore: il malessere dell’adolescenza
Springsteen: l’11 settembre e la rinascita
Swift: il patriarcato spiegato semplice
Vedder: la colonna sonora di un movimento
Waters: tuona ancora contro la guerra
Barbara Bottoli
In realtà questa playlist è ovunque nei miei device, perchè sono i brani che ascolto con quel subbuglio emotivo che solo la musica può creare quando si avvicina ai ricordi; in quel momento accade qualcosa di fisico che ti contorce all'interno, che esce come un canto liberatorio e uno sguardo tra il sognante e il malinconico, che fa bene, perchè è pura emozione.
Per la prima volta vedo queste tracce come un elenco e, leggendone i titoli, sembra un discorso che esce direttamente dalla mia voce; solo ora realizzo quanto la musica sia personale, e mi ha sempre affascinato come le parole possano raccontarci, anche se sono di altre persone; quando anni fa ho conosciuto Mescalina era incantata dal talento di un cantautore nel rappresentare dei sentimenti con le canzoni, e da come il sentimento possa essere ideologico, sociale, emotivo, e accada nel preciso istante in cui un suono e una parola si fondono insieme diventando unisono, come elemento unico e universale.
Luca Di Pinto
La compilazione qui rivelata schiva i canoni di bellezza tout court e si congiunge a gradienti di soggettività più sedimentati: la capacità (e la forza) delle canzoni di incidere permanentemente, lenire ferite, radicare emozioni sotto la pelle e generarne una seconda.
La scelta inevitabile del formato ridotto costringe a un lavoro di setacciamento imputabile di dolorose epurazioni (e, giocoforza, sbarra la strada al resto della personale collezione).
Considerando il materiale “superstite”, esiste un fattor comune intriso di trasporto e sentimento: abbaglia infatti un certo modo di fare elettronica (le paillettes da clubbing a intersecare groove, raffinatezza e bassi sbucati dal nulla), corde retrò intente nel disegno di melanconici arcobaleni noir, pop d'avanguardia in fissa con ipnotici ottoni, danze tribali ad animare ritualità ancestrali di contagioso ardore.
Ancora: il songwriting col pilota automatico, il tema del viaggio, l’inaspettato cambio melodico che stappa un ritornello, voci come strumenti, ruggini spazzolate via, gelidi substrati pianistici sotto le coperte, note che sanno di borotalco, scalate armoniche che tirano per il bavero.
Profumi, visioni, suoni, momenti e luoghi. Melodie da capogiro che ribaltano umori. Diapositive di un quarto di secolo, ingiallite da tempi irridenti ma foriere di strenuo conforto.
Alfonso Fanizza
Sintetizzare gli ultimi venticinque anni in altrettante canzoni è un’impresa alquanto difficile per noi divoratori seriali di musica. Sono state tantissime le canzoni ascoltate in questo lasso di tempo, che dover scegliere vorrebbe dire fare una minuziosa scrematura. Però ci sono quelle canzoni che, per un motivo o per un altro, si sono fatte strada nei nostri ascolti quotidiani colpendoci dritto al cuore, come quelle che avremmo voluto scrivere noi stessi perché rappresentative dei nostri inquieti stati d’animo e che non potevamo di certo escludere; tra queste ci sono I giorni dell’ira (Diaframma), A fior di pelle (Marlene Kuntz) o All My Happiness Is Gone (Purple Mountains); quelle scoperte quasi per caso anche grazie alla collaborazione con Mescalina, come Sing! Captain (Handsome Furs) e I Might Need You to Kill (The Thermals); o quelle che hanno avuto un successo inaspettato Seven Nation Army (The White Stripes) e No One Knows (Queen of the Stone Age).
D’altra parte, non potevo lasciare fuori i Blur (The Narcissist) o il compianto Paolo Benvegnù (La schiena), ma soprattutto per concludere, permettetemelo, una delle cover che ritengo di una bellezza disarmante, come The Breeze / My Baby Cries (Kate Bloom) nella meravigliosa versione di Bill Callahan.
Ambrosia J. S. Imbornone
Fernando Savater afferma che la malinconia sia “la malattia di chi si sa mortale”: questo stato d’animo può essere un buon fil rouge per narrare questi 25 anni di musica, in tempi in cui troppe generazioni hanno dovuto imparare che tutto può essere precario, dal lavoro all’amore al tempo del kerosene. In queste canzoni allora ci sono amori vividi e voraci, amori impossibili, amori naufragati e il tema ancora attuale del naufragio reale. C’è la malattia, ci sono le cadute, il tempo che passa, le “un-magnificent lives of adults”, ma anche il ritrovare ciò che si perde tra le mani dell’altro, o la resistenza nel prendersi la pioggia nell’inverno dell’amore e ripartire da sé stessi. Nella playlist ci sono alcune conferme (Björk, PJ Harvey), nomi di grande talento affermatisi in questi anni (Sufjan Stevens, Angel Olsen, Mitski, Marissa Nadler, Conor Oberst e i suoi Bright Eyes, Fontaines D.C., ecc.), o che ci hanno lasciati troppo presto (Jason Molina, Mark Linkous), artisti che incarnano la storia della musica indipendente italiana (Paolo Benvegnù, Giardini di Mirò, Umberto Maria Giardini, Perturbazione, Non voglio che Clara), scampoli di dream-pop, indie-rock, del cantautorato nostrano e tanto altro.
Giada Lottini
Scegliere 25 canzoni che coprano l’arco di 25 anni è un’impresa non da poco: in questo lasso di tempo i cambiamenti a livello sia personale, sia musicale sono stati fin troppo veloci. Non tutti gli anni sono stati musicalmente memorabili e per quel che mi riguarda non sono stata mai conquistata dal filone indie, sia straniero sia nostrano. In larga parte ho cercato di seguire un criterio anno per anno, dove possibile; quindi, si passa da canzoni che ascoltavo nel lettore CD a canzoni contenute in dischi di cui ho il vinile, e sono molto pochi, ahimé. Nel mezzo c’è tutto il filone degli iPod, degli album scaricati per capire se valessero l’acquisto, degli ascolti (malvolentieri) su Spotify, dove troverete la playlist. Negli anni vacui di musica per me interessante, ho coperto le lacune con artisti che mi sentirei male a lasciar fuori: alcuni sono presenti con più pezzi, inoltre, e sono tutti internazionali senza seguire un genere preciso. Che l’ascolto di queste canzoni vi accompagni come ha accompagnato me, e che sia occasione per scoprire, chissà, qualcosa di nuovo.
Arianna Marsico
“E cosa racconteremo ai figli che non avremo di questi cazzo di anni zero?” Forse dei “400 euro al mese per un letto a soppalco” e di un vivere come “essere in ritardo” su “quello che non c’è”. In questi anni compresi tra il 2000 e il 2024 la musica italiana ha spesso (certo non esclusivamente) dato il meglio di sé quando è riuscita a raccontare “socialismo tascabile”, certezze che si sgretolano e una vita alla ricerca di nuove configurazioni di equilibrio, non di rado instabile. Si stacca da questo mood Diodato. La sua Fai rumore, dolcissima e potentemente liberatoria, ci ha però accompagnati e confortati in una pandemia che, effettivamente, ulteriore squilibrio nel “mondo prima” ne ha portato, per usare un eufemismo, portandoci a sperare in un “giorno nuovo”, in cui poi magari Elisabetta Imelio suoni ancora il basso nei Sick Tamburo, mentre ci ha salutati per sempre proprio poco prima del lockdown, assieme all’adolescenza e al senso di invincibilità.
Il 2016 inizia con la dipartita di David Bowie, con una meravigliosa Lazarus che è stata ed è molto più di un testamento. E Nick Cave, con Bright horses (e tutto Ghosteen) ci ha insegnato, e ci insegna tuttora, come dialogare con l’indicibile, con il dolore totalmente innaturale.
Insomma, alla faccia del passatismo, sono stati venticinque anni di tante emozioni.
Paolo Ronchetti
25 canzoni per 25 anni. Un esercizio impossibile e come tale l’ho voluto praticare: parziale e incompleto!
La “forma canzone” oggi mi sembra abbia poco da raccontare e con gli anni la musica che amo si è sempre più liberata dalla sua forma mainstream.
Questo mi porta ancora ad ascoltare “troppe canzoni” (come diceva Fausto Rossi in uno dei dischi più belli che conosco), ma mi porta a preferire brani non strutturati come “canzoni”; oppure mi porta ad ascolti che si rifanno a una forma di canzone classica; o ancora ad amare canzoni molto semplici, dalle forme arcaiche e popolari, che in qualche modo mi rimandino a musica e parole fatte prima che si potessero fissare su un supporto. Perché per migliaia di anni la musica è stata tradizione orale: una canzone cambiava da interprete a interprete; la stessa canzone aveva decine di versioni diversissime e personali e questa cosa mi affascina oggi come non mai.
Per questo, alla fine, ho scelto canzoni che avrei voluto cantare, suonare, rileggere; oppure canzoni che ho cantato, suonato e riletto. Canzoni che in questi 25 anni, mi hanno fatto desiderare e che sono entrate nella mia vita: come carne viva che invecchia, cresce, si modifica e si perde. Canzoni che mi hanno fatto e mi fanno compagnia. Canzoni che spero possano accompagnare anche voi.
Sara Velardo
Cosa è successo negli ultimi 25 anni?
La musica è cambiata, radicalmente.
È cambiato il modo in cui la scriviamo, produciamo e ascoltiamo.
Sarebbe una follia passare in rassegna tutti i dischi che sono usciti e mi sono piaciuti; l’unica via è seguire il flusso del mio cervello che mi suggerisce i nomi che proprio non possono mancare.
Gli album che hanno segnato alcuni momenti della mia vita, quelli che sono diventati delle pietre miliari della discografia, le canzoni che sono diventate iconiche perché associate a una scena di un film, a un rito collettivo.
Riascolto le canzoni scelte e continuo ad aggiungere e togliere, perché è veramente impossibile essere soddisfatti. Le canzoni continuano a risuonare nella mia testa e nomi, suoni e parole, si alternano.
Ma quanti bei dischi sono stati prodotti negli ultimi 25 anni? In barba a quelli che dicono che di musica bella non ce n’è più.
La musica resiste, se siamo pronti ad ascoltarla.