Artisti Vari EZ KURDISTAN IM / Musica dal Kurdistan in Italia
2019 - Nota Dischi –bloc nota, 2016
Per l’uso della voce “generalmente essa può partire da qualsiasi scalino ma terminano con la voce di base. La melodia di solito segue un andamento di discesa e salita-discesa. Più difficile identificare l’origine degli strumenti usati che “non tutti sono stati studiati scientificamente e per alcuni non si riesce a risalire al suo creatore storico”, essendo il popolo kurdo di indole nomade a carattere pastorizio. Ma i principali comunque sono dei flauti, quali il bilar, e i dùdùk, vicino al suono del flauto di legno più conosciuto come ney, lo zirne e il durare, due forme di oboe, molto usata nella tradizione zingara, e , dembilk, def, dahol, tamburi di diverse forme. Altrove sono i violini, il rebab, piccolo violino curdo a tre corde che si suona con un’arco fatto di crine di cavallo o il keman, ad accompagnare le melodie delle musiche, che si suonano puntando sul suono della corda acuta, mentre le altre fungono da bordone.
”Io vengo dal Kurdistan, il paese che non c’è, come sapete. Esiste ma non c’è…”, così iniziano le storie e i racconti di Hevi Dilara, fondamentale figura di questo documento sonoro, fatto di vicende e di canti, di una lingua e di una cultura, poco conosciuta a noi, ma che ha fama di resistere al tempo e alle persecuzioni delle culture confinanti. Molti brani, come l’iniziale “Dilè min behra wanè (il mio cuore come il mare di Van)”, scritta e incisa da Sivan Perwer , rifugiato in Europa sin dagli anni ’70, e qui cantata da Serhat Akbal, esprimono nostalgia e dolore, e così anche per “Kurdistan yan neman“ (O Kurdistan o annientamento), composta da un famoso cantauore del Rojava Seid Yusiv, ed eseguita in queste registrazioni da Abdurrahmsn “Mamoste” Ozel, classico esempio che racconta l’amore per la patria e per il paese che non esistono e per il quale comunque bisogna lottare.
Stupenda “Adarè”, di Koma Agirè Jijan, cantata, ricordando una delle tante rivolte giovanili degli anni ’90, sempre da Serhat Akbal, uno dei personaggi cantautorati che esce alla grande da queste registrazioni. E la riprova la ritroviamo anche in “Ez Kurdistan Im”, che riafferma l’orgoglio di appartenenza a un popolo. Il compositore del brano, Aran Tigram, nato armeno e divenuto “per forza” , grazie alla cosidetta “delocalizzazione degli armeni” da parte dei turchi, un kurdo siriano. A vent’anni prende in mano l’ud o oud e comincia a cantare canzoni in lingua armena ma anche kurda, finchè verrà esiliato in Europa, e morire nel 2009, non prima di avere espresso il desiderio di essere sepolto a Diyarbekir.
Un’altra ballata, come “Wa hatin Pèsmergè me” (Sono arrivati i nostri Pesmerge), cantata da Abudurrahman “Mamoste” Ozel, e scritta da Sivan Perwer, mentre il regime di Saddam (altro buono!) bombardava i kurdi, incita e incoraggia il popolo, a non perdere speranza per il futuro. Sempre a firma di Sivan Perwer, c’è un altro pezzo, “Dayé Dayé (O Madre)”che racconta il genocidio di Dersim, attraverso il dialogo fra madre e figlio, al ritorno a casa, mentre ritrovano solo orrore e distruzione. L’esecuzione è affidata alla talentuosa Hevi Dilara, accompagnata da Mehmet Emir, al saz e Ali Can, erbanet, percussioni e voce.
Ma è nell’esposizione/esecuzione dei brani più tradizionali, che questo progetto discografico/etnico/ documentaristico, eccelle. Brani come “Elqajiyé”, nome di un villaggio kurdo di Dersim dove nel 1938, tanto per cambiare, l’esercito turco perpetrò un massacro, con la voce dell’onnipresente e benedetta Hevi Dilara, toccano il cuore e lo spirito, quanto “Canè” (Anima mia), interpretata da Younes Sade, in stile arabesco e nel dialetto kurdo-iracheno del Behdininan. E quando la poesia si sposa alla tradizione, vedi “Bagland: yollarim kalidim caresiz (Le mie strade sono sbarrate)”, poema di Karac’oglan (poeta turkmeno vissuto nel XVII secolo), le meraviglie continuano, sempre con Hevi Dilara e Idris Kaya alle voci. Per proseguire con le note di una struggente ninnananna, “Lori lori”, cantata da Hevi Dilara e Idris Kaya sempre con grande intensità, come per “Leyla”, canzone popolare del Kurdistan iracheno. Molto raccolta anche l’esecuzione di “Ez kive bicim (Dove devo andare?)”, da parte di Younes Sade, proveniente sempre da quelle parti, e “Minnet Eylemem (non do la mia gratitudine), vocalmente eseguita da H. Dilara e Idris Kaya, poesia di Nesimi, mistico cantore di versi azero o turkmeno, vissuto tra il 1369 e il 1417, e morto, dopo essere stato accusato di eresia, dopo essere stato spellato vivo.
Gran bel lavoro questo sul Kurdistan, che meriterebbe forse più spazio sui media culturali italiani, ma di questi tempi è già più che encomiabile e lodevole, che uno abbia il coraggio di pubblicare cose così rare e belle! ”No dò la mia gratitudine alla strada indicata dal demone // Sono caduto in una strana difficoltà, tutti vanno al loro profitto / Oggi ho trovato e oggi mangio, per domani Dio è gentile / Non ho la minima avidità per la materia di questo mondo / Il mio pane quotidiano mi dà Dio, non do la mia gratitudine al servitore….(“Minnet Eylem” – Nesimi).