Artisti Vari Dead Man`s Town
2014 - Lightning Rod Records
Un’affermazione certamente eccessiva, ma che può servire a sintetizzare l’impressione suscitata dall’ascolto di questo Dead Man’s Town, album tributo realizzato dalla Lightining Rod Records per celebrare il trentennale della pubblicazione di Born in the USA, l’album che trasformò – almeno in Italia – Bruce Springsteen, da personaggio di culto per un ristretto gruppuscolo di adepti (tra cui il sottoscritto) nella superstar capace di richiamare ottantamila spettatori abbondanti in occasione del suo primo, leggendario, concerto allo stadio di San Siro nel giugno del 1985 (ah, ovviamente, c’ero…).
L’intenzione di partenza era certamente positiva, ovvero quella di riproporre una per una le canzoni dell’album originale affidandole alle reinterpretazioni di un serie di musicisti di area Americana/Roots più (Jason Isbell, Justin Townes Earle, i North Mississippi All Star) o meno (Apache Relay, Quaker City Nighthawks, Blitzen Trapper) noti.
Decisamente non all’altezza delle ammirevoli intenzioni invece il risultato finale che finisce con il rappresentare un’occasione sprecata di spogliare le canzoni di quell’album dalle sonorità tipicamente Eighties che lo caratterizzavano per ricondurle alle atmosfere più roots con cui erano probabilmente state concepite (come ben noto agli appassionati, alcune delle canzoni di Born in the USA, compresa la title track, vennero scritte in contemporanea con i pezzi di Nebraska).
Come inevitabile per ogni album tributo che chiama a raccolta interpreti diversi, la qualità dei brani non si mantiene su livelli omogenei e fortunatamente qualche episodio, nel deludente contesto generale, si salva.
È certamente il caso della stessa Born in the USA, privata della rutilante batteria di Mighty Max Weinberg e delle sonorità da stadio con cui si apriva l’album trent’anni orsono e rivisitata in versione acustica da Jason Isbell con il determinante aiuto del violino della moglie Amanda Shires e della spoglia versione di Glory Days ad opera di Justin Townes Earle, con un arrangiamento sommesso e minimale forse più coerente con il tema della canzone rispetto alla muscolare versione originale.
Tra i big, deludono invece i North Mississippi Allstars la cui rilettura di My Hometown appare piuttosto banale, certo non all’altezza del talento che i fratelli Dickinson hanno mostrato nelle loro produzioni precedenti discografiche: il classico compitino formalmente ineccepibile, ma nulla di più.
Brilla per bruttezza la versione rallentata di Dancing on the Dark della jersey girl (evidentemente la provenienza geografica non è di per sé una garanzia) Nicole Atkins, le cui sonorità sintetiche fanno addirittura rimpiangere la batteria elettronica ed i sintetizzatori della versione originale, per quanto vituperati all'epoca dallo zoccolo duro springsteeniano, seguita a ruota dalla rarefatta rivisitazione di Cover Me degli Apache Relay e dalla I’m on Fire dei Low.
Non entusiasma neppure Joe Pug - già titolare di una bella rilettura di Higway Patrolmen nel misconosciuto Long Distance Operator, album tributo a Nebraska di qualche anno orsono -alle prese con Downbound Train, mentre l’idea – apprezzabile in linea di principio - di rallentare No Surrender, trasformandola in una ballata pianistica ad opera di Holly Williams finisce con l’essere penalizzata da un enfatico arrangiamento con tanto di sezione d’archi.
Senza particolare infamia, ma purtroppo anche senza nessuna particolare lode il resto dei brani.
Occasione sprecata, peccato.