Woody Allen Interiors
1978 » RECENSIONE | Drammatico | RE-VISIONE
Con Diane Keaton, Richard Jordan, Geraldine Page, Mary Beth Hurt
06/04/2021 di Claudio Mariani
Avendo il completo appoggio di una produzione allora illuminata (United Artists), Allen volle fare un film “drammatico senza mezze misure, come solo gli europei sanno fare”, qualcosa difficilmente masticabile per il pubblico statunitense. E così fece, stupendo tutti, raccontando la storia di una famiglia in disgregazione, dove la madre delle tre sorelle, lasciata dal marito, è destinata a fare una brutta fine. Le tre figlie sono completamente differenti tra loro, e reagiscono in modo totalmente diverso alla notizia che il padre vuole risposarsi.
I riferimenti narrativi ma anche estetici, sono fin troppo evidenti e in direzione-Bergman, già allora ispirazione assoluta di Allen, e ancora attivo nel periodo finale della sua carriera.
La reazione della critica non fu poi così spietata, ma non contribuì sicuramente al successo che non ci fu, e al contraccolpo invece negativo del pubblico. Reazione che confluì curiosamente e platealmente poi nella trama di Stardust Memories, anche se questa evidenza è negata dallo stesso autore, definendola non autobiografica.
Al di là di tutti questi discorsi: Interiors oggettivamente è un gran bel film, forse uscito nel momento sbagliato, o meglio, con le prerogative sbagliate. E’ un dramma tosto, dove tecnicamente ogni scena, ogni scenografia e ogni personaggio sono nei posti giusti, e ci fa pensare ad una grande padronanza del mezzo. Sprazzi anche di grande cinema, come nella scena della carrellata in chiesa e come con l’inizio alla finestra e la conclusione alla stessa finestra, in un circolo perfetto di stampo bergmaniano. E poi il simbolismo volutamente espresso, come dal mare in tempesta che si trasforma in calma piatta simboleggiando la morte sopravvenuta…e ancora altre grandi scene, come l’alternarsi dei primi piani durante il ballo del matrimonio, per esempio.
Trama talmente drammatica e pesante, che si integra con attori di tutto rispetto, ma quasi annullandoli. Come sempre attrici importanti come Maureen Stapleton, Geraldine Page, una compassata Diane Keaton, ma soprattutto spicca l’esordiente Mary Beth Hurt, famosa per essere stata la moglie di William Hurt e poi del grande sceneggiatore-regista Paul Schrader, e che ha poi raccolto molto meno di quanto avrebbe potuto dare nel campo.
Tutto queste considerazioni positive contrastano con l’opinione più volte espressa dal regista (per la prima volta non attore di un suo lavoro cinematografico, scelta obbligata) che ha continuato a dire per anni che se potesse rigirarlo ora, con le competenze maturate e in suo possesso, lo farebbe nettamente meglio. Frase ripetuta spesso, quasi come un’ossessione. Ma, al di là di quello che può dire lui stesso, rimane un dato di fatto: i pochi film drammatici di Allen, col tempo acquisiscono un gran valore artistico, e non perdono mai il loro smalto.