The Zen Circus Vivi si muore – 1999 - 2019
2019 - Woodworm Label / La Tempesta / distr. Artist First
#The Zen Circus#Italiana#Alternative #busker - folk #Karim Qqru #Ufo #Brian Ritchie
Dal recente passato arrivano Il fuoco in una stanza e Catene giusta sintesi della maturità raggiunta con il disco Il fuoco in una stanza (2018), con il pieno controllo di ogni singola nota, con gli effetti ottenuti senza synth ma filtrando le chitarre, con delle parole che entrano come lame nelle ferite inconsce che ognuno ha per le proprie personalissime catene. Non voglio ballare, L’anima non conta e Ilenia sono davvero in grado di scatenare La terza guerra mondiale (2016) sotto il palco durante i concerti, anche se le prima due potrebbero sembrare ballad allo stato puro. L’ungarettiano, nel titolo e nel significato, Canzoni contro la Natura (2014) ci regala lo schiaffo in faccia alle generazioni passate di Postumia e soprattutto Viva.
Viva sembra aver previsto, ben prima dell’ISTAT, tutto quello che oggi vediamo all’ennesima potenza: “Siamo diventati brutti” dipinge il volto attuale della società italiana più di mille pamphlet e trattati di sociologia. E poi prima dell’ultima strofa c’è un giro di chitarra/basso/batteria che ogni volta stringe il cuore, e che si potrebbe quasi ascoltare staccato dal resto.
I qualunquisti e L’amorale, da Nati per subire (2011) permettono di iniziare ad accostarsi, anche se a ritroso al loro lato busker, ad un percorso fatto di dura gavetta “di prove in macchina o per strada, con strumenti acustici improbabili e le mani gelate”. A quell’umanità spaesata e volte devastata che troverete in Andate tutti affanculo, L’egoista e Canzone di Natale (nella quale però non mancano i momenti esilaranti), tratte per l’appunto da Andate tutti affanculo (2009), primo album inciso interamente in italiano.
Ecco poi il disco della svolta, quello che si avvalse della produzione di Brian Ritchie (Violent Femmes), quel Villa Inferno (2008) che ha iniziato ad avere un riscontro tale da dar loro la forza di non mollare quando la fatica delle serate a suonare seguite dal lavoro il giorno dopo (come raccontarono durante il Jack On Tour si trattava per forza di cose di lavori più o meno precari per avere la libertà di spostarsi per suonare). Figlio di puttana, Vent’anni e Punk lullaby sono lì in tutta la loro freschezza con il loro intreccio di disagio tardo – adolescenziale tra la famiglia e “tasche stracolme di cazzate orientali/ottimismo da spiaggia e coltellini speciali”, con quella voglia di sentirsi normali ed insieme speciali.
Fino a spaccarti due o tre denti, da Vita e opinioni di Nello Scarpellini, gentiluomo, con un suono scintillante alla Pixies affonda i suoi accordi nel disagio e nel senso di inadeguatezza.
Si chiude con Mexican requiem (da About thieves, farmers, tramps and policemen del 1999), colonna Sonora di una delle scene di Fino a qui tutto bene di Rohan Johnson. Quella della grande festa per salutare la casa in cui i protagonisti hanno vissuto da fuorisede. Per salutare una fase della vita fatta da piccole certezze.
E mi piace pensare che The Zen Circus con Mexican requiem e con questa raccolta salutino un bellissimo periodo per aprirne un altro altrettanto carico e intenso. Sempre restando fedeli a se stessi.