live report
The Zen Circus Roma, Black Out Rock Club
Concerto del 11/04/2014
Ma ecco che arriva il circo Zen, annunciato al passaggio di uno stralcio di Comizi d’amore di Pierpaolo Pasolini in cui parla Giuseppe Ungaretti. A questo punto non è molto difficile capire che l’inizio sarà affidato alla potente e tetra Canzone contro la natura.
L’inizio è tiratissimo, dopo l’apertura si passa per Colombia e si arriva ad una cruda e tagliente Gente di merda. Solo a questo punto, con il suo mix di candido stupore per il trasporto dei presenti e contentezza, Appino saluta e chiede quanti abbiano venti anni. E’ il momento di Vent’anni appunto, tenerissima tra cinismo e candore. Atto secondo mantiene il suo sapore busker.
Si apre ora una parentesi su slogan e motti, e da “lavorare meno, lavorare tutti” si arriva a “vivere male, vivere tutti”,l’inizio di We just wanna live, cantata praticamente dal pubblico.
Andate tutti affanculo viene presentata come un “momento nazionalpopolare”. Dopo L’amorale si apre un siparietto tra Ufo, Appino e Karim che si prendono in giro. Arriva Vai vai vai dal vivo ancora più concitata e vibrante; Vecchi senza esperienza è da boato, No way si mantiene granitica ed emozionante, mentre I qualunquisti si colora di rock steady. Aprirò un bar viene presentata da Karim; il cantato di Appino la avvicina più ad un teatro – canzone, tranne nel ritornello quasi corale.
Figlio di puttana è ironica e al contempo dolente come un addio da film muto. Per Ragazzo eroe Karim abbandona la batteria per passare ad uno “strumento sumero” (capirete il virgolettato se siete stati presenti o se rivedrete il video del brano dal vivo); Appino la dedica a Fabrizio De Andrè, che in effetti è il “ragazzo eroe ligure” per eccellenza. Mexican requiem a sua volta scuote le atmosfere da artista di strada e riporta ad un rock più lavico e sanguigno.
E’ il momento di bersi il futuro “per non pensarci” con Postumia, cantata dai presenti come se fosse già un classico nel suo accusare chi ci ha lasciato un paese a pezzi.
Si torna a parlare di una vecchia conoscenza del gruppo. Ufo ci informa che il caro Abdul ha avuto dei guai con la giustizia ed è stato rimpatriato in Tunisia. Ma lì le cose per lui si sono messe meglio, è diventato addirittura Ministro delle Finanze. E così Canzone di Natale non può terminare con la consueta telefonata tra Appino e Abdul. Finisce sui titoli del TG Lercio, che con ironia squarcia il velo che ricopre i disastri della nostra politica. Anche se purtroppo c’è una notizia che lascia poco spazio al sorriso, ma fa riflettere sul ricatto lavoro – salute a cui si è sottoposti anche in casi non troppo alla ribalta: “è morto a 68 anni l’uomo più vecchio di Taranto”.
Dopo una breve pausa si ricomincia con un pezzo che colpisce dritto al cuore l’ipocrisia: L’egoista. Con L’albero di tiglio si sprofonda in un magma denso e lento. Viva sul palco stringe ancora più il cuore nel descrivere squallidi letti a soppalco e case che riempiono il cuore di malinconia, completamente inadeguate ad ospitare i nostri sogni.
Fino a spaccarti 2 o 3 denti traghetta dolcemente fino al gran finale, affidato a Nati per subire, un titolo che è insieme un destino e qualcosa a cui opporsi. E così, dopo aver fatto saltare tutti (a giudicare dalla temperatura raggiunta nel locale) e rotto un pezzo della batteria, gli Zen Circus ci salutano dopo un concerto dalla scaletta coraggiosa e niente affatto promozionale. Sono pochi i brani da Canzoni contro la natura, molti sono tratti da Villa Inferno o addirittura da Vita e opinioni di Nello Scarpellini, gentiluomo. Che poi se si scorre la discografia del gruppo, si nota che tra un album ed un altro passano almeno 3 anni. Perché la Musica, quella con la M maiuscola, non è produzione industriale né marketing. E’ arte, è emozione. E’ un sorriso dai musicisti verso chi li ascolta in cameretta come dal vivo. E’ insomma qualcosa di vero ed autentico. E così definita, descrive proprio bene quello che fanno gli Zen Circus.