live report
The Zen Circus Planet, Roma
Concerto del 06/03/2015
Il gruppo piemontese (non aiutato da problemi di volumi ed acustica che purtroppo faranno da antipatico sottofondo alla serata) porta in scena soprattutto brani dagli ultimi due album Diversamente come? e Fame come Le case senza porte, Jack lo stupratore ed Il vento. L’impressione avuta ascoltando il loro ultimo album viene confermata: sono bravi, ci sanno fare… ma anche sul palco resta un velo di freddezza da squarciare. I Nadar Solo chiudono il set con I tuoi orecchini ed una lunga suite.
Ed ecco che arrivano gli Zen Circus. Carichi, nonostante un anno di tour. Rabbiosamente punk, per stasera la vena busker passa in secondo piano. Si apre con Gente di merda e Canzone contro la natura, così tirata che svela quelle sue spigolosità che forse l’album nascondeva, e sono spigoli che si conficcano nel cuore. A questo punto gli Zen Circus salutano i presenti. Si vede la gioia di suonare, di essere lì sul palco. Vai vai vai è una corsa a perdifiato che porta Nel paese che sembra una scarpa.
20 anni perde tutte le sue striature folk assunte in altri concerti. Diventa un inno punk ( ed anche se non si può più alzare la mano per rispondere alla domanda di Appino “chi ha 20 anni?” i 20 dentro si continuano a sentire). Ufo è in splendida forma, sembra galvanizzarsi ad ogni giro di basso, che è pura dinamite. Atto secondo scalda ulteriormente gli animi (e la temperatura del locale è in salita…), nonostante Ufo scherzosamente più volte accusi i presenti di essere un pubblico troppo educato.
Karim parla del prossimo pezzo “non facile da presentare” a suo dire. E con un bel “riandate tutti affanculo” inizia Andate tutti affanculo, in cui Roma fa capolino tra le città citate. L’amorale, biasimata (!) dall’associazione Beato Bartolomeo Camaldolese (punto di merito per gli Zen Circus), alla luce di tanti fatti successi negli ultimi mesi fa decisamente riflettere: “Se Dio non esiste non esiste il male” (almeno quello fatto in suo nome da estremisti imbottiti d’odio).
La voce di Appino si fa rabbiosa per Vecchi senza esperienza, elogio del perenne fuori posto: “i pantaloni stretti erano da froci e non da fighi, le Converse da pezzenti, computer da perdenti”. “Questa non la facciamo quasi mai” scherzano i ragazzi ed attaccano I qualunquisti durante la quale viene sostituita al volo la corda che si rompe della chitarra di Appino (“Finalmente abbiamo rotto qualcosa!” dirà Ufo). Che presenta così il brano che segue: “ogni città ha tante stazioni. Ogni città ha il suo Dalì” ed inizia questa storia di lenta discesa negli inferi di un uomo comune.
Karim a questo punto lascia la batteria, passa aventi e prende la washboard per Ragazzo eroe e Mexican Requiem, cupa e vibrante. Quest’ultima farà parte della colonna sonora di Fin qui tutto bene di Roan Johnson. “Così- dice Ufo- sentirete questa canzone a rompervi i coglioni per altri 17 anni”. Postumia impietosa, solo in apparenza quasi filastrocca, si rivolge a chi ci ha preceduto. L’anarchico accompagna alla sfida che ci lancia Ufo: “Siete bravi, ma a questa canzone non riuscirete a fare i cori”. Sfida raccolta. Il pezzo è Figlio di puttana, totalmente riarrangiata sembra quasi uscita da un disco dei Ramones, velocizzata mantiene intatto il suo fresco candore.
Viva ad ogni concerto diventa sempre più bella, ogni volta si carica di qualcosa di nuovo, nelle sue visioni da dietro “vecchi impolverati” di una finestra rotta. Il riff prima della strofa finale, già da antologia nel disco, dal vivo è ogni volta più commovente. Non sono sicura che durante l’euforia del concerto se ne rendano conto tutti, ma sono sicura che dopo resti dentro impresso, come tatuato tra i pensieri.
Appino indossa il cappello da Babbo Natale e mette subito le mani avanti: “Questo cappellino l’ho sempre odiato, sia chiaro”. Karim, dato che il gruppo non suonerà fino al 2016, ci tiene ad augurare “Un Natale felice obbligatorio, la Pasqua è una festa minore”. E’ chiaramente il momento di Canzone di Natale. Abdhul però deve essere caduto in disgrazia. Me lo ricordo ministro degli esteri tunisino ed invece Karim ci comunica che è finito nelle grinfie di Scientology.
Arriva il dissacrante TG Lercio, stavolta dal vivo e ce n’è davvero per tutti, da Gigi d’Alessio a Matteo Salvini. La ripresa è affidata al nuovo singolo Il nulla, scoppiettante ed ironico. Fino a spaccarti due o tre denti porta amara a L’egoista, che ad ogni nota è un affondo.
Ma è il momento, come dirà Ufo, di ringraziare i Ramones, anche attraverso le loro declinazioni scandinave. Polissi pamputta taas, con Ufo alla voce, è al fulmicotone, si potrebbe tranquillamente essere al CBGB a New York. Si chiude, come sempre, con Nati per Subire. Rabbia, speranza, spirito di Titano in esistenze compresse. Tutto questo si riassume nel verso “Gli Dei siamo noi”, nelle sue note taglienti e carezzevoli al contempo.
E così gli Zen Circus ci salutano fino al 2016. La magia del circo Zen si racchiude nelle custodie degli strumenti, nelle valigie sul palco che pazientemente lo staff riempie e porta via. Pacchi e borse pieni di energia, di voglia di suonare, di sogni comuni a volte negati.
Ci mancherete ragazzi.
Set list
Gente di merda
Canzone contro la natura
Vai vai vai
Nel paese che sembra una scarpa
20 anni
Atto secondo
Andate tutti affanculo
L’amorale
Vecchi senza esperienza
I qualunquisti
Dalì
Ragazzo eroe
Mexican Requiem
Postumia
L’anarchico
Figlio di puttana
Viva
Canzone di Natale
TG Lercio
Il nulla
Fino a spaccarti due o tre denti
L’egoista
Polissi pamputta taas
Nati per Subire