interviste
The Zen Circus Il dono dell'ultima casa accogliente
Intervistare Karim Qqru, il batterista dei The Zen Circus, è come aprire un immenso e gradito regalo a sorpresa. Si parte con il parlare del disco “L’ultima casa accogliente” e si scoperchia un vaso di pandora sull’amore per la musica, sui supporti fisici e lo streaming, sui testi di Appino e sul crescere.
Sulla prima domanda sono stata anticipata. Avendo detto che il disco è stato vissuto da molti loro ascoltatori come un balsamo in questo 2020, me inclusa, avrei voluto chiedergli come mai non avessero deciso di posticipare l’uscita del disco ad un momento in cui la promozione sarebbe stata più facile…Karim: Sicuramente rispondo già a una delle tue domande, senza che tu me la faccia.
C’è stata la possibilità di spostare l’uscita del disco, ma alla fine abbiamo scelto di non farlo ed è stata una mossa che ci ha premiato, perché l’impressione che abbiamo avuto, vista la risposta del pubblico, è che sia stato il disco giusto uscito nel momento giusto.
Se fosse stato posticipato ci avrebbe creato, a parte un danno psicologico enorme (un disco fotografa comunque un momento storico ben preciso di una band) e tutta una serie di tribolazioni legate al rimandare.
Per fortuna e per puro caso a noi non sono capitate, ma lo abbiamo visto accadere a tanti colleghi, alle prese con continui rinvii.
Noi siam stati tra i pochi, a non dover posticipare niente, perché il tour comunque era già programmato per marzo – aprile. Alla fine lo sposteremo a giugno: siamo stati fortunati nella sfortuna.
Il farlo uscire in questo momento all’inizio è stato pesante, non te lo nascondo, dietro c’è un lavoro tale, ci sono tante aspettative, ed il fatto di non fare gli instore… beh fondamentalmente gli instore rappresentano il momento in cui vendi dischi…lo sai benissimo… ma alla fine è andato tutto benissimo.
Mescalina: Sì, al giorno d’oggi sì quello e i concerti sono i momenti per vendere i dischi…
Karim: Sì, a questo giro non credevamo di arrivare in top 10 e invece ci l’abbiamo fatta: quella è stata una sorpresa bella tosta.
Tutto quello che riguarda le classifiche FIMI è mutato nel tempo.
Ormai il supporto fisico non conta quasi più nulla, non si vendono più dischi e da quando hanno creato la valutazione numerica della divisione del numero di streaming necessari per fare una copia fisica (che è di due anni fa) sta in Top Ten perenne chi fa un numero gigantesco di streaming.
Noi proveniamo da un mondo in cui gli streaming sono più limitati a livello numerico rispetto alla trap, ad Ultimo o a realtà come l’it-pop.
È stata una sorpresa che il disco alla fine abbia raggiunto questi risultati, non era scontato ecco.
Mescalina: Forse è anche una questione di un pochino generazionale, perché il vostro pubblico è in parte cresciuto con voi, una buona fetta è vostro coetaneo quindi magari è un po’ più legato al concetto del disco rispetto a quanto lo sia un adolescente. Non è un giudizio, è un dato di fatto, se sei nato in un’epoca in cui sei quasi nativo dello streaming magari ci tieni di meno alla copia fisica.
Karim: Sì, quello sì, diciamo che se si va a vedere la composizione del nostro pubblico il 40% del nostro pubblico ha tra i diciotto e i trent’anni, è una cosa che ci sorprende ogni volta. La cosa assurda e bella è che è transgenerazionale.
C’è sempre pubblico giovane che ci conosce e ci rendiamo conto che spesso c’è il diciottenne che è fan degli Zen da tre mesi che porta ad un ricambio generazionale. Dall’altra parte c’è chi ha più di trent’anni, ed è quello che fondamentalmente compra i dischi fisici, che si riaggiorna. Il grosso del pubblico degli Zen esiste da quattro- cinque anni, è inutile prendersi in giro, ed è un pubblico che piano piano cresce.
Non è mai stato l’anno degli Zen, non c’è mai stato hype intorno al progetto. Ogni anno si fa un passettino in su, senza fare il salto, questo però porta ad una costante ascesa, organica, abbastanza sana.
Appesi alla luna è stata passata in radio con una buona rotazione, e Come se provassi amore sta girando in radio in cui non eravamo mai passati.
Coesiste il pubblico giovane dello streaming con quello adulto, che continua a comprare soprattutto il vinile, che ormai sta superando il cd come numero di copie.
Mescalina: Tendenzialmente preferisco comprare quelli, il suono è un’altra cosa, anche il gesto. Da ragazzina ero cresciuta con i cd, ma il gesto è proprio più bello…
Karim: Non mi ricordo se in questo semestre o in quello vecchio, in alcuni paesi del mondo per la prima volta, dopo l’89-90, c’è stato il sorpasso da parte del vinile sul cd. Una roba allucinante…il CD sta crollando, ogni trimestre perde punti di percentuale.
Mescalina: Si rovinano anche di più…ho CD del 2014 tenuti con tutti i crismi che saltano ed il Sgt. Pepper di mia madre che si sente da Dio…
Karim: Ho sempre comprato vinili e cassette, non ho mai avuto la fase del cd, ho iniziato a collezionare ad undici anni intorno al ’92... c’era ancora la triplice dicitura LP/MC/CD quando usciva un disco.
Ho preso qualche CD soprattutto dal 96 al ’99.
Mi capita di avere dei CD (tipo quelli che ti danno quando sei in tour o che ti danno le etichette), sono nuovi, incellophanati... provo a metterli e non vanno, saltano.
Poi metto un vinile del ’61 che non salta e cassette degli anni ’80 che vanno. Sono finiti i tempi dei cd AAA dei primi 80, quelli erano davvero eterni.
Stanno cambiando gli ascolti, è partito un feticismo verso il vinile che è legato anche ad una moda oggettiva.
A volte fa un po’ ridere perché ricordo che alla fine degli anni ’90 inizio anni 2000 vendevano i vinili usati al chilo…C’erano i negozi di dischi che si liberavano dei vinili al chilo. Però ho preso lp pagati trecento-quattrocento lire al tempo che ora valgono centocinquanta euro. Fa abbastanza ridere.
Mescalina: Hai fatto un affare…
Karim: Ed è comica come cosa, capisci che il mercato è una cosa un po’ così…
Mescalina: Comunque sì, la domanda me l’hai rubata (risate ndr)! Si faccia una domanda e si risponda da solo, come direbbe Marzullo. Negli anni passati, secondo me, c’era una maggiore affinità tra le vostre sonorità, parlo soprattutto dei dischi fino ad Andate tutti affanculo, che poi è quello con cui vi ho conosciuto, e il vostro modo di essere spontaneo, che non è un atteggiamento, una posa, come magari per altri gruppi. Soprattutto con questo disco, ancora di più rispetto a Il Fuoco in una stanza, avete tirato fuori una densità sonora ed emotiva enorme. Da un lato sembrate bischeri, dall’altro c’è un disco che come tematiche e sonorità è estremamente maturo.
Karim: Hai centrato… Io penso che gli Zen fondamentalmente, soprattutto negli ultimi anni, abbiano fatto quasi sempre canzoni “tristi”.
Tristi tra due GROSSE virgolette.
Vanno a toccare il rapporto empatico con il pubblico e facendo un’analisi molto emotiva di quello che abbiamo intorno. C’è questa vena un po’ cinica, quell’ “allegramente fatalisti” del testo di Vent’anni.
Una forma mentis che incrocia l’essere cazzoni (più marcato nei live), con un’analisi testuale e il modo in cui facciamo i dischi molto meno sbarazzina.
È curioso, perché alcuni vedono negli Zen un gruppo folk, soprattutto i vecchissimi fan nel nostro pubblico, quelli che ci hanno conosciuti con Doctor Seduction, Nello Scarpellini e Villa inferno.
Ogni volta salta fuori “la svolta rock degli Zen”.
Secondo me c’è stato uno sbaglio nel vederci come una sorta di Bandabardò o Modena City Ramblers. C’è capitata questa cosa, questo paragone. Sia chiaro, non ho assolutamente niente contro queste band…
Mescalina: No, però siete molto diversi comunque...
Karim: Capita soprattutto con la gente più adulta che non so per quale motivo, ai tempi, ci avvicinò a quel mondo, con il quale non abbiamo punti in comune.
Abbiamo più a che fare con il TruceKlan che con i Modena City Ramblers! Se si parla di provenienza extramusicale.
Ripeto, non è un giudizio su quelle band, ci mancherebbe altro!
Ma siamo lontani dal combat folk, è una roba distantissima oltre che dalle nostre tematiche anche da quello che ascoltiamo.
Sicuramente negli ultimi due tre dischi dal punto di vista testuale ed emotivo si scorge un qualcosa, come dici tu, che va un pochino più in profondità.
Resta però una vena scanzonata non sempre dal punto di vista musicale ma che fa parte del nostro DNA come attitudine.
Siamo cresciuti in un ambiente in cui chi provava a prendersi in modo troppo serioso veniva costantemente preso a pattoni, come si dice a Pisa.
Siamo cresciuti al Macchia Nera (un centro sociale di Pisa dell’epoca ndr), dove ha vissuto tutta la scena punk pisano. Il punk non è un genere presente in quello che facciamo, ma è il sottosuolo in cui siamo cresciuti sia io che Andre che Ufo. Questa cosa crea un approccio policromo, forse anche un po’ schizofrenico. Ti vedi una band che da un lato è ultra cazzona dall’altro fa dei testi che sono tutto fuorché cazzoni e felicioni. Alla fine se tu fai l’analisi delle canzoni più amate degli Zen, e di quelle più ascoltate, non sono i pezzi felicioni…
Mescalina: No, nemmeno i miei confermo!
Karim: I pezzi più ascoltati degli Zen sono L’anima non conta, Appesi alla luna, che ha fatto dei numeri che non abbiamo mai fatto in un tempo così breve, Catene. Non sta diventando una sorta di nuova L’anima non conta.
Ci ha stupito molto questa cosa e ci ha reso felicissimi. Poi Il fuoco in una stanza…Forse i pezzi più felicioni sono Canta che ti passa e Ilenia, che però non è proprio un brano che scoppia di ottimismo.
Il mondo come lo vorrei, invece è un pezzo scanzonato, è un brano che è piaciuto ma che non è entrato nell’immaginario del pubblico Zen in modo marcato come Catene.
Mescalina: No…
Karim: Andrea ha sempre avuto una capacità enorme di mettere tutti e tre emotivamente nei testi delle canzoni, anche quando parla di sé stesso.
Ha questa capacità che io non ho mai avuto, da scrittore di testi ne La notte dei lunghi coltelli e altre band… rimango stupito da come riesca a diventare pura carta assorbente, riesce a mettere i discorsi sul furgone, i discorsi fatti in hotel, in camerino…tutti i satelliti emotivi della storia degli Zen li porta all’interno dei suoi testi. C’è un terreno comune, siamo cresciuti insieme, l’ambiente storico e sociale in cui siamo cresciuti è stato lo stesso, un imprinting che ha creato tra di noi una colla enorme.
Però con questo ultimo album secondo me Andre ha fatto un passo in avanti. A me non piace parlare di maturità... la frutta matura poi cade, però ho sentito, fin da quando Andrea ci ha portato i primi testi, che c’era qualcosa di nuovo, un rapporto con sé stesso e le proprie emozioni diverso. Questa cosa mi ha stregato da subito. Tutti i testi sono arrivati dall’inizio alla fine senza correzioni, dominati da una forza catartica. Si sente soprattutto in testi come “Non” o “Appesi alla luna”.
Sono testi che arrivano dal profondo, da quel mettersi davvero in gioco con sé stessi che non sempre è semplice. Ti metti a nudo in un modo che a volte può diventare doloroso, perché i testi poi li dai in mano a tutti.
Mescalina: Questa capacità di cui dicevi di analisi, di trovare empatia, c’è sempre stata anche nei testi iniziali, che so Vent’anni o Figlio di Puttana. Però forse a vent’anni ci si mette a nudo anche con una qual certa incoscienza e irriverenza. Adesso che come età media stiamo più vicini ai quaranta ha un impatto diverso comunque mettersi così tanto a nudo, anche se in qualche modo c’è sempre un collante tra privato e universale…
Karim: Sicuramente c’è sempre un percorso. Una persona cresce, cambia in modo diverso davanti a sé stesso, cambia il modo in cui si guarda davanti allo specchio e cambia il modo in cui analizza tutto ciò che riguarda la propria sfera emotiva. È una roba ineluttabile, non si scappa da questo processo.
Il modo in cui scrivi le canzoni a venticinque anni non è lo stesso in cui le scrivi a quaranta, nel bene e nel male. In questo album ho visto, dal punto di vista testuale, un mettersi davvero in discussione, presente si negli album precedenti ma mai in modo così estremo. Il testo di Non mi fa venire i brividi ogni volta che ascolto la canzone, e ti posso assicurare che non è una cosa che accade per tutti i nostri brani... siamo sempre ipercritici nei confronti delle nostre canzoni, come secondo me è giusto che sia.
È una qualcosa che a tutti e tre è successa per poche canzoni... ti arriva uno schiaffo sul viso mentre la suoni. Per Non, Catene, Appesi alla luna e L’anima non conta è capitato.
Mescalina: Andrea in un’intervista mi aveva raccontato che in studio, da un po’ di anni a questa parte, lavorate tantissimo, molto di più rispetto a dischi precedenti. Mi spiegava che non ci fossero synth e le chitarre fossero filtrate e cose simili. Questo lavoro ora si sente molto di più. Quando però si potrà, si spera presto, tornare ai concerti, questa massa sonora dal vivo come pensate di portarla? Ampliando la formazione rispetto al Maestro e al Geometra? O fate proprio un macello voi, come quando i CCCP dicevano a noi piace far casino?
Karim: I pezzi sono stati provati prima con questa formazione, e suonavano già tanto così. Chiaramente il mix e la produzione fanno sì che tu riesca a lasciare nell’album un’impronta sonora di un certo tipo. Tutti i brani giravano molto bene in cinque.
Mescalina: Il disco è stato lavorato veramente tanto, quindi ero curiosa di sapere se aveste pensato appunto a come portarlo live.
Karim: Questo disco a livello di recording e produzione della batteria è uno dei più naturali della nostra carriera.
Ho registrato la batteria come si registrava negli anni ’70 fondamentalmente.
Non c’è nessun tipo di editing, di quantizzazione. I Daw, Il digitale, è arrivato negli anni ’90, e da quel momento editare, mettere in griglia, quantizzare è diventata una cosa normale, lo abbiamo fatto anche con gli Zen.
C’è stato anche un percorso di produzione per la batteria meno invasivo rispetto a Il fuoco in una stanza, ci sono pochi trigger, è prodotto in modo molto naturale.
Sicuramente c’è un lavoro di chitarre gigantesco.
I pezzi prima di registrarli suonavano già bene, giravano meglio rispetto ad alcuni brani de Il fuoco in una stanza. Penso a L’ultima casa accogliente, con un finale totalmente improvvisato in sala prove, un’improvvisazione che poi abbiamo poi arrangiato a mente fredda, ma che era nata in cinque.
Mescalina: Questo è un disco che parla molto del corpo, il corpo poi in qualche modo è il mediano tra noi e la realtà. È nato prima del lockdown, se non sbaglio solo Come se provassi amore è stata scritta in questo periodo
Karim: Esatto…
Mescalina: Il lockdown è stato, e per certi versi continua a essere, sostanzialmente una negazione della fisicità. Cosa si prova a parlare di corporeità in un mondo che a prescindere dal Covid, anche pensando al discorso fatto prima sul supporto, tende alla smaterializzazione, penso anche alla società liquida di Bauman…
Karim: Sicuramente il modo in cui abbiamo costruito questo disco ci ha sorpreso per come, in modo causale, ha visto estendere il proprio significato con l’arrivo del Covid. Il tema del corpo è sempre attuale, in un modo o nell’altro.
Il concetto di corpo come prigione, schiavo della caducità del fisico, e la paura della fine fisica del nostro corpo è un tema che, volente e nolente, non invecchierà mai.
Credo che tutto il mondo dei social abbia esasperato la cosa.
Esiste un rapporto col proprio corpo che con i social è diventato distopico.
Vige un’ossessione per il proprio corpo che sta sfociando verso lidi pericolosi... il non riuscire a percepire la vera differenza tra la vita reale, la realtà del nostro fisico e quello che facciamo vedere sui nostri social è molto pericoloso a livello psicologico e sociale.
Poi è arrivato il Covid, un virus che ha portato la morte per la prima volta nella vita di molte persone, soprattutto tra i giovani. Qualcuno ha visto morire il nonno, chi lo zio, questo ha portato ad una riflessione forzata da parte della società nei confronti della morte.
Sono settantacinque anni che in questo paese non c’è una guerra, non abbiamo avuto carestie nel periodo contemporaneo.
La paura della distruzione fisica è esplosa nel viso a tutti in un modo o nell’altro. C’è chi ha avuto le spalle più larghe, perché purtroppo già abituato alla quota di morte e dolore della vita, chi meno. Questo ha portato il disco, in modo totalmente casuale, ad essere legato a quello che sta succedendo, assumendo così un’altra sfumatura.
Si è creato un cortocircuito allucinante tra il fisico ed una proiezione social del fisico totalmente esasperata.
Durante questo lockdown ho notato che il tema del corpo sui social era presente costantemente. Persone che non avevano mai fatto sport dal nulla hanno sviluppato un’ossessione per l’esercizio fisico.
Forse l’unica cosa che ci rimaneva per affermare il nostro fisico quando eravamo chiusi in casa erano i social ed il nostro corpo.
Se ne è parlato molto con Ufo e con Andre, si è vista un’affermazione del corpo, un prenderne possesso di fronte al pericolo. Questa cosa mi ha colpito moltissimo. Nel mentre stavamo facendo il disco, avevamo le preproduzioni fatte a Livorno, dove per fortuna avevamo fatto due settimane suonando dieci ore al giorno, registrando, e quindi ci ascoltavamo i pezzi ogni giorno, ognuno li lavorava a casa, ci sentivamo spessissimo. E questa cosa rendeva il tutto ancora più attuale. L’ultima casa accogliente come titolo è stata deciso a febbraio. È una specie di profezia che si autoavvera, che a mio avviso ha reso il tutto più computo, non so come spiegartelo altrimenti, ha reso il disco più attuale. Non abbiamo mai visto dal nostro pubblico una reazione così forte all’uscita di un album.
Una cosa che ci ha reso felici in modo incredibile. Ci è arrivata una reazione enorme, migliaia tra messaggi, direct, mail, persino lettere, in cui c’era un’empatia enorme tra i fan, come se il nostro pubblico avesse bisogno di qualcosa del genere, nello stesso modo in cui ne avevamo avuto bisogno noi.
Con questa lunga e ricca riflessione ringrazio e saluto Karim, con l’augurio reciproco di vederci presto a un concerto. L’ultima casa accogliente ha aperto le porte, occorre solo entrare e Karim ci ha fatto da Virgilio.
Foto di Ilaria Magliocchetti Lombi
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