interviste
The Zen Circus Un fuoco inesauribile da oltre vent’anni
In un pomeriggio uggioso di una primavera balzana nel quartiere romano di Prati abbiamo incontrato Andrea Appino degli Zen Circus. Ne è uscita una lunga chiaccherata che forse, più che sviscerare l’ultimo disco uscito "Il fuoco in una stanza" , ci ha aiutati a far capire come sono cresciuti i nostri cari bischeri e come forse siamo cresciuti anche noi con loro.
D: Ciao Andrea per prima cosa grazie da parte della redazione di Mescalina e da tutti i nostri lettori. Innanzitutto come è stato il botto del 1 maggio, suonare comunque di fronte ad una platea di 30000 e rotti persone?R: Guarda bello. Ma abbiamo una legge abbastanza chiara, in base alla quale per quanto ci riguarda ogni palco è importante a suo modo. Da 2 persone a 30000 non c’è fondamentalmente differenza se non quella che in questo tour che stiamo facendo ora, che insomma è un tour incredibilmente figo, suoniamo 2 ore e un quarto, lì abbiamo suonato un quarto d’ora, nemmeno il tempo di accorgersene . Però era bello soprattutto per il valore che ha suonare per una festa che è dedicata al lavoro; visto che la parola lavoro compare almeno 3 volte a disco, per dei motivi ben specifici un po’ legati alla nostra storia un po’ legati a cosa intendiamo noi per lavoro: è sia il lavoro salariato tanto quanto il lavoro di vivere, che comunque sia è un lavoro anche quello ed è una concezione che noi ci teniamo sempre a tirare in ballo. Quindi è stato molto bello.
D: I Minuteman cantavano “Our band could be your life”. Il fuoco in una stanza ha comunque brani come Catene dove si descrive comunque l’io, la coppia e le relazioni. In qualche modo pensate che possa contribuire in qualche modo a rendervi un gruppo che entri nelle vite di chi vi ascolta, forse in misura maggiore rispetto ai dischi passati?
R: Guarda, in realtà non ci poniamo il problema di questo, nel momento in cui c’è una legge non scritta che abbiamo che è quella per cui quello che cantiamo è la verità a cuore aperto, per quanto più possibile, di quello che stiamo vivendo noi e le persone che abbiamo vicino in quel dato momento. Quindi non facciamo mai calcoli di questo tipo, che è forse il motivo per cui c’è stata empatia negli anni con le persone. L’empatia con le persone credo sia nata proprio per il fatto che sanno che dagli Zen non c’è un calcolo legato a come vogliamo avvicinarci alle persone, quanto piuttosto un’urgenza di raccontare delle cose che a volte sono personali nostre, mie nel mio caso perché scrivo i testi. Altre volte sono cose vissute da persone che abbiamo accanto e che a volte sono fan. Ci sono delle meta - canzoni tipo Ilenia, una canzone che non abbiamo scritto noi, ma è un carteggio con una fan. Quindi in realtà non è tanto per quello che ci siamo avvicinati all’intimità, ma perché in questo momento storico l’intimità è uno specchio molto forte di quanto invece l’idea di collettività non sia più vista di buon occhio come era visto invece dalla mia generazione perché magari c’era più speranza. Però la speranza, come diceva Monicelli, è una trappola. Quindi siccome non vogliamo sperare, come disse invece Piero Pelù, “Chi visse sperando morì, non si puo' dire”, diciamo che non vogliamo sperare, semplicemente vogliamo raccontare quello che abbiamo intorno. E in questo momento vediamo tante persone, tanti amici, tanti ragazzi che stanno vivendo una vita molto legata nella loro stanza, quindi abbiamo occupato la stanza di Gino Paoli e ce ne siamo impossessati per parlare dall’intimo, però sempre guardandosi intorno. Perciò l’idea è sempre la solita, quella di cercare empatia , una collettività e il sociale partendo però stavolta da stanze più intime, è quello il percorso. Non è però un percorso legato all’idea di empatizzare di più con i nostri ascoltatori, quanto piuttosto di sentire, per quanto mi riguarda per i testi, un’urgenza mia necessaria in questo momento della mia vita, tutto lì.
D: I video dei primi singoli sono caratterizzati dal giallo come colore dominante, che per certi versi è anche un elemento un po’ disturbante, come quando da piccoli si scriveva e magari ti dicevano “non usare il giallo perché disturba”. E’ in qualche modo una scelta voluta? E cosa c’è che ritieni che sia un elemento disturbante nel disco?
R: Allora per quanto riguarda i video no, perché noi facciamo schifo a dare un immaginario visivo alle vostre canzoni quindi lo deleghiamo a persone che lo sanno fare molto meglio di noi. Queste persone ovviamente le scegliamo noi, collaboriamo in base a cosa vogliamo fare, abbiamo un’idea vaga, però è tutto merito loro (risate ndr) quindi bisognerebbe chiederlo ai Ground’s Oranges a Catania, che sono i ragazzi che si sono occupati di fare questi due video e il prossimo. Quindi non te lo so dire, sono un ex pittore fallito quindi l’ultimo che dovrebbe parlare, sono arrivato alla musica solo perché avevo fallito come disegnatore. Detto questo l’elemento disturbante che ci può essere non in questo disco, ma in tutta la carriera degli Zen penso sia uno e uno solo soltanto, la non ricerca di felicità: non è una prerogativa delle nostre canzoni, non è una prerogativa della nostra vita, non è una prerogativa della nostra band. La nostra band non è nata cercando il successo, non è nata cercando un pubblico; è nata cercando una comunità piccolissima agli esordi dove sentirsi meno soli, dove in qualche modo poterci urlare contro i problemi e le cose che non ci tornavano di noi stessi e del mondo che avevamo intorno. Questa cosa è un po’ rimasta, continuiamo a credere vivamente che servano gli errori e che serva anche un po’ d’Inferno per intravedere il Paradiso. Quindi di sicuro è disturbante, magari vedendola dal punto di vista per cui dalla musica non sempre ci si aspetta di sentirsi dire che non andrà tutto bene: noi non è che lo diciamo perché siamo nichilisti, che poi il nichilismo è una parola di cui potremmo parlare per ore, ma semplicemente perché pensiamo molto di più alla sostanza, all’idea dell’ora e adesso e al dolore e all’oscurità come parte integrante della vita, qualcosa da tenersi caro, da coccolare, da non abbandonare il più lontano possibile solo perché tutti ci vorrebbero in qualche modo sereni. E’ ovvio che è bello essere sereni e che anch’io preferisco essere sereno ma non è la ricerca della serenità quello che mi interessa, quanto il vivere appieno qualsiasi cosa succeda. In queste cose c’è anche molto dolore,come diceva Lucio Dalla “è il dolore che ci cambierà” e sono assolutamente d’accordo. Penso che chiederlo a chi in questo momento lo sta vivendo o lo vive su una persona molto cara ti potrebbe aiutare a far capire cosa intendo: chi sta vivendo momenti di dolore fortissimo muta, trasmuta, dà tutto un senso diverso all’idea di serenità, di tranquillità, di prendersi cura di sé. Quindi nulla, cerchiamo solo di non nascondere niente, può essere disturbante, mi rendo conto che può esserlo nel momento in cui si ascolta una canzone sentirsi dire cose che magari non si vorrebbero sentire. Però non vogliamo nemmeno essere disturbanti, volerlo essere è già di per sé una cosa ridicola, mentre esserlo perché lo sei in generale va bene, è meglio.
D: Infatti è quella che i Management del Dolore Post – Operatorio chiamavano anche la gioia di vivere male, per certi versi, quando dicono “non cantiamo la gioia di vivere ma la gioia di vivere male”…
R: Assolutamente sì…
D: Ascoltando il disco l’effetto in presa diretta sembra un po’ venire meno, a favore di una maggiore ricerca che, secondo me, rispetto ai dischi precedenti ha portato ad un lavoro che non ha avuto nemmeno un momento di calo di tensione, se uno andasse a tracciare una curva. E’ cambiato qualcosa nel vostro approccio in sala d’incisione?
R: Tutto vero. Non è proprio che sia cambiato il rapporto con la sala d’incisione, quanto che noi dal 2015 abbiamo uno studio che condividiamo con il nostro socio Andrea Pachetti, che salutiamo. In questo studio abbiamo riunito tutti i nostri strumentini, le nostre follie, i nostri macchinari, con cui facciamo anche produzioni ad altri artisti. Abbiamo fatto il disco di Dente, il disco di Bobo Rondelli eccetetera eccetera. Succede che quindi che noi in studio non entriamo o usciamo… ci abitiamo (risate ndr), quindi sì è diverso rispetto a Canzoni contro la Natura, che abbiamo sempre registrato noi ma non nel nostro studio, e dove abbiamo registrato veramente la band intera e poi ci abbiamo lavorato sopra, la cosa più punk che potevamo fare in quel momento, per noi. Da La terza guerra mondiale a Il fuoco in una stanza lavoriamo anni, per Il fuoco in una stanza si parla di più di un anno di studio, dove cerchiamo di stare dietro a ogni singola particolarità. Questa è una cosa della quale dubito faremo a meno prossimamente, perché è una cosa che io adoro, in quanto nerd di studio, in quanto sono quello che mixa il disco. Ed è anche una caratteristica forte del nostro suono: ovvero da quando ci produciamo noi secondo me abbiamo trovato il suono che volevamo, che è anche un suono moderno, non è un suono rock, assolutamente, anzi è un suono che vira anche verso il pop , che ha molte commistioni con l’elettronica. Molti mi hanno detto “ Ah avete usato un sacco di synth” In realtà son tutte chitarre, ma son tutte filtrate. In generale sono più felice così. E’ ovvio che facendo così ci metti molto più tempo, ma ottieni anche secondo me risultati più interessanti. Considera che è 20 anni che suoniamo quindi abbiamo un’enorme voglia di sperimentare, di lavorare in studio, di cercare suoni, è anche una fase molto divertente, non ci fosse quella... non so… non metto in dubbio che forse un giorno faremo un altro disco in presa diretta. Ora come ora proprio no.
D: A proposito della vostra attività come produttori, tu Bobo Rondelli Karim i Cara Calma, avete scisso in qualche modo il produttore dal musicista o l’esperienza del produttore si riversa, c’è una sorta di corrispondenza biunivoca?
R: Ho sempre registrato altre band, anche la prima band di Karim quando non suonava con noi, quindi si parla di anni ’90. Ho sempre registrato, son sempre stato appassionato di audio, di registrazione, semplicemente non ero convinto delle mie capacità e quindi ho sempre delegato ad altri. Però l’ho sempre fatto e mi son reso conto che in 20 anni di esperienza qualche aiuto in sala d’incisione posso darlo a qualcuno. Oppure qualcuno cerca un certo tipo di suono e questo certo tipo di suono mi viene richiesto. Però non è una scissione, il mio amore per la musica è totale, considera che per quanto sia 20 anni che suono con gli Zen, ormai siamo veramente oltre i 1000 concerti, siamo perennemente impegnati ed io quando ho un giorno libero vado a vedere concerti. E’ proprio una malattia mentale (ride ndr) che fa sì che se mi chiedono di fare un disco negli unici dischi in cui non posso fare niente lo faccio: dipende chi, dipende cosa, dipende come ma lo faccio. Questo per quanto mi riguarda, Karim non lo so.E’ una passione differente, però è la solita passione, la musica
D: Senti però c’è stato un brano che proprio non ne voleva sapere di uscire come volevate, che vi ha proprio fatto sputare l’anima, come si dice a Roma?
R: Quindi tu intendi un brano che non è uscito come volevamo?
D: No, no… Un brano per il quale ci avete messo di più, perché magari può capitare che qualcosa esca bene al primo colpo, per il quale uno faccia solo le rifiniture, quasi buona la prima,mentre ci sia invece qualcosa per la quale stai lì, che dici “no no manca qualcosa” …
R: In questi ultimi due dischi col metodo in cui lavoriamo è impossibile che sia buona la prima, i brani sono tutti lavoratissimi dall’inizio alla fine, quindi sono tutti come dici te, su tutti piangiamo lacrime amare per mesi e mesi, questo perché abbiamo veramente in mente come devono essere e quando poi arrivano lì è finita.
Questo (brani che oggi non li soddisfano appieno ndr) è invece successo prima, quando o delegavamo la produzione o registravamo in presa diretta, insomma nei dischi passati ci sono cose che cambierei, che non mi piacciono. Diciamo che prima non c’era l’idea che il brano doveva essere prima nel nostro cervello e poi essere in quella maniera lì. Non c’era o delle volte c’era ma non succedeva mai. Negli ultimi due dischi tutto quello che si sente è tutto quello che volevamo e ancora oggi li sento e dico: “Bomba è quello che doveva essere”.
D: Il brano a cui sei maggiormente legato de Il fuoco in una stanza?
R: Ogni scarrafone è bello a mamma sua, però sono sicuramente molto legato a due brani in particolare. Uno è Caro Luca, perché è una lettera vera che ho trovato nel computer a un mio carissimo amico, quindi sono molto legato sia per quello che per la libertà che ha Caro Luca di essere un brano pianoforte e orchestra in un disco degli Zen, che è l’inizio di un percorso che possiamo fare dove vogliamo. E poi ovviamente Catene perché è una delle 5 canzoni della mia vita per cui ho scritto contestualmente testo e musica in un’ora, dopo un evento particolarmente legato ai miei genitori. E’ entrata in questa top 5 incredibile, perchè è veramente raro nella vita… E’ successo con Figlio di Puttana, Vent’anni, quindi tutte sparate negli anni, Catene e poche altre che ora non ricordo. Quindi ci sono molto legato anche per quello.
D: Passando proprio ad altro, una volta hai detto che il 2018 sarebbe stato l’anno dei toscani…
R: Dei pisani (risate ndr)
D: No… hai detto toscani in generale… Quindi chi vincono Pisani o Livornesi ? (risate ndr)
R: (sempre ridendo ndr): No sono certo al mille per mille che ho detto che sarebbe stato…
D: Guarda che ho due testimoni …
R: L’anno dei pisani…
D: Sicuro?
R: Sono certo per un motivo ben preciso e logico che è abbastanza facile da intuire…
D: Che si nato a Pisa (risate ndr)
R: Sono nato a Pisa io ed è nato a Pisa anche un altro. Quindi scherzando col Motta dicevo che il 2018 è l’anno dei Pisani,ma per scherzare così, era stupido.
D: Grazie ancora da tutta la redazione di Mescalina ed in bocca al per l’ultima data del tour e per quello che verrà questa estate e dopo.
R: Grazie a voi ragazzi.
Info:
https://www.facebook.com/thezencircus/
https://www.instagram.com/zencircus/?hl=it
https://www.youtube.com/channel/UCDvQxWZqH3DgeyKBNotgPsA
http://www.latempesta.org/
http://www.bigtimeweb.it/
http://www.locusta.net/
http://www.woodworm-music.com/management/
Foto di copertina di Ilaria Magliocchetti Lombi. Foto allegate all’articolo di Arianna Marsico
Si ringraziano Claudia Felici (Ufficio Stampa Big Time) per la precisione e la disponibilità, Andrea Appino per la voglia di aprirci le porte del Circo Zen ed i due testimoni della chiacchierata al Monk.