The Zen Circus Il fuoco in una stanza
2018 - Woodworm Label/La Tempesta – distr. A1
And the songs that made you cry”
(The Smiths, Rubber song)
E gli Zen Circus (ora con Francesco Pellegrini in pianta stabile, che ha scherzosamente affermato di essere stato sequestrato in Sardegna ed essersi ritrova su un furgone) con Il fuoco in una stanza sono riusciti a condensarle proprio tutte le canzoni (proprie ed altrui) che li e ci hanno fatto piangere e sorridere, quelle che ci hanno fatto sentire compresi quando il mondo sembrava non essere in grado di capirci. Hanno creato spaccati che fotografano la propria vita e quella di chi è praticamente cresciuto con loro, e quello che hanno vissuto fluisce nelle canzoni (“e io qui, sopravvissuto a Chernobyl, ai Nirvana ed i playmobil, a Bin Laden e la serie B” Il mondo come lo vorrei). Riescono a parlare a tutti parlando di se stessi, descrivendo il dolore nelle incomprensioni con chi si ama di più. A farle deflagrare magari non ci sarà la guerra in Vietnam di Pastorale Americana, ma può bastare la differenza che “sta tutta fra il mondo che subiamo e quello che immaginiamo” (La stagione).
Catene, il primo singolo, è un concentrato di amore inespresso che scioglie il ghiaccio del cuore di chi ascolta e che pulsa contratto come le chitarre durante le strofe, che poi si dispiegano durante un ritornello lancinante e liberatorio in cui dall’amore più puro ed incondizionato che è quello che lega ai nonni si parte per scandagliare i fondali di ogni legame. E’ un brano che dimostra appieno quanto Appino, Ufo e Karim siano cresciuti dagli esordi busker ma di come abbiano saputo farlo senza tradirsi e tradirci, ossia restando maledettamente sinceri. E’ un brano che parla di rapporti e morte senza paura e che sanguina, un brano dai colori forti, non dalle tinte tenui, che non è un caso riempiano la scena del bellissimo videoclip (con la regia di Zavvo Nicolosi).
Non hanno paura di giocare su diversi registri sonori, di arricchire il quartetto rock con una orchestra vera e propria.
Essa arricchisce, tra gli altri brani, Un mondo che vorrei, impreziosita anche dalla partecipazione di Tommaso Novi (I gatti mezzi), Giorgia D'Eraclea (Giorgieness), Andrea Pachetti. Il risultato ha la levità di una fiaba, la forza di un montante nello stomaco e l’intensità di Otis Redding.
Sono umano mantiene quel cinismo e quel ritmo cadenzato di It’s paradise (Andate tutti affanculo, 2009) e sul finale si carica delle voci di Giorgia D'Eraclea e dei ragazzi e le ragazze del Nuovo Teatro delle Commedie di Livorno. Anche Emily no respira qualcosa dell’aria degli inizi, eppure sembra quasi che Emily prenda per mano sia la ragazza eroina che Ilenia e che corrano via insieme.
Nell’ascoltare il disco sembra che la vena “dolce” che trapelava dallo sguardo di Laura “che guarda il mare come lo sanno guardare soli i figli del nord est” (L’anima non conta) abbia preso coraggio e accarezzata dall’orchestra sgorghi senza timori. Il fuoco in una stanza non è infatti banalmente una canzone d’amore ma riesce ad essere anche una anti- canzone d’amore, perché la solitudine rimane anche se le immagini del video fanno sembrare che venga lenita in qualche modo (“Non basta una città intera per sentirti meno sola”), perché ci si rende conto che “stiamo diventando come i nostri genitori”.
Low Cost dietro una sezione ritmica splendidamente compatta e dei riff mai così nitidi cela un carico di incertezza e dolore, come se il protagonista fosse un pugile preso a pugni dalla vita “la giacca che mi porto addosso […] non è la pelle di un animale […] ma di un amico perso […] riscalda ma fa male”. Quello che funziona dopo una meravigliosa esplosione alla Pixies arriva a Piazza Vittorio a Roma e passeggiando per la Città Eterna e la sua confusione trova smarrimento. Irriverente si inserisce nella tracklist La teoria delle stringhe, che miscela rock’n’roll, fisica ed evoluzionismo.
Questa non è una canzone ha un qualcosa di lieve e sulfureo assieme, è una lama che affonda lenta dentro la carne fino agli arpeggi finali che quasi rassicurano dopo l’inquietudine.
Il pianoforte di Tommaso Novi apre la finale Caro Luca, lettera indirizzata a un amico perso ma soprattutto ad un io che non ha mai trovato il senso dietro le proprie paure.
E’ un finale inaspettato, come un fiocco di neve in primavera, con i tasti neri e bianchi che scrivono parole bellissime. E “finalmente libera” ed in grado di volare è anche la musica degli Zen Circus.