Cesare Basile Tu prenditi l’amore che vuoi e non chiederlo più
2015 - Urtovox / La Fionda / Overdrive / Audioglobe / iTunes
Di grande valore simbolico appariva il rifiuto della Targa Tenco assegnatagli nel 2013 per il miglior album dialettale (Cesare Basile, Urtovox), con cui il cantautore prendeva posizione contro gli attacchi della dirigenza della Società Italiana degli Autori ed Editori, tra gli sponsor del premio, nei confronti del Teatro Valle di Roma e più in generale dei teatri occupati ed autogestiti d'Italia. Basile, parte attiva del Teatro Coppola di Catania dal momento della sua occupazione, sceglie adesso di liberare definitivamente il proprio lavoro dalle maglie del sistema feudale della SIAE e di qualsiasi altra società di collecting, facendo di Tu prenditi l'amore che vuoi e non chiederlo più una “canzone che non chiede permesso d'esser cantata”.
Inutile segnalare riferimenti musicali di qualsivoglia natura. Lo stile del cantautorato di Basile è ormai consolidato e riconoscibile nell'accezione migliore del termine, riuscendo ad esaudire in se stesso la propria definizione. E non è cosa da poco.
Un blues intriso di fumo e un folk ricoperto di catrame; liriche che, alternando italiano e dialetto siciliano, carezze e pugni nello stomaco, nella loro semplicità ed immediatezza, mai contrari di ricercatezza, racchiudono la vera essenza dei personaggi che le animano. L'autore stesso definisce l'album “una lunga canzone, racconto di pupari, ladri, cantastorie, travestiti innamorati di Cristo e saltimbanchi della barricata. Un'invettiva di cenci intrecciata ai nomi di chi un nome non ce l'ha, non ha appartenenza né ingaggio, prestazione o valore di scambio".
Si parte con Araziu Stranu, splendida soggettiva dello storico cantastorie siciliano Orazio Strano, nonchè autoritratto di un Basile che, seguendo proprio quel solco, vuole cantare dell'eterna guerra e vuole farlo "a cannarozzu chinu". Segue la circense e potentissima messa in musica di Franchina, orgia di piatti, fiati e rullanti, crocifissi e puttane, minne e assoluzione. Quest'ultimo brano porta il nome di un travestito innamorato di Cristo del quartiere San Berillo di Catania ("tuttu petri, buttani e buttaneri"), tra i protagonisti del film di Maria Arena Gesù è morto per i peccati degli altri, alla cui colonna sonora ha collaborato lo stesso Basile.
Da La vostra misera cambiale, perla di rara bellezza che vede Rita "Lilith" Oberti alla voce, alla tarantella anarchica e distorta di Ciuri, fino alle trame blues di Filastrocca di Jacob detto il ladro e alle atmosfere sospese di Di quali notti, Basile canta di autoassoluzioni e di poteri che sopravvivono alla loro stessa putrefazione, di derelitti ed emarginati, di sopravvivenza, di una libertà che fa schifo se alleva miseria, di dignità e di ribellione che si fanno binomio indissolubile.
Cesare Basile è tutto questo, ma non solo. E' anche il magico potere di cantare d'amore e di dolore senza mai scadere nella banalità (vedi title track); è l'autenticità palpabile, la necessità non solo artistica che, strabordando, oltrepassa rime e pentagrammi.
In barba ad un certo cantautorato autoreferenziale e galleggiante, che arreda le proprie stanze con pezzi di modernariato finto vintage, Tu prenditi l'amore che vuoi e non chiederlo più si rivela, piuttosto, una putìa senza tempo, in cui, circondato da più che validi artigiani (Andreani, Recchia, Ferrarotto, Rondanini, D'Erasmo, Agnelli, Gabrielli e Norato), il capomastro Basile si fa intagliatore di miseria e rivalsa. La sua è una musica che vive e che pulsa, che non dispensa dinamite gratuita, ma porge fuoco con mani callose; ferraglia arrugginita ed incandescente, tetano benefico e purificatore.