Cesare Basile Gran calavera elettrica
2003 - MESCAL / SONY
Così facendo ci si trova ad entrare in un luogo che incute rispetto e che fa risuonare ogni passo. Recensendo “In coda” avevamo avuto la sensazione di una solitudine estrema, eremitica, e l’album la conferma, mettendo l’ascoltatore di fronte ad un cammino necessario e doloroso.
Già il titolo, (“calavera” è “teschio” in spagnolo), ispirato all’artista folk messicano Posada, impone di parlare di uno “spettro” musicale: gli strumenti vengono usati con un’essenzialità estrema, cruda anche nei passaggi più elettrici.
Ogni canzone è “una trave che scricchiola”, che si regge su un equilibrio apparentemente precario: le fondamenta poggiano tanto su De Andrè e Ciampi, su Hank Williams, Townes Van Zandt e Howe Gelb quanto sulla Bibbia, Faulkner e Ray Brandbury.
Nonostante il lavoro di John Parish in fase di produzione / arrangiamento e di John Bonnar dei Dead Can Dance agli archi, il disco ha radici in terra siciliana: oltre all’autore, compaiono altri siciliani “doc” come Hugo Race, Marta Collica, Lorenzo Corti e persino un sample della voce di Uccio Aloisi, che ne è degno compare.
Basile ha una scrittura oscura, carica di simboli e di crudeli brevità, perché certe cose vanno dette per quello che sono, con poche parole e senza fronzoli. Canzoni come “Apocrifo” e “L’albero di Giuda” sono tutt’altro che “politically correct”: non fanno nomi, ma puntano il dito contro un’umanità responsabile del proprio inferno.
Tutti siamo coinvolti e a tutti toccherà la stessa sorte, come già cantava De Andrè e prima di lui Edgar Lee Masters ne ”L’antologia di Spoon River”. Questo album fa tabula rasa dei suoi predecessori (“Closet meraviglia”, “Stereoscope”, “La pelle”), afferra la canzone d’autore italiana, la spoglia di qualunque veste e la sottopone ad un’esame di coscienza che arriva a torchiarle le interiora.
“Senza sonno” e “Pietra bianca” sono punti di rottura, che si fermano prima di sfogarsi, stridendo ancora più di quanto facessero una volta gli Afterhours. Squarci di una bellezza segnata dal dolore: in questo contesto anche le voci di Nada e di Marta Collica arrivano come quello di un angelo nero. A tema sono anche lo strumentale funereo “Waltz # 4” e la cover di “Little bit of rain” di Fred Neil, un commiato che si stacca (volutamente) dal resto del disco per via dell’inglese.
Basile è un Giovanni Battista che affronta la morte a viso aperto, un pazzo che urla nel deserto, che non teme il giudizio della gente (“calavera” sta anche per “azzardo”).
Questo disco ci consegna un nuovo profeta: basta avere orecchie per ascoltarlo.