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Catania
e Berlino: basterebbe evocare queste due città, con i
loro colori tanto vividi quanto spenti, tanto abbaglianti
quanto scuri, per descrivere la musica di Cesare Basile.
Siciliano di nascita, ma formatosi musicalmente nella
capitale dell'allora Germania Est, questo songwriter ha
sviluppato uno stile che riflette la luce di una terra
brulla, arsa dal sole, e le ombre di una città muta, prigioniera
della propria storia. Da una parte una sicilianità rurale
e dall'altra un'urbanità grigia, entrambe chiuse su sé
stesse.
Detto in altre parole, il folk e il rock più intestini.
Oggi Basile vive a Milano, che è un compromesso, più o
meno a metà strada, tra i due estremi: agli occhi di un
"terrone" emigrato probabilmente un luogo altrettanto
recluso per via della sua cappa di smog e del suo "fiato
marcio".
Ma andiamo con ordine. |
. Pietra bianca
Cesare Basile nasce il 7 febbraio del 1964, a Catania
si diceva, e del meridione si porterà sempre dietro lo
sguardo atavico, segnato da un tempo lento, quasi opprimente
nel suo scorrere (provate a guardarlo negli occhi e vi
sembrerà di scrutare due fosse che ancora si stanno scavando).
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Dopo
aver mosso i primi passi con i Candida Lilith, i Kim Squad
(questi a Roma) e i Quartered Shadows (di ritorno a Catania),
si trasferisce a Berlino, dove il muro è appena crollato:
"Catania a un certo punto era diventata una gabbia
autoreferenziale, avevo bisogno di capire come stessero
realmente le cose e Berlino, in quanto città di frontiera
e crocevia d' Europa, mi sembrava il posto più adatto".
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Qui
la sua musica comincia ad assumere un respiro non proprio
salubre, ma comunque vitale: con i Quartered Shadows registra
"The Last Floor Beach", prodotto da Mark De Reus, e apre
per Nirvana, Hole e Primus. Il suono è molto underground
e il gruppo si scioglie, mentre lavora al terzo disco.
L'esperienza berlinese è comunque fondamentale per assumere
una cultura di rock europeo ed americano, che Cesare fonderà
con la parte che più gli è congenita della tradizione
italiana: |
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"Berlino
è il luogo che più di ogni altro nella mia vita mi ha
fatto dire "da qui non si torna più indietro", una linea
netta fra quello che ero stato prima di allora e dopo.
Cantavo già in italiano, però al mio ritorno mi sono
concentrato molto di più sull' uso della lingua per
piegarla a strutture musicali che ben poco hanno di
italiano, almeno in senso tradizionale"..
Levigate
così le proprie capacità a suon di rock underground,
blues e folk, Basile torna a Catania con un bagaglio
e soprattutto con una coscienza ormai adulta.
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.
Primo concime
Nel 1994 incide il suo primo disco solista, "La pelle",
che esce l'anno successivo per la Lollypop Records,
con la produzione ancora di Marc De Reus. Suonato con
Gaetano Messina (violino), Vito Porto (hammond, piano,
fisarmonica), Massimo Ferrarotto (batteria), Daniele
Bontumasi (basso) più membri dei Quartered Shadows e
degli Uzeda, l'album è importante, perché viene considerato
uno dei migliori esordi di quell'anno, ma soprattutto
perché comincia a presentare quel mondo di sconfitti
e di ferite su cui Basile edificherà la propria poetica.
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Ci
vogliono quattro anni per avere un seguito, a conferma
di come Cesare sia uno che lavora con un passo che non
è quello del music business. "Stereoscope" esce nel 1999,
per la Mercury / Blackout, e vede l'ingresso in formazione
di Marcello Sorge, batterista la cui presenza diventerà
fissa in tutta la produzione successiva. Altro contributo
significativo è portato dalla voce di Marta Collica, anche
lei una costante d'ora in poi. Il cammeo poi di Mauro
Ermanno Giovanardi (La Crus) è solo la conferma più evidente
di come la musica di Basile si stia facendo pezzo dopo
pezzo più folk, più autorale, e non solo per via del canto
in italiano. |
. Fuori da questo
picchiare di testa
Questa tensione è confermata da "Closet meraviglia"
(2001, Extra Labels), che si avvale della presenza in
fase di produzione di Hugo Race, spirito affine formatosi
con Nick Cave ("Con Hugo ci siamo incrociati a Berlino,
ma abbiamo cominciato a suonare insieme al mio ritorno
a Catania. Lui non suonava già più con i Bad Seeds ed
era già coinvolto in diversi progetti, tra cui Sepiatone
con Marta Collica"). Il lavoro sugli arrangiamenti
è più sviluppato grazie agli archi diretti da John Bonnar
(Dead Can Dance), ai fiati di Roy Paci, alla presenza
diffusa di Marcello Caudullo (chitarra, Fender Rhodes,
organo, marranzano, theremin) e agli interventi di Lorenzo
Corti (chitarre).
"Closet meraviglia" è disco di calce e pece, con una
coltre spessa che non riescono a sciogliere nemmeno
il sesso e l'alcol onnipresenti. Basile non tradisce
le sue origini underground e le sue ossessioni recondite,
anzi, proprio su quest'ultime focalizza la propria attenzione
lasciando intuire che lì c'è qualcosa da scoprire:
"Qualche
cosa lì
da qualche parte
qualche cosa lì fuori
fuori da questo picchiare
di testa
qualche cosa lì fuori
giusto fra me e la scena
fra la fame ed i morsi
fra il tuo corpo e la cena"
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È
evidente quanto Cesare sta improntando il suo songwriting
su un'essenzialità primordiale, tanto dal punto di vista
testuale quanto musicale. Brani come "Nostra signore dei
coltelli" e "La suonatrice di hammond" scavano in storie
che hanno un'eco antica, in destini segnati dal tempo
o forse da un'entità superiore. Ed i personaggi vivono
più di privazioni che di desideri, più di assenza che
di carne, più di pezzi che di corpo.
Per cantare tanta sofferenza, il rock'n'roll va allora
portato ad un livello più profondo. |
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Cantico dei taratati
Quel livello viene toccato con "Gran calavera elettrica"
(Mescal, 2003), disco più del compimento che della maturità:
qua il rock e il folk si calano negli antri di una terra
sciancata, nella necessità di una fede che non salva.
Canzoni spettrali, come l'illustrazione di Posada a cui
è rubato il titolo: scheletri con enormi sombreri in testa
che affrontano la vita di tutti i giorni (in spagnolo
"calavera" vuol dire "teschio").
Il Caronte della situazione stavolta è John Parish, già
produttore di PJ. Harvey, Giant Sand, Sparklehorse e altri.
Con lui, oltre alla "solita" band, ci sono le voci femminili,
anche queste spiritate, di Nada, Valentina Galvagna e
Marta Collica.
Si canta della morte, di una donna e di Nostro Signore
seguendo la strada di Johnny Cash e di Fabrizio De Andrè,
di Faulkner e di Uccio Aloisi: i brani occupano uno spazio
smarrito tra il folk ed il blues e profumano, a tratti
puzzano, di una terra in odore di reazione. |
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Smuovendo
il terreno fino alle radici, Basile arriva alla Bibbia
trovandovi un humus colmo di immagini e di un linguaggio
quanto mai adatti al suo popolo di esclusi:
"Nell'orto
degli ulivi
a perderci eravamo in due
passando da una stanza all'altra
cercando le risposte e il senso"
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Non
vi è nulla di pacificato: il dolore, l'onore, il sacrificio,
l'amore, la morte, l'inferno non danno tregua. Quella
di Basile non è una visione né salvifica né confessionale,
ma piuttosto apocrifa, dannata, spietata.
La Sicilia è ancora più presente con una taranta che mantiene
l'uomo nel suo proponimento, con suoni asciutti che non
hanno bisogno di molte parole.
Quella di "Gran calavera elettrica" è una parata di anime
perdute che sfocerà in "Hellequin song". |
.
L'armata di Arlecchino
"La
canzone di Hellequin" evoca lo spirito che era a capo
dei Cortei dei Morti nel Medioevo. Come già cantato
con "In coda", brano presente in "Gran calavera elettrica",
la processione della morte è metafora di quanto e quanti
non trovano pace: peccati, ossessioni, guerre, assassini.
Oltre alle anime conosciute in precedenza, vi prendono
parte Manuel Agnelli (Afterhours), Stef Kamil Carlens
(dEUS), Jean Marc Butty (P.J. Harvey) e Giorgia Poli
(Scisma, Sepiatone), reduci dal progetto Songs With
Other Strangers. E poi tanti, tanti spiriti provenienti
dalla musica del Delta: non a caso lo stile è più blues,
con alcuni brani che tornano ad essere cantati in inglese
proprio per evocare i demoni di quella tradizione.
"Hellequin song" (Mescal, 2006) è un disco fatto di
una ricerca combattuta tra le ombre del rock, la musica
popolare, la figura di Cristo e il blues.
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"Massacrato
di botte
con il cuore spaccato
per aver rovistato
fra le cose della vita"
Sul
carro di Arlecchino Basile mette a nudo la stupidità
e la volgarità dell'esperienza umana, ma allo stesso
tempo ne coglie anche il senso. Nei suoi risvolti più
mortali, nelle sue forze più interiori.
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. Il pozzo dell'assenza
In
questo scenario tanto sofferto manca solo la rappresentazione
del Male, inteso come assenza di bene, come impossibilità
di scelta.
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"Storia
di Caino" (Urtovox, 2008) incarna la figura di un uomo
abbandonato prima che condannato, dimenticato prima che
giudicato. Caino è parente stretto di quel "Fratello gentile"
protagonista di una delle canzoni portanti dell'album
precedente. È un disco "del vuoto e dell'arsura", prodotto
ancora da John Parish e condiviso questa volta con Robert
Fisher dei Willard Grant Conspiracy. Ogni canzone constata
la povertà in cui versa l'animo umano, con un nutrito
gruppo di voci, spesso di cori, che sibilano sotto gli
strumenti. Il canto stesso di Basile si avvicina a quello
di De Andrè e a tratti si fa preghiera, colma di rabbia
e di sete.
Alla fine quella ricerca, che molti altri songwriters
avrebbero chiuso in una trilogia risolutiva, rimane aperta
sul mistero del baratro umano. E le canzoni di Basile
continuano ad interrogarci su quella che è l'angoscia
del vivere "col fiato grosso di un bacio mai avuto": |
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E
tutto questo amore mio
è per la fame e i barattoli vuoti
uomini appesi all'uncino di un sogno
alle promesse tatuate sul collo
in un giorno d'infanzia
come se nulla potesse cambiarci
e chi lo sa
forse nulla è cambiato
siamo giusto rimasti da soli"
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. Discografia
1994 - "La pelle" (Lollypop Records)
1998 - "Stereoscope" (Black Out)
2001 - "Closet meraviglia" (Extra Label)
2003 - "Gran calavera elettrica" (Mescal)
2005 - "Hellequin song" (Mescal)
2006 - "14.06.06" Live cd + dvd (Mescal)
2008 - "Storia di Caino " (Urtovox)
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