Cesare Basile Cesare Basile
2013 - Urtovox
Conscia che le parole che sto per dirvi mi varranno un'accusa, quella di apparire eccessivamente esagerata e ruffiana nei confronti dell'Artista in questione, penso che Cesare Basile lo vedrei bene accanto a Consolo, Buttitta, Bufalino o Verga; difatti il cantautore sembra venuto fuori direttamente da un'altra epoca, fremente di narrare ciò che nel tempo la sua “bella” terra ha vissuto, come se fosse stato sempre lì, a fissare immobile il variare del tempo e delle sue stagioni.
I protagonisti delle dieci narrazioni di Basile sono da un lato i Vinti del Verga, uomini che spesso si sono schierati dalla parte sbagliata, dall'altro lato uomini poveri ma liberi, rivoltosi per certi versi, ma combattenti per una giusta causa. In posizione antitetica scorgiamo la voglia di rivalsa e il profumo di sconfitta: non a caso la Sicilia è la terra delle contraddizione, la patria per antonomasia dei contrasti, contemporaneamente il bianco ed il nero, come quello dell'artwork dell'album; non un cavallo, ma un asino in copertina, simbolo della Sicilia, da sempre a fare a conti con la Questione Meridionale, ma non ancora del tutto finita.
Basile canta il Medioevo della Sicilia ancora intrappolata nel tunnel cupo dell'ignoranza, dei falsi miti e degli assurdi riti; lo stesso, nello scorso album cantava: La Sicilia avi un patruni - e permettetemi il pessimismo - credo non riuscirà facilmente a liberarsene.
Cesare Basile è un album siciliano, in siciliano, ma per gli italiani: malgrado sia una cartolina difforme dall'ideologia collettiva sull'isola amata da Goethe, è comunque lo stralcio di un giornale sbiadito, dove fatti di cronaca più o meno importanti si susseguono sotto il sole.
Basile, conteso tra blues e folk-rock, canta di duelli e di rivolte, di soprusi ed ingiustizie, di “quaquaraquà”che malgrado le scarse capacità si conquistano la libertà col sudore e col sangue (Nunzio e la libertà), di donne sacrificate al lavoro, donne sole ed in ginocchio per necessità (Canzuni addinucchiata). Il caldo torrido isolano è complice dello sfruttamento nei campi, in Maliritta carni il pensiero va a chi oggi “occupa” i nostri campi, agli uomini che vengono dall'altra parte del mare, coloro che hanno preso il posto dei nostri “jurnatari”.
“La lingua nun avi ossa ma rumpi li ossa” e le parole del folkloristico cantautore fanno male, risultano taglienti come lame che nelle carni si insinuano; il suono cadenzato di un tamburo l'accompagna nel racconto di un delitto in Minni spartuti: un cruento Basile affronta la cruda ed insanguinata realtà con distacco ed in maniera quasi scientifica come se la stesse osservando al microscopio. In Sotto i colpi di mezzi favori c'è Catania, quella dei cortili mozzafiato e delle reliquie, c'è il sogno di chi la lascia rinnegandola e di chi per questo chiede scusa, è un'attenta analisi di chi dall'alto la indaga sia nella forma che nella sostanza.
Questo album è l'ennesimo tassello di un intricato mosaico in cui le scene di vita quotidiana si susseguono: fatti cristallizzati per sempre, magari travisati ed ingigantiti come quando le donne della mia terra solevano spiare da dietro i vetri dei pericolanti balconi, racconti dati in pasto alle commari pettegole; fatti tramandati da padre in figlio per non cancellare ciò che è stato perché la libertà si fa in strada.