Cesare Basile Saracena
2024 - Viceversa Records
L’ispirazione principale di Basile è in questo caso il poeta palestinese Mahmoud Darwish, cantore della Nakba e dell’esilio, della distruzione, dell’identità di un popolo e delle sue ferite, dello spossessamento e dell’impossibilità di tornare a casa. Oltre a questo, fondamentali punti di riferimento sono il dialetto siciliano tradizionale e la poetica di Santo Calì e della sua terra natale, calata nel contesto storico della dominazione normanna sugli arabi siciliani, che determinò allora le stesse drammatiche dinamiche.
Saracena è un disco coraggioso, in cui le parole usate e l’uso di soluzioni metriche poetiche come lo stornello si mescolano ai suoni orientali e affondano nella tradizione di due territori che si uniscono in un canto di dolore. La Sicilia cantata da Basile è vicinissima per colori, sapori, odori alla Palestina, tanto che se ne viene travolti. Una marea di sensazioni sospese tra la magia di suoni avvolgenti creati da strumenti non sempre convenzionali (il cantautore spesso li ricava da materiali di uso quotidiano) che viene interrotta da inserti più elettrici ed elettronici. Volutamente si crea uno stridore di fondo, che descrive e accentua il contrasto tra bellezza e violenza da una parte, dall’altra unisce l’antico al contemporaneo, dimostrando che non esistono confini cronologici o geografici quando si affrontano tragedie come quelle raccontate.
Le persone vengono strappate con la forza dalle loro case e questo sradicamento si traduce in pietre, sangue, terra riarsa, colori scuri in un unico flusso sonoro diviso in otto stanze, di cui due strumentali. Ne sono esempio le parole tradotte del singolo C’è na casa rutta a Notu che ha anticipato l’uscita dell’album: “Non c'è Dio che se ne prende cura/ Non c'è nuvola che la irriga/ Non c'è pianto che la salva” o di Prisenti assenti: “Ma sono inciampato in un numero/ E i numeri scrosciano sangue” o ancora questi bellissimi versi presenti in U iornu du Signuri: “Non vi basta tempo per capire/ Di quanto cielo è capace un ulivo”.
Rispetto al disimpegno generale che premia gli artisti “che ci fanno tanto divertire”, l’urgenza di Basile di prendere posizione ha fatto sì che il disco sia nato in sole due settimane di registrazione in completa solitudine, altro tratto innovativo nella sua discografia che ha sempre visto la presenza di collaboratori eccelsi.
È bello e necessario che un cantautore possa essere scomodo, che affronti temi difficili come quello della situazione palestinese e che li racconti con maestria attraverso la bellezza, nel tentativo di scuotere gli animi, spesso assuefatti, passivi e distratti da faccende fin troppo futili e mondane. Un album consigliatissimo.