Western Stars<small></small>
Rock Internazionale • Songwriting

Bruce Springsteen Western Stars

2019 - Columbia Records

24/06/2019 di Laura Bianchi

#Bruce Springsteen#Rock Internazionale#Songwriting

Quelli che sono attenti al mainstream, e alle classifiche, vi diranno che Bruce Springsteen, con il suo diciannovesimo album di inediti, il primo solista dopo quattordici anni, Western Stars, diventa uno degli artisti ad avere più album saliti al primo posto in Gran Bretagna, al pari di David Bowie e Rolling Stones.

Quelli che vogliono aderire alla moda degli haters-a-tutti-i-costi, vi diranno che l'artista è finito, che l'uomo è in crisi, che entrambi non hanno più niente da dire, che si tratta della solita trafila: " contratto - un disco all'anno - un tour per ogni disco - scarti da riprendere in mano - pubblico da fregare".

Quelli che lo adorano a prescindere, che lo considerano un mito inossidabile, vi diranno che questo è un album rock, che per lui il tempo non passa mai, che ci trovano energia, splendore, ruote sull'asfalto e eroismo.

Quelli che di musica ne sanno, vi diranno dei violini eccessivi, degli arrangiamenti di Ron Aniello feat. Bacharach, dello stile countrypolitan di George Jones e Glen Campbell, di Roy Orbison e dei Cinquanta, no, forse meglio fine Sessanta.

Ogni tanto, Springsteen passa, e divide. Ogni tanto, Springsteen passa, e unisce. Ma i cinque anni trascorsi fra High Hopes e questo lavoro si sentono, eccome. In mezzo si sentono l'esperienza catartica di Broadway, e l'autoanalisi five days a week, fatta davanti a un pubblico ristretto, pronto a capirlo, ma anche a rimproverargli l'eccessiva fragilità, come un bambino a un padre immaginario. Invece, solo l'esperienza catartica di Broadway può fare capire appieno la genesi di Western Stars e delle sue tredici canzoni. Con cui il Boss smette i suoi panni di born to run senza paura, per salire su una vecchia auto degli anni Sessanta, e guidarla, con noi sul sedile posteriore, e, volta per volta, farci ascoltare le storie di quelli che accoglie sul sedile davanti.

Dall'autostoppista di Hitch Hikin', che segue il tempo e il vento, fino a Moonlight motel, con la sua storia d'amore fatta a pezzi dalla banalità del quotidiano, la voce narrante presenta una raccolta di racconti brevi, che solo gli ascoltatori superficiali possono catalogare in un West alla John Wayne (citato, infatti, nella traccia più ironica e iconica del disco, la title track), ma che si piazzano dalle parti delle storie dei losers nemmeno troppo beautiful alla John Williams di Butcher's Crossing, evocato da una canzone quasi perfetta come Chasin' Wild Horses, con l'accostamento geniale fra la caccia ai cavalli selvaggi e cercare di toglierti dalla mente, come il protagonista canta a una donna che gli ha spezzato il cuore, coi suoi capelli che lampeggiano nel blu, e con una conclusione cinematografica, epica al contrario, che dà voce agli sconfitti, alle sconfitte, alla voglia di resistere nonostante le delusioni, di convivere con le disillusioni.

Springsteen tra qualche mese compirà settant'anni, è inutile girarci intorno; un artista sensibile come lui non può non sentire il passo del tempo, il bisogno quasi fisiologico di fare il punto di un'esistenza creativa, spesa, certo, all'inseguimento del successo e del consenso, ma anche della sincerità e della comunicativa. Non è un caso che Ulysses, una poesia di Tennyson, sia citata sottotraccia in più di un caso ( il più eclatante è It’s better to have loved, nella già citata e bellissima Moonlight motel); il senso della spinta verso il limite, l'inesplorato, la fine o il fine di tutto, il riepilogo dell'esistenza, è presente ovunque, perfino nelle canzoni solo apparentemente più spensierate, come Sleepy Joe's Café, che in tre minuti riassume l'esistenza di un reduce della seconda guerra mondiale, ma anche quella dei tanti reduci di una settimana di lavoro, oppure la sinfonica Sundown, che, a dispetto dei suoni ariosi e dei cori, nasconde l'attesa inquieta di un ritorno improbabile.

Ricca di bar dove dimenticare, o ricordare, per poi dimenticare di nuovo, ricca di corse su autostrade assolate (no place to be and miles to go) e di incontri casuali, eppure fatidici, ricca di rimpianti e rimorsi, ricca di lavori duri e di wanderer on his way, la luce di queste Western Stars illumina il senso di esistenze un po' così, di Ulissidi che drive fast, fall hard, di uomini (e, sullo sfondo, ma non poi così tanto, di donne) che cercano di arrivare alla loro Itaca con dignità e coerenza, pur nelle bugie (come in Stones), nelle contraddizioni (come in The Wayfarer, con la ferma presa di posizione contro chi è inspired sitting by the fire, slippers lucked under the bed) o negli inevitabili momenti di sconforto (come in Somewhere North of Nashville, con una voce sorprendentemente anziana, senza infingimenti né pose muscolari, che canta - o prega- : awake in the middle of the night / Makin' a list of things that I didn't do right / With you at the top of a long page filled). Un'umanità vicina al termine della propria esistenza, che sa regalare, a se stessa e agli altri, ancora qualche bagliore, qualche momento di speranza, di fede e di volontà.

Quelli che non hanno dubbi mai vi diranno che questo disco è il migliore, o è il peggiore, che è tutto nuovo, o che si sta ripetendo, che lo fa per soldi o che è pronto per un tour, che è essenziale o che ci sono troppi violini; voi lasciatevi cogliere dalla sorpresa di un ascolto ricco di sfumature, che, se vissuto col cuore sgombro di pregiudizi, regalerà un'esperienza non solo musicale, ma anche, o forse soprattutto, umana.

 

 




 



Track List

  • Hitch Hikin`
  • The Wayfarer
  • Tucson Train
  • Western Stars
  • Sleepy Joe`s Café
  • Drive Fast (The Stuntman)
  • Chasin` Wild Horses
  • Sundown
  • Somewhere North of Nashville
  • Stones
  • There Goes My Miracle
  • Hello Sunshine
  • Moonlight Motel

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