Bruce Springsteen We shall overcome - the seeger sessions
2006 - Columbia / Sony
Nonostante qualche avvisaglia ci fosse stata (“Folkways”, “Til we outnumber ’em”, “Where have all the flowers gone”), non era previsto che Springsteen si potesse immergere tanto a fondo nella storia e nella tradizione come ha fatto con “The Seeger Sessions”. Soprattutto perché da tempo girava voce di un nuovo disco con la E Street Band e di un altro “Tracks”: pare proprio che durante la preparazione di un secondo cofanetto, si sia imbattutto in alcune vecchie canzoni e ne sia rimasto folgorato al punto da voler subito tornare a fare i conti con un debito verso Pete Seeger che sembrava fosse già stato pagato con la cover di “We shall overcome”.
Da troppi anni il Boss non faceva un disco tanto convinto, andando a recuperare canzoni con l’entusiasmo con cui da giovane ascoltava pezzi di rock’n’roll alla radio per farli suoi. Le “Seeger Sessions” si sono sviluppate in modo più scrupoloso, quasi filologico, ma con altrettanta passione, ripescando brani che sono stati “negro spirituals” e “working songs” prima di diventare canti di protesta diffusi appunto da Pete Seeger nella lotta per i diritti civili.
Certo, se l’operazione fosse stata condotta da Billy Bragg o da Peter Case, non avrebbe avuto la stessa risonanza, ma è altrettanto vero che solo Bruce Springsteen poteva darle questo spirito: country, bluegrass, dixieland e zydeco sono interpretati senza pedanteria, con una vivacità che molti cantautori dovrebbero imparare di fronte alla tradizione.
Con un ensemble di musicisti che suona come una carovana di artisti da strada, Springsteen percorre i sentieri della roots music da New Orleans agli Appalacchi fino ad incrociare arie zingare europee: sembra di ascoltare un’orchestrina ambulante con il capo della banda che incita tutti, chiama gli assoli e lascia andare la voce, mentre fiati e archi caracollano ubriachi al ritmo apparentemente barcollante della batteria. Perfetti e allo stesso tempo genuini i cori nel muoversi sotto i pezzi più spigliati e nel raccogliersi attorno alle sublimi preghiere di “Shenandoah” e “We shall overcome”.
“Oh, Mary don’t you weep” e “Pay me my money down” sono una festa popolare che maschera gospel e rock’n’roll e che rende attuali immagini di protesta così come fa il folk amaro di “Mrs. McGrath”, “Erie Canal” e “Eyes on the prize”, ma è tutto il disco, corredato da un dvd con scene delle sessions, a rimettere Springsteen sulla strada dei grandi cantori dell’America. Si è detto che questi sono i suoi “Basement tapes”, ma “The Seeger Sessions” è un passo ancora più importante nella discografia del Boss.
“Bring ’em home” ha dichiarato lui agli ultimi Grammy Awards riferendosi ai soldati in Iraq, ma i primi ad essere reimpatriati sono questi canti, tornati tra la gente. O forse è il contrario e sono questi canti ad aver riportato a casa Bruce Springsteen.