Bob Dylan TRAVELIN` THRU - THE BOOTLEG SERIES Vol.15 1967-1969 - Featuring Johnny Cash [Lost & Found]
2019 - COLUMBIA RECORDS
L’incipit per mascherare in chi scrive la partigianeria per tutto, o quasi tutto, riguardi il quasi ottuagenario ragazzo di Duluht, Travelin’ Thru compreso. Arbitrari? Sì, fatevene una ragione. Tuttavia scrivere-di-Dylan non è facile. Rivolgersi agli amanti o meno del nostro chiede sempre un pò di coraggio. Nobilita, certo, mette alla prova, ma allo stesso tempo si ha la sensazione di dire cose francamente inutili. Cosa vuoi aggiungere al cielo? Le nuvole? Al più organizzi macchie d’inchiostro. Si prova. Lo sforzo allora è cercare, per quanto possibile, di dar significato anche a questa pubblicazione di Dylan ritenendo non soli e senza meta i quattro accordi allineati da un tempo andato e conditi con la voce degli Dei, anzi due, se ci mettiamo anche quella di Johnny Cash.
A beneficio di chi proprio fosse all’oscuro della galassia dilaniana va detto che gli anni di Travelin’ Thru hanno come perimetro il John Wesley Harding del 1967 e Nashville Skyline del 1969 sebbene premonizioni se ne trovano in Blonde on Blonde del 1966, nei Basement Tapes del 1967, senza contare l’ombra che questo periodo allunga su Selfportatit del 1970.
Si vuol dire come sia difficile affettare per bienni o trienni la produzione di Bob Dylan, farne oggetti a sé che alla fine diventano raccolte di farfalle buone solo per collezionisti o storiografi. Nondimeno il triennio 1967-1969 ha le sue peculiarità e ci par giusto richiamarne il karma.
E’ un periodo interessante sia della vita artistica di Dylan come della storia americana. Dylan e l’America marciano appaiati, sempre, ieri come oggi. Volendo dare una sguardo a quest’ultima, il 1967-69 la vede in guerra. Quella che ha in casa: gli assassinii di Martin Luther King e di Robert Kennedy sono il precipitato più evidente di una crisi devastante e quella che ha fuori casa: mezzo milione di soldati americani in Vietnam, un corredo di trentamila vittime, le avvisaglie di una disfatta epocale. La musica che l’America genera nel periodo ne riflette attrito e conflitto. E’ grande e fasulla allo stesso tempo. Incassato il folk revival che raggiunge il suo apice verso la metà degli anni ’60 è allucinata del british “sergente Pepper”, nevrotica di Frank Zappa, lisergica dei Jefferson Airplane, nera e recalcitrante di Curtis Mayfield e Nina Simone. In questo quadro il Bob Dylan del 1967 ha già svoltato elettrico, ha chiuso con la militanza politica ma non ha affatto voltato le spalle a quanto gli gira attorno. Non lo farà mai. I suoi piedi sono ben piantati a terra come un virtuoso del Tai Chi. E’ serpente e uccello, forte e debole, concentrato e disperso, preso da un travaglio interiore never ending che lo spingerà a cadere e rinascere più volte.
Il verso che meglio definisce il periodo pare venire da Subterranean Homesick Blues: “Non seguire i leader, guardati dai parchimetri, non hai bisogno di un meteorologo per capire dove cambia il vento”. Questo è il programma a lungo termine di Dylan dopo l’ubriacatura degli esordi: stai lontano dalla politica concentrati sulla morale del singolo e della nazione, sollevati dal mondo reale senza ignorarne il suo lato sensibile. Chissà, forse sarà anche per questo camminar col naso per aria che nel 1966 perde il controllo della moto e si fa tanto male. Per un anno intero si chiude, apparentemente sereno e convalescente, nelle campagna di Woodstock giocando a burraco con la Band di Robbie Robertson. Ripresosi esce in giardino, annusa l’aria e decide di andare ancora una volta controvento. Mentre tutto intorno suona il rock lui entra nello studio Columbia di Nashville, poca la roba e poca la gente: una chitarra acustica, Charles McCoy al basso, Kenny Buttery al basso, Pete Drake per una spruzzata di pedale steel. Così nel 1967 John Wesley Hardin(g) - la “g” è una sua aggiunta - prende il volo ed è uno dei migliori album di Dylan. Questo narra il CD n° 1 di Travelin Thru, con le alternative versiondi di John Wesley Harding.
Drifter Escape, I dreamed I Saw St. Augustine, All Along the Watchtower - solo per citarne alcune - lasciano senza fiato. Ci riportano al virus che attanaglia Dylan ancora oggi, al quesito mai risolto che informa tutta la sua poetica, quel ruminare continuo in musica e in verso, sul cartesiano dualismo tra mente e corpo, su questa insostenibile antinomia. Il profeta può solo offrire a questa tensione la speranza flebile della parabola, la qualità risolutiva della parola e del discorso. La Bibbia, la Torah ma anche un freudiano ortodosso vanno bene uguale.
Da qui parte Travelin Thru, da John Wesley Harding 1967 prima di sbarcarvi a Nashville Skyline del 1969. In questi due anni, un tempo brevissimo, si consuma il transito - uno dei tanti - tra il profeta e il country trobadour. Sì perché Nashville Skyline è d’altra pasta fatto e il 1969 è già un’altro momento. La country music irrompe nel campo del rock con altro cipiglio, celebra l’amore, le sue amarezze, ma vende e non banalizza. Dylan ne è convinto, Albert Grossmann, il suo manager storico è di altro avviso. Dylan di lì a poco lo metterà alla porta, mentre prende forma la figura di Bob Johnson, produttore capace in Columbia dietro il quale si vedono le spalle larghe di Johnny Cash. Già, Johnny Cash. Che hanno da spartire i due? Tanto. Innanzitutto si apprezzano. Cash ha stima del giovanotto, della sua penna, Dylan venera quella voce che “viene dal centro della terra”. In secondo luogo entrambi sono passati dal fuoco dell’impegno. Tutti e due ci hanno messo la faccia nelle battaglie per i diritti civili. Il giovane Dylan ascolta volentieri i suoi consigli su come sopravvivere al falò delle vanità. Da ultimo i due sono al vertice del loro successo e una collaborazione lo può anche moltiplicare. Johnny Cash in particolare è al suo punto di fama più alto. Alla fine del ’69 ha nove album in classifica, anche lui studia la Bibbia, il matrimonio con June va a gonfie vele. I due hanno pubblici diversi, Dylan urbani e acculturati, Cash provinciali e proletari. C’è da pensarla bene ma è una gran bella opportunità per allargare l’audience per parlare a tanti di più. Sopratutto Dylan impara da Cash il sapore rinnovato della country music, ingigantita senza perdere l’anima. Ascoltate il close harmony di I Still Miss Someone, il pestarsi i piedi di Don’t Think Twice come anche il lirismo della più abusata Girl from the North Country, da sole valgono l’invito a tuffarsi nei CD n° 2 e 3 per entrare nella fecondità di quel irripetibile sodalizio.
Da ultimo sia permesso di avventurarsi nel senso dei bootleg series. In merito, comprensibile, risuona infatti la giaculatoria: ma avevamo proprio bisogno di queste registrazioni per comprendere la grandezza di Bob Dylan? Dobbiamo per forza sottoporci periodicamente a un salasso più o meno grande a seconda della confezione? Ascoltare versioni abbozzate di tracce già note e opportunamente escluse dalla discografia ufficiale? E via di questo passo.
Ora, pur condividendo parte del rosario, pur ritenendo le bootleg series certo non i Manuscrits di Rimbaud conservati alla Bibliothèque National de France, pur osservando con tenerezza il Dylan fabbro di cancelli, l’artista di pennelli che offre, seriale, progetti come “Mondo Scripto” i cui manufatti variano dai 1.500 ai 30.000 $, possiamo comunque avvicinarci a Dylan come il Nobel per la letteratura che ha “creato nuove espressioni poetiche all’interno della grande tradizione della canzone americana”. Possiamo allora aver minor tigneria nel valutare invece che canzoncine color seppia opportunamente confezionate come le bozze di una grande narrazione alla quale anche noi abbiamo appartenuto come giovani che cantavano da vecchi? La memoria che conservano del senso meditativo di un passato perduto e ritrovato? Possiamo ? Perché Travelin Thru oggi è un gran bel sentire e the wanted man is still free…