Bob Dylan Blood on the tracks
1975 - COLUMBIA
“Blood on the tracks” è il primo capolavoro dopo l’uscita dalle scene per l’incidente in moto del 1966: una manciata di album interlocutori precedettero questa raccolta che segnò un vero spartiacque nella discografia di Dylan. Dello stesso anno è la pubblicazione dei “The basement tapes” seguita da “Desire” e dal tour con la Rolling Thunder Revue.
Dylan tornò qua ad azzerare la propria arte: un pugno di canzoni per sola chitarra, voce e armonica ri-registrate poi con l’aggiunta di qualche arrangiamento di organo, basso e steel. Pochi accordi, quasi sempre gli stessi, gli bastarono per quello che è uno dei dischi cantautorali per eccellenza (chiedere a Elliott Murphy piuttosto che a Francesco De Gregori o a Massimo Bubola).
Già il titolo dice quanto Dylan abbia immesso della propria vita in queste canzoni: alle prese con la fine del proprio matrimonio, trascese il privato con un linguaggio metaforico che sferzava sentimenti e relazioni. “Idiot wind” per esempio è un’invettiva contro un amore che non ha più nulla da dire, contro i media e contro il maluso della parola.
La tensione dei versi è concretizzata da una voce che si tira e si impenna anche nei momenti più delicati. Dylan è contemporaneamente romantico ed impietoso, mai nostalgico, e torna a porre le sue canzoni sulla strada: spostandole fisicamente dalla East Coast a New Orleans fino a toccare poeticamente Tangeri (William Burroughs) e l’Europa (Verlaine e Rimbaud), offre una visione irrequieta di un’epoca in precario equilibrio tra una fine ed un’inizio improbabili.
Il lato A, ovvero le prime cinque canzoni, è un modello per qualunque cantautore, ma tutto il disco, anche nei suoi episodi minori, è esempio di come tendere e pungolare l’interpretazione. Almeno quattro i pezzi da novanta, “Tangled up in blue”, “You’re a big girl now”, “If you see her, say hello” e “Shelter form the storm”, ma da segnare in rosso sono anche “Simple twist of fate”, “Idiot wind” e “You’re gonna make me lonesome when you go”.
“Blood on the tracks” è il disco più toccante di Dylan, ma soprattutto è quello con cui torna a sfidare l’arte: “Beauty walk a razor’s edge / someday I’ll make it mine”.