Presentare in un progetto come “Dream brother” il sentimento comune di tutti gli appassionati, estimatori ed emuli dei due indimenticabili artisti, può apparire sulla carta come un facile e ruffiano allineamento nei loro confronti, giusto il ribadire la più scontata delle passioni. È necessario un passo in più, un livello superiore di elaborazione, compiuto brillantemente e senza la minima ombra di ipocrisia dalle tredici prove qui raccolte. Si direbbe il massimo risultato con il minimo sforzo: tutto sommato non si è fatto altro che radunare alcuni fra le più voci più in vista dell’ambito indie americano ed inglese con la richiesta di confrontarsi con un brano a scelta fra quelli scritti da Buckley padre o figlio.
Ciascuno, mediante una propria decisa presa di posizione nei confronti della versione originale, non fa altro che ribadire la propria necessità di cogliere l’insegnamento più profondo di queste due figure, l’eredità appunto. Ascoltati qui tutti i brani trovano un filo conduttore comune che solo apparentemente si risolve con il tono dimesso, il sound acustico e il piglio intimista che tutto sommato si addice a meraviglia a questi gioielli della canzone dello scorso fine secolo. Non importa quanto fedele sia la nuova versione rispetto all’originale, quale intonazione, arrangiamento o invenzione si sia apportata ad ogni traccia. La sensazione che rimane è quella di una lunga e uniforme onda sonora che da sola ci spiega l’origine del mistero di queste due voci, dell’unione spirituale di due vite tendenti ad una fine tanto tragicamente simile quanto ineffabilmente diversa nelle modalità.
Rimangono le canzoni che qui assumono la forma di preghiere, domande al vento, squarci di luce, e lo spessore delle interpretazioni. Così quelle di King Creosote (“Grace”), degli Engineers (“Song to the siren”) e della coppia Matthew Herber & Dani Siciliano (“Everybody here wants you”) trovano chiavi di lettura nuove ed inattese a mostrarci brani sotto una nuova veste, dove anche la minima variazione rispetto alla versione originale sa portare un brivido di insperata gratitudine agli autori.
Forse per la prima volta, nonostante la quantità di materiale che dalla loro scomparsa riaffiora periodicamente alla luce e prontamente viene dato alle stampe, si rende veramente giustizia a Jeff e Tim Buckley, nella forma più affine allo spirito comune del loro lavoro, quello che canta la ricerca di una salvezza e la splendida gioia di sapersi parte di un’umanità in perenne bilico, rendendo le proprie inquietudini biglietti da visita, e offrendo la propria voce come eredità.