Se infatti egocentrismo, sfacciataggine e una forte dose di autoironia erano le caratteristiche principali dell’artista newyorkese, allora ripercorrerne l’insegnamento e lo stile traducendoli in musica risulta un’impresa scomoda e poco raffinata, che rischia parimenti di scadere nella mera celebrazione di un’epoca quanto di un’icona.
Nessuno me ne voglia, ma in giorni come questi di grandi mostre, di sfruttamento indiscriminato della sua opera, di analisi teoriche e di più o meno riuscite reinvenzioni di improvvisati clonatori dell’ultima ora, c’era proprio il bisogno di dedicare un’uscita discografica a celebrazione del più sfacciatamente iconoclasta artista del secolo scorso? La risposta è niente di più semplice: l’occasione per realizzare tutto ciò giunge dalla fashion house Cultura che, complice il suo patron portoghese Joao Tovar, produce in esclusiva abiti ispirati alle opere di Andy Warhol. Da qui la necessità vitale di realizzare una colonna sonora che portasse aria fresca alle sfilate della sua nuova collezione. Ecco quindi che se da un lato a premere è l’ingombrante immaginario pop che tutti conosciamo, dall’altro è la necessità di percepire la vocazione di quelle opere in una dimensione diversa, a partire dal loro rinnovato supporto-abito.
Anche se non ci è dato sapere se tale complicità sia stato il motivo per cui questi due dischetti si sono guadagnati il titolo di prima compilation ufficiale riconosciuta dalla “The Andy Warhol Foundation of New York”, non ci rimane altro che accostarci ad entrambi lasciandoci guidare dai consiglieri più fidati: le nostre orecchie.
Una premessa soltanto: non aspettatevi Velvet Underground, Bob Dylan o Madonna. A parte infatti le due tracce che chiudono simbolicamente entrambi i cd firmate da Roger Waters e Patti Smith, il resto è materiale decisamente “giovane”, edito a partire dalla seconda metà degli anni ‘90 giù giù fino ad alcune produzioni di quest’ultimo anno.
Rispettando una divisione concettuale nemmeno troppo malvagia, un cd è dedicato ai maschietti (contrassegnandolo con un coltello), mentre uno alle femminucce (un fiore). I nomi che troviamo raccolti non paiono sulla carta apparentemente avere nulla in comune gli uni con gli altri, anche se traccia dopo traccia si fa chiara l’impressione che l’obiettivo sia di delineare i contorni, come in una colonna sonora, di un immaginario preciso, quello di scenari dove la qualità di un pop raffinato tende ad andare a braccetto con certa musica d’ambiente accessibile e per nulla d’elite, proprio come l’arte di Warhol, quella della Coca Cola e del detersivo Brillo, della zuppa Campbell e di Marilyn Monroe.
La musica è da subito cool quanto basta, si parte infatti con l’oramai celeberrima hit “Battle without honor of humanity” di Tomoyasu Hotei (vi dice niente Kill Bill?), passando successivamente dalla post new age di Sacred Spirit, fino a nomi di fama universale quail Air, Radiohead, Moby, Massive Attack, Portishead.
C’è spazio per le gradite presenze ora eteree, ora dilatate di Unkle, Apollo 440, Jocelyn Pook, Craig Armstrong, in una sequenza uniforme e notturna decisamente gradevole che non mancherà di far da sfondo alle vostre notti meno impegnate.
In un paio d’ore il cerchio viene chiuso, mentre nel silenzio mi sento ronzare in testa ancora un piccolo dubbio: che cosa avrebbe tolto o aggiunto Warhol a questa compilation se solo avesse potuto scegliere di persona la tracklist?