Sarà colpa di quella fastidiosa etichetta di eredi dei Nirvana che gli è stata cucita addosso quasi quindici anni fa, quando usciva il loro primo album – Verdena - per la Black Out/Universal, label cui la band bergamasca è a tutt’oggi rimasta fedele.
Per questa ragione ogni loro uscita discografica è accompagnata da reazioni forti e contrastanti, da sperticate lodi e feroci stroncature. E i Verdena le uscite discografiche le centellinano, si prendono tutto il tempo che gli serve e fanno della “lentezza” un valore aggiunto in un mondo che non concepisce che la frenesia.
Endakedenz, che nelle iniziali intenzioni avrebbe dovuto essere un doppio album come Wow, non è che il primo capitolo di un’opera destinata a completarsi quest’estate con l’uscita del volume II.
Se Wow – quattro anni fa – aveva rappresentato per molti la svolta della maturità, facendo storcere il naso a più di un fan della prima ora, Endkadenz rappresenta oggi un lavoro più complesso da analizzare, con maggiori sfaccettature sonore e ritmiche e ulteriori elementi di novità negli arrangiamenti.
L’approccio arrabbiato e diretto dei primi anni ha ormai definitivamente lasciato il passo ad un mood più meditato e stratificato, mentre quel senso di costante inquietudine, a cui i Verdena ci hanno abituati, resiste fra i solchi delle tredici tracce di Endkadenz, ma concede diverse aperture più luminose e positive. In questo senso l’ultimo lavoro in studio del terzetto lombardo potrebbe essere definito come un album schizofrenico e duale.
Ho una fissa apre la sesta fatica in studio dei Verdena sprigionando una potenza inziale seguita da un alternarsi di momenti di quiete apparente e deflagrazioni chitarristiche stile Requiem.
Straordinariamente bella Puzzle, introdotta da un pianoforte e una chitarra acustica che ricordano le armonie più marcatamente pop dei R.E.M., seguita da una seconda parte cupa e spettrale, così come cupe e spettrali sono le atmosfere di Rilievo e dell’elettro-acustica Funeralus, brani che attraverso un elettronica rarefatta e distorta evocano echi dei Radiohead di Kid A.
Un po’ esageri è il primo singolo dell’album, costruito su una struttura pop-rock e un accattivante riff punk-rock, ed esalta le già abbondantemente apprezzate capacità della band bergamasca di maneggiare con cura anche le armonie e le melodie meno ostiche.
In Endkadenz i Verdena provano a battere sentieri mai percorsi prima, in particolare in Sci desertico, interessante ballata electro-rock, nella quale Alberto Ferrari si concede addirittura l’uso del falsetto, così come in Contro la ragione, brano quasi battistiano, o nella nervosa e potente Derek.
Diluvio, estremamente intima e quasi cantautorale, conferma ancora una volta la dimestichezza dei Verdena a cimentarsi con le ballate, come già accaduto in passato in pezzi come Angie, Nel mio Letto o Trovami un modo semplice per uscirne.
I testi di Endkadenz seguono la tradizione della band bergamasca, e sono più che altro il risultato di un flusso di coscienza e di una maniacale attenzione alla musicalità delle parole in funzione del tessuto sonoro.
In una recente intervista Alberto Ferrari ha dichiarato di sapere perfettamente il significato di ciò che scrive e di trovare divertenti le fantasiose interpretazioni che spesso vengono fatte dei suoi testi. Ecco perché provare a decodificarli è un errore oltre che un inutile e pretenzioso gioco.
In un mondo discografico piuttosto arido e sempre più interessato a sfornare prodotti vendibili, i Verdena rappresentano una splendida eccezione. Riescono ogni volta a rilanciare e ad emozionare, partorendo album che probabilmente resisteranno al tempo e alla tanta, troppa, brutta musica che ci circonda.