Ed Vedder: ´Un giorno, mentre lavoravo alle nuove canzoni sotto il portico di casa, mi sono preso una pausa e ho chiamato Tim Robbins, il mio amico regista. Tim, hai mai provato a scrivere dopo le elezioni?´.
Tim Robbins: "No, non ancora, ma sento che ora è tutto diverso, non so dirti perché, ma tutto è completamente diverso" (intervista a Eddie Vedder, ´La Repubblica´, 30-08-2009; nda).
Da questo breve estratto di conversazione tra Eddie Vedder e Tim Robbins si può in parte intuire il ´nuovo´ percorso musicale intrapreso dai Pearl Jam con l’ultimo lavoro ´Backspacer´.
Abbandonate la rabbia e la frustrazione (causate dalla precedente amministrazione americana, quella scellerata di Bush) che impregnavano i due precedenti album, lo sconclusionato ´Riot Act´ e il più vigoroso ´Pearl Jam´, il gruppo di Seattle sfodera melodie ariose (´Amongst The Waves´, ´Unthought Known´, ´Speed Of Sound´), spensierate e caciarone (´Supersonic´), easy (´The Fixer´) ed umori vedderiani maturati durante la composizione della colonna sonora di ´Into The Wild´.
I testi appaiono meno cupi rispetto al recente passato, a tratti leggeri: un ragazzino innamorato della donna di una copertina di un disco (´Johnny Guitar´), la celebrazione della musica e del ritmo come irrinunciabile propulsore della vita (´Got Some´, ´Supersonic´), ma anche commoventi acquerelli d’amore e perdita (´The End´).
La nuova strada però, è anche segnata da un ritorno al passato, quello di Brendan O’Brien alla produzione.
La sua mano si sente. Ha sempre saputo conferire alle canzoni dei PJ il giusto sound, abile anche ad arrangiarle in modi meno convenzionali per la band, spesso con l’utilizzo di piano e tastiere, e per l’occasione anche di una sezione fiati ed archi, novità assoluta per il gruppo di Vedder.
Certo, forse in ´Just Breathe´ avrebbe potuto far risaltare maggiormente la matrice country-folk del brano, senza ´soffocarla´ con eccessivi svolazzi orchestrali, o in ´Force of Nature´ rendere le chitarre più spigolose e ruvide, ma nel complesso il suo lavoro è sempre di alto livello (ascoltare per credere anche la reissue di ´Ten´ da lui remixata).
Insomma, qualche piccola novità in mezzo alla solita baraonda di chitarre.
Nonostante ciò, i brani dei Nostri suonano ´vecchi´. Sempre la stessa solfa, dicono in molti, ma con il gran difetto che dopo quasi vent’anni di carriera non rimane granché dell’urgenza viscerale di "Ten" e ´Vs´, dell’inquieto ´Vitalogy´ e di quel caos strabordante d’idee intitolato ´No Code´.
Cosa sono allora i PJ oggi? Cinque ragazzotti over quaranta che suonano musica obsoleta (l’originalità non è mai stata il loro punto di forza) reiterandola all’infinito, sempre con minor incisività.
Questa è l’opinione diffusa!
Una sorta di anomalia vivente in un mercato discografico dominato dall’hype, da gruppi che cavalcano il successo delle pulsazioni elettroniche di stanza a New York, dell’indie-pop proveniente dal Nord Europa o del new wave revival d’oltre Manica, giusto per fare qualche esempio.
Una specie in via d’estinzione dunque. Come la tartaruga di mare ´sponsorizzata´ dalla band (battezzata proprio Backspacer) nella lunghissima maratona dal Canada alle coste caraibiche, evento organizzato da Conservation International e National Geographic con l’intento di smuovere le coscienze per la salvaguardia di questa specie in pericolo.
O come il tasto ´backspace´, che sposta indietro il carrello nelle vecchie macchine da scrivere (altra ´specie´ in via d’estinzione), quelle utilizzate da Eddie per stendere i testi.
Paradossalmente però, questi dinosauri del rock, suonano ´diversi´ rispetto alla marea di gruppi che ai nostri giorni affollano il tracimante mondo della musica.
Fate una prova. Sfogliate una qualsiasi rivista di settore o sbirciate un qualunque webmagazine nella rete, ascoltate gli ultimi cinquanta dischi recensiti, compreso ´Backspacer´.
Beh, immagino che sentirete perlopiù una miriade di brani giocati su architetture minimali, un’accozzaglia di lagne folk (definite tali solo perché suonate con un’acustica) che mimano l’effetto di un cocktail di alcool e benzodiazepine, suite tritapalle di quindici minuti in salsa psych, e così via…
Ecco allora (magia del paradosso), che il vecchio PJ sound acquista automaticamente una componente d’innovazione, non in senso assoluto, ma intesa come voce fuori dal coro.
Vi sembra irrilevante? Per me non lo è!
La mia è un’ovvia provocazione. Non è un tentativo d’estrema difesa di un gruppo che, indubbiamente, ha meno benzina che in passato. Che l’attuale caratura di Vedder e compagni sia lontana da quella dei brillanti dischi anni ’90 è sotto gli occhi di tutti, ma liquidarli con la dicitura ´capolinea creativo´ è troppo facile ed assomiglia ad un luogo comune sul quale fa tanto fico far leva.
In ´Backspacer´ ci sono dei pezzi alquanto discutibili: ´Supersonic´, una copia posticcia dei Ramones, con un bridge accademico che non ci azzecca un tubo con il resto della canzone; ´Force Of Nature´, brano che fa il verso agli U2 (fortunatamente mantenendosi a debita distanza dalla produzione attuale del gruppo irlandese); ´Amongst The Waves´, stile ´Faithfull´, ma meno riuscita; ´The Fixer´, pezzo eccessivamente pop che meritava una produzione più grezza (dal vivo rende molto di più).
E poi? Poi ci sono le CANZONI!
´Gonna See My Friend´ apre alla grande il disco, l’irruenza degli Who d’annata trasportata nei primi ’90. ´Got Some´ va ben oltre, una ritmica secca e letale che tiene in piedi la baracca insieme alla voce di Eddie, in attesa del fuoco delle chitarre. ´Unthought Known´ e ´Speed Of Sound´ si distinguono entrambe per l’eccellente intervento di O’Brien al piano. La prima si sviluppa da un riff stoppato sul quale, strofa dopo strofa, si aggiungono gli altri strumenti, traghettandoci verso un crescendo emozionante; la seconda è ricca di variazioni melodiche che esaltano la vocalità di un Eddie ispirato.
Ispirazione che raggiunge il suo apice emotivo nella pastorale ballata ´Just Breathe´, ma soprattutto nella conclusiva ´The End´: un’acustica e una piccola orchestra per un brano che, a mio parere, entra a pieno titolo tra i pezzi più toccanti e dolenti mai scritti da Vedder, merito anche di un’interpretazione da brividi.
Questo è Backspacer! Non il disco dell’anno, né un capitolo imprescindibile della discografia dei Pearl Jam. Solo un buon disco rock, e per una volta (dio ce ne scampi) senza dover anteporre ulteriori definizioni di genere come ´avant´, ´indie´, ´psych´, ´math´ o ´space´!
Le specie in via d’estinzione vanno protette.