live report
Pearl Jam Wuhlheide Arena, Berlino
Concerto del 15/08/2009
15 agosto 2009 - Wuhlheide arena, Berlino
A sorpresa i Pearl Jam hanno organizzato un mini tour europeo di cinque date che ha toccato Londra, l'undici ed il diciotto agosto; Rotterdam, il tredici; Berlino, il quindici; Manchester, il diciassette. Il gruppo di Eddie Vedder ha colto l'occasione per testare qualche nuovo brano tratto dall'album "Backspacer", che uscirà in Italia il diciotto settembre.
Mescalina era a Berlino e vi racconta la magica esperienza che si prova ad assistere ad uno show di una delle ultime vere rock band in circolazione.
La Wuhlheide è una bella struttura per concerti, situata in una zona abbastanza periferica della Berlino est. L'arena è immersa in un ampio ed accogliente parco, come ce ne sono molti nella capitale tedesca. Da fan accorto e sagace, cerco di non arrivare a ridosso dell'orario d'apertura cancelli, stimato per le 16:45 per i membri del Ten Club.
La mezza mi pare un'ora adeguata per tentare, almeno un volta nella vita, di guadagnare la prima fila e godermi il concerto in santa pace, senza dover sgomitare a destra e a manca per mantenere la posizione. La zona antistante i cancelli è accogliente, con un bar, panche e tavoli per sedersi e mangiare qualcosa. Naturalmente, queste postazioni vengono quasi immediatamente abbandonate dopo un fugace pranzo, creando la colonna umana che si dissolverà appena varcato l'ingresso.
Più o meno all'ora stabilita i cancelli si aprono, ma l'entrata all'interno dell'arena si trasforma in un momento fastidioso, concitato ed anche un po' grottesco.
Immaginate una mandria di tori imbufaliti che si accalcano per uscire dalla recinzione.
La causa risiede in alcune leggerezze della security, che ignora completamente il comportamento del solito gruppo di furbetti che riescono ad aggirare la fila, ma, soprattutto, nella mancanza delle transenne atte ad incanalare in modo ordinato il pubblico all'interno del complesso.
Dopo la lotta all'ingresso e la corsa per le prime file non mi resta altro che attendere.
I Gomez sono i supporter per quattro delle cinque date europee.
Il gruppo si presenta verso le 19:30 e viene accolto molto bene dai presenti. Apre con "Revolutionary Kind", uno dei gioiellini tratti dal secondo album "Liquid Skin". Canzone cantata da Ben Ottewell, che interpreta i brani migliori con la sua voce bruciata. Poi largo spazio all'ultimo disco, "A New Tide", con il suo piglio molto brit-pop. La chiusura è affidata all'inquieta e ritmata "How We Operate", tratta dal penultimo omonimo album, per un set di circa mezz'ora.
Intorno alle 20:30 un boato assordante accompagna l'ingresso dei Pearl Jam sul palco, introdotti da un insolito sottofondo di pianoforte e non dallo strumentale "Master/Slave", come da copione. Nessuno spazio per le consuete ballad d'apertura, l'attacco è al vetriolo con una "Why Go" dominata dal solo fulminante di McCready. Il gruppo sembra in forma smagliante: Il suono è grasso, corposo ed il gain è regolato al punto giusto. Eddie è in serata, voce piena, centrata, rabbiosa quando serve. Seguono i riff sferraglianti di "Hail, Hail". Quasi subito arriva il momento del nuovo singolo "The Fixer", brano dall'andamento pop e melodicamente catchy; la versione dal vivo è come al solito accelerata ed irruente e supera decisamente la prova live.
Dopo "Corduroy" (pezzo quasi onnipresente nei live dei Nostri) iniziano ad alternarsi down e up-tempo. I Pearl Jam recuperano parecchi brani da "Binaural", il loro sesto album in studio, spesso dimenticato nel tour del 2006: momenti di pathos assoluto per "Nothing As It Seems", dove Mike gioca con i sui mille effetti, e la romantica "Light Years".
Gli show dei Pearl Jam sono un'alternarsi di sorprese e di situazioni che il pubblico s'aspetta.
Vedder che passa la bottiglia di vino ai ragazzi delle prime file; la lunghissima jam nel mezzo dell'immensa "Even Flow", durante la quale Ed, fumando e scuotendo il capo a ritmo di musica, osserva la sua band da un lato del palco immersa in un'esperienza quasi sciamanica; Eddie che nella coda di "Daughter" si diverte con il pubblico, il quale lo segue nei suoi vocalizzi e il Nostro che suona "Betterman" lasciandola intonare (perfettamente) alla gente.
Poi ci sono i momenti che hanno il sapore di piccoli regali, e son molti, perché siamo al cospetto di una band che non ripete mai la stessa scaletta! Una canzoncina come "Bee Girl", messa lì ad aprire il primo encore, suona dolce e meravigliosa; la splendida out take di "Vs.", "Hard To Immagine", che si sviluppa in un crescendo estatico o ancora la tiratissima "Sonic Reducer", dei Dead Boys, piazzata verso la fine dello show. Questa è la delizia dei concerti dei Pearl Jam: una band attenta ai suoi fan (lo è sempre stata), la quale non vuole deludere il pubblico tralasciando i classici, né annoiarlo con semplici greatest hits. A riprova di questo amore che lega I Pearl Jam con il loro "popolo" sono gli improbabili discorsi di Eddie nella lingua madre del paese in cui suonano e, soprattutto, la premura del gruppo affinché nessuno si faccia male. Non è un caso che Vedder, dopo "Gods' Dice", si fermi e domandi alla folla se è tutto ok, preoccupato dalla grande calca delle prime file, e chieda a tutti di fare tre passi indietro.
Il cuore dello show è costituito dalla cinquina spaccatutto "Got Some", "Glorified G", "Brother", "Insignificance", "Do The Evolution".
"Got Some" è un altro nuovo brano, aggressivo, con la sezione ritmica che gioca un ruolo dominante. "Brother" è una delle tante out take di "Ten", chitarre poderose e un bridge struggente, durante il quale Vedder improvvisa il testo, come spesso fa durante i live.
"Insignificance" e "Do The Evolution" incendiano il finale del main set.
Il secondo encore inizia con Ed e Mike che intonano "Angie", degli Stones, seguita immediatamente da "Small Town". C'è spazio anche per le richieste, e allora arriva l'epica "Faithfull". Se la ride Eddie quando durante il chorus non arriva con la voce, stremato da più di due ore di concerto.
La chiusura è abituale, classica, ma imperitura: la versione muscolare e devastante di "Rockin' In The Free World", di Neil Young, e la splendida ed evocativa "Yellow Ledbetter", con Vedder che tributa i prodigi di McCready inginocchiandoglisi di fronte durante il solo conclusivo.
Dopo gli inchini ed i saluti la band si dilegua dietro le quinte e la folla non impiega molto a dissiparsi. Nell'avvicinarmi all'uscita la cosa che mi colpisce di più sono le espressioni stampate sul volto dei presenti: facce indubbiamente stanche, anche un po' provate, ma quegli sguardi, persi nel cielo della notte berlinese come a cercare qualcosa d'incredibile da poco svanita, e strani sorrisi, appena accennati.
Le ultime visibili manifestazioni dell'ennesima grande esperienza musicale vissuta grazie ai Pearl Jam.
Main Set Pearl Jam:
Why Go
Hail, Hail
The Fixer
Corduroy
I Am Mine
Nothing As It Seems
Untitled
MFC
Gods' Dice
Even Flow
Unemployable
Severed Hand
Light Years
Daughter/Blitzkrieg Bop (Ramones)
Got Some
Glorified G
Brother
Insignificance
Do The Evolution
Encore #1:
Bee Girl
Better Man/Save It For Later (English Beat)
Given To Fly
Hard To Immagine
Alive
Encore #2:
Angie (Rolling Stones)/Small Town
Faithfull
Sonic Reducer (Dead Boys)
Rockin' In The Free World (Neil Young)
Yellow Ledbetter Foto di: Jessica Chepovsky