Paolo BenvegnÚ Le labbra
2008 - La Pioggia Dischi
Avvolti, inconsapevolmente distratti dai bombardamenti mediatici di una Italietta festivaliera che in questi giorni assilla di ugole e vuoti a rendere, questo lavoro discografico viene a cadere come panacea che lenisce lo stridìo e infervora di intensità una leggerezza costipante di abulìa sonora che si beve in quattro e quattr’otto ogni nervo di reattività.
Lasciate alle spalle le esperienze al neon con gli Scisma ed un album targato 2004 “Piccoli fragilissimi film”, il poeta musicista Benvegnù dà in pasto questo “esempio” di cantautorato sfrangiato di rock e intimismo in undici strade, di bellissime canzoni che si perdono su rapporti e confronti, scatti e flessioni, tra il dedicato e un senso autobiografico; canzoni che non si curano di essere bagnate o asciutte, ma che raccontano in schiettezza tutto il dolce o l’amaro che può colare da qualcosa che sa di orgoglio ferito.
“Respira guarda il cielo, guarda le stagioni passare, prendi posizione, viaggia, ricerca la tua parte migliore / Non hai nemmeno un mito da venerare, quattro soldi per andare al mare di notte a immaginare, nuotare” sono le parole de “La Schiena”, crude, dirette, esemplari, urlate dentro che aprono il messaggio sonico dell’album; solo voce catramosa e vacuum di strumenti ad arco e chitarre lievitanti che prendono inesorabilmente al collo e ti trascinano dentro al loro focoso tiro.
Album tempestato di gemme, come il grigio topo che coagula in “Jeremy”, la temporalità jazzly di “Interno Notte”, il rarefatto impianto che sorregge la straordinaria “Sintesi di un modello matematico”, la friabile consistenza di carta della ballad agrette di “1784”; insomma si ascoltano “melodie” accompagnandole in testa con uno spazio mentale ripulito e subito risporcato di fango e delizia.
L’artista Benvegnù in “Le Labbra” si è accreditato una grande responsabilità, quella di aver svernato e tolto i coperchi a un certo “stato di fare cantautorato”, che ha allontanato l’accademismo e l’inviolabilità dell’artista, tagliando i lacci a quella classicità da mausoleo impagliato.
“Non sento quest’ansia di arrivare di arrivare al tuo ventre caldo / Depositare il seme senza amare il campo”: frasi tratte dalla traccia “Il Nemico”, parole sincere, consapevoli, vere, che paiono tratteggiare l’orgia di sentimento contenuto in questo disco, l’orgia di seduzione che questo musicista bresciano svela e trasforma pian piano in scombinata poesia.