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Paolo Benvegnù La vita come transito, alla ricerca di un senso
#Paolo Benvegnù#Italiana#Canzone d`autore Indie-rock Alternative
Il transito nell’Earth Hotel, tra la vita, meravigliosa e terribile, di cui rincorriamo vanamente il senso, e la morte, tra il bene e il male, realtà compresenti e indivisibili che risiedono nel fondo della natura umana, l’incanto e il mistero dell’esistenza, aporie e limiti dell’umano, relatività di spazi, tempi, dell’innocenza o della colpa: tutto questo nel nuovo album di Paolo Benvegnù, che in una lunga, ricca e affascinante intervista ci racconta riflessioni e suoni affiorati nel vuoto ricercato nella prima fase della scrittura dei brani, con basso, batteria elettronica e sintetizzatore.
Paolo Benvegnù è tornato finalmente con un nuovo album, Earth Hotel, cogliendo l’ispirazione nel suo naturale stillare e sbocciare nel vuoto, trascritta in un’essenzialità magnetica di suoni eterei e insieme fascinosi. Ed è tornato a riflettere sull’uomo, sulla sua magnifica e terrificante complessità, sul viluppo spaventoso e meraviglioso del bene e del male, che è consustanziale per il nostro essere e può renderci quelli che, talora in modo manicheo, sono additati come mostri o ammirati come creature generose, sante e sublimi: tutto dipende dalla polarità verso cui tendiamo, mentre disperatamente ricerchiamo il senso dell’esistenza, ma ogni potenzialità è parte della natura umana. E ancora tra sonorità struggenti e appassionate il cantautore riflette su concetti relativi e storicamente determinati come l’innocenza e la purezza, sulla vertigine e sul mistero della bellezza indecifrabile del mondo e sul breve transito dell’uomo nelle sue stanze, che si può rendere più gradevole tendendo all’armonia e cercando nell’altro un abbraccio che colmi distanze e lacune. Una lunga intervista sulle scelte linguistiche e musicali, su tempi e spazi, distruzione, orrori contemporanei, aporie e colonizzazioni. Buona lettura.Mescalina: In un’intervista del settembre 2013 (a Just Kids) avevi stigmatizzato la necessità di pubblicare un disco in tempi brevi per “non scomparire”, poiché oggi nella musica si esiste se si fa, non se si è. Avevi raccontato di avere scelto alcuni pezzi, ma anche che con il tempo la soglia dell’autocensura si alza. Eppure, in linea con una storia di qualità e coerenza, a distanza di un anno è venuto fuori un album molto ispirato: come hai lavorato poi in questo anno? Hai sentito poi il peso dell’esigenza di forzare i tempi o alla fine hai rispetto i tuoi tempi?
Paolo Benvegnù: Sì, ho dichiarato quelle cose e tra l’altro continuo a pensare che in questo momento storico si esiste se si fa, cioè se si fa vedere soprattutto, piuttosto all’essere. Detto ciò, rispetto a quell’intervista posso dire che ho cancellato tutto e sono ripartito da zero (sorride). Sono rimasto in questa casa, dove c’è una stanza piccolina in cui avevo un basso, un sintetizzatore e una batteria elettronica, e sono stato lì ad aspettare, a cercare il nulla, il vuoto, da cui sono scaturite queste canzoni, piano piano, con grande calma, come una perdita in un impianto idraulico, come uno sgocciolio non necessariamente continuo, anzi, molte volte tremendamente lento. Poi, dopo aver scritto, ho semplicemente registrato i provini parola per parola, accordo per accordo e perciò è andata così…
Mescalina: Questo nuovo album si intitola Earth Hotel: nell’albergo della terra si può vivere senza avere consapevolezza del senso dei propri gesti, vivere di istinti, anche preziosi e di smarrimento, in qualche modo anche mancando a sé stessi, con l’impressione di “non aver mai vissuto”? Oppure vi si può anche ritrovare sé stessi?
Paolo Benvegnù: Non so, è strano, ma ho come l’impressione (anzi, è qualcosa che vivo anche, un po’ per lavoro, un po’ per vita, perché ho girato diversi posti) che la caratteristica bella di un hotel sia che vi resti e ci porti il necessario: arrivi, parti e di te lasci poco. E per una persona come me che non sente come importante avere una stabilità (per me non è importante avere cose, per esempio, ma sentirle…), è una situazione ottimale, con il pensiero di avere sì delle mura che proteggono per una o due notti, ma limitano anche il tuo sguardo… Il giorno dopo il mio sguardo è già da un’altra parte…Ovviamente questo apre quanto meno un paio di considerazioni: da un lato potremmo vivere la vita con un po’ più di serenità. Siamo in un posto dove ci hanno “lanciato” fisicamente l’amore (o qualsiasi cosa…) dei genitori, però in realtà non sappiamo cosa siamo a fare qui: ci danniamo l’anima per capirlo, alle volte neanche ce lo chiediamo, però facciamo dei gesti e delle azioni a volte molto poco “vitali”. La prima considerazione, quindi, è questa: lo stesso pianeta Terra, se si riesce ad eliminare un po’ il concetto di tempo e di spazio, è un transito. La seconda considerazione, che per quanto mi riguarda è un imperativo di vita, è che costruire stabilmente è una cosa che riesce a molti, ma costruire invece passando attraverso le cose ed essere un po’ più liberi, solitari e immaginifici è un po’ meno facile; io appartengo un po’ alla schiera degli immaginifici, per cui ovviamente risulto disadattato, però, credimi, è una condizione molto bella: per questo devo sperdermi nel vuoto per riuscire a trovare qualcosa di nuovo.
Mescalina: Sempre a proposito del senso delle cose, in Sempiterni sguardi e primati ci sono alcuni versi che recitano “Non c’è niente in fondo alle cose. / Non c’è niente. / Soltanto disperazione, fuga, incantesimo e mistero. / Eppure è tutto vero. / Anche se non c’è niente”. In Orlando canti “Non chiedermi nulla / Perché non saprei rispondere. / Perché tutto è un mistero da non rivelare. / Perché tutto ci parla senza farsi vedere”. La vita è mistero, bellezza, incanto, disperazione, ma nel suo fondo può non esserci il nulla, a tuo avviso? Il senso che si rincorre sfugge o non esiste, perché manca una realtà ultraterrena che illumini e giustifichi quella terrena?
Paolo Benvegnù: Bella considerazione…Non a caso Orlando arriva prima di Sempiterni sguardi e primati. Oserei dire che sono stratificazioni di piccole intuizioni, ma è inquietante (sorride). Orlando dice questo perché specialmente in un rapporto tra due persone, sentimentale o genericamente interpersonale, non c’è niente di più grande di quello che è l’istinto che muove le nostre vite: c’è poco da chiedersi, cioè c’è poco da chiedere all’altro, ma c’è da chiedere tanto a noi, in piena sintonia con quello che altri chiamano desiderio e io chiamo appunto istinto, istinto di vitalità. Ognuno di noi ha il proprio e nel chiedere qualcosa all’altro, che sia un partner, un collega di lavoro o una persona incontrata occasionalmente, c’è già una grande paura: è come se si dicesse “aiutami, fammi capire questa cosa”, ma devi capirla da solo (sorride). In Sempiterni, invece, c’è un’intuizione che è arrivata proprio agli sgoccioli del disco, per cui mi sembra di poter dire che in fondo alle cose, anche alle più importanti e alle scoperte più meravigliose, alle parole più auliche, soprattutto all’interno dei nostri desideri personali, delle ambizioni, ecc. non c’è veramente nulla: è tangibile un desiderio se voglio assumere un determinato ruolo, diventare per esempio presidente di una società e diventare ricco, ma se il mio desiderio è sperdermi nel mondo, la concretezza materiale si perde. Ecco quello che intendo dire: sono convinto del fatto che tutto ciò per cui ci battiamo molte volte sia prettamente inutile, se non ha nulla a che vedere con l’armonia e il tendere verso l’altro. Il fatto che esistano i pavimenti, le porte, i vasi o i tavoli è molto confortante, perché in questo transito tra la vita, che ci sembra la cosa più meravigliosa del mondo (e lo è, bellissima e terribile com’è), e un senso di fine che consciamente o inconsciamente sentiamo come ineluttabile (e lo è), ogni tipo di tensione o desiderio materiale esiste fisicamente, perché la macchina nuova la vedi, la senti e la tocchi, ma in una proiezione molto più allargata, extragalattica ad esempio, all’interno dei movimenti e degli equilibri dell’universo esteso, veramente non esiste, è qualcosa di infinitesimale. Per questo penso: è un transito, cerchiamo di vivercelo bene, stiamo insieme, abbracciamoci; se abbiamo bisogno di conforto, cerchiamo di coprirci uno con l’altro. Cerchiamo di parlarci, o di non parlarci, di parlarci a gesti e tenerci le mani. E questa non è una risposta tra l’altro, ma è semplicemente cercare di avvisare le altre persone, ecco. Amo gli “avvisatori”: quando ricevo degli avvisi, son contento. A volte capita anche a me di essere un “avvisatore”, ma non è detto gli altri reagiscano allo stesso modo…
Mescalina: Nel disco ci sono molti riferimenti, da De Chirico a Stefan Zweig, dai divisionisti a Radio Londra: come mai?
Paolo Benvegnù: Anche se noi cerchiamo disperatamente di vivere una vita molto concentrata sulle nostre attività, fondamentalmente sono proprio i contesti che ci danno anche delle direzioni. Ognuno di noi, in una maniera o nell’altra, cerca una propria direzione; però fondamentalmente non siamo scevri dal contesto in cui viviamo. In realtà in questo caso le citazioni sono proprio considerazioni: se non avessi visto un autoritratto di De Chirico tanti anni fa, non avrei avuto una percezione di me di altro tipo, oppure se fossimo in un universo silente dove gli unici suoni fossero solo le parole che pronunciamo e la musica fosse suonata solo nei teatri, se non ci fossero le radio e le altre persone che parlano, per cui tu diventi sfondo di altri e gli altri diventano sfondo di te, noi saremmo diversi. Per quanto noi cerchiamo di fare un percorso personale, è sempre strettamente legato agli altri; perciò se vai a focalizzare l’attenzione sul resto, le mie parole diventano di contorno, cosa a cui ambisco, tra l’altro.
Mescalina: E’ abbastanza curioso che alcuni di questi riferimenti siano diventati anche i titoli delle canzoni…
Paolo Benvegnù: Sì, beh, in particolare mi ha incuriosito molto la vita di Stefan Zweig, una persona che sapeva troppo, tanto, tantissimo e decide di togliersi la vita con la moglie, non tanto perché sapeva troppo, quanto per una profonda nostalgia verso il suo vissuto, visto che aveva dovuto rifugiarsi in Brasile per via delle leggi razziali in Germania e in Austria. Questo è un aspetto, ma in tutta franchezza quello che mi ha colpito è che Zweig si toglie la vita circa tre anni prima dell’indiretto carnefice, Hitler, che muore esattamente con la stessa modalità. Però appunto noi vediamo uno come la vittima e uno come carnefice e mi fa ridere la nostra impossibilità a vederci sia come mostro, sia come sublime.
Mescalina: Il riferimento che mi ha colpito di più, però, proprio per il contenuto della canzone, è quello di Nuovosonettomaoista, che mi sembra forse la canzone più “politica” tra quelle che hai scritto: parli di “un nuovo ordine nel caos”, “diseducazione ad ogni sentimento” e “restaurazione crudele e velocissima”. Si tratta di un testo molto forte: com’è nato questo brano?
Paolo Benvegnù: In realtà non è politica: si parla di un nuovo ordine mondiale, ma è più umanistica che politica, a mio modestissimo parere. Semplicemente faccio notare che oggi la situazione non è così diversa dal 1600: se nel Seicento è stato messo al rogo – faccio un nome a caso – una persona con un grande sguardo, uno sguardo altro come il meraviglioso maestro di Nola [ndr: Giordano Bruno], adesso coloro i quali permangono custodi e vanno in cerca di altro sono messi al bando, perché c’è una grande voglia di restaurazione…In realtà non lo dico da un punto di vista strettamente politico: sono considerazioni che vanno ben oltre la politica…
Mescalina: Sì, politico in senso lato, perché riguarda comunque la società…
Paolo Benvegnù: Sì, la prima lettura potrebbe essere politica, ma se si ha lo sguardo in movimento, si comprende che non è politica, ma è una cosa prettamente umana: fin dalla nascita dell’organizzazione dell’uomo, ci sono clan di persone che sfruttano tutti gli altri. Al di là del denaro e delle ricchezze, sfruttano l’incapacità delle persone, degli esseri umani di andare oltre la loro piccola visione. Non è neanche una cosa organizzata: ci si riesce perfettamente nel caos magmatico dell’universo ed è casuale per certi versi, ma si nutre, il più delle volte, di atti efferati. E per me sono atti efferati per esempio quelli di Hugo Boss: tutti conoscono questo stilista e questa multinazionale del lusso, ma pochi sanno che Hugo Boss è diventato veramente ricco con la seconda guerra mondiale, perché era colui che faceva le divise dei nazisti. Attraverso delle azioni casuali, questa persona continua a permanere e poi dopo magari in certo momento storico fa un’offerta per salvare i poveri bambini del Centro-Africa. Sono insomma considerazioni sull’umano, che sono del tutto reali: magari sei un giornalista e ti impegni strenuamente per fare un bellissimo servizio sulle condizioni dei senzatetto a New Orleans e di fianco c’è una pagina, realizzata da un’altra persona che lavora insieme a te, con una pubblicità della ThyssenKrupp. Non so se riesco a farti comprendere…
Mescalina: Eh, certo (sorriso amaro su tale realtà).
Paolo Benvegnù: Noi viviamo tra queste assurdità, ma ce ne dimentichiamo, perché siamo ovviamente presi dal nostro quotidiano, dal personale, che è così difficile alle volte da conciliare con i propri sentimenti, le proprie aspirazioni e desideri. E questo esiste da sempre e questa è la cosa interessante: esiste ancora prima del denaro. Questo è un brano che mi piace molto, perché fa capire che nonostante ci siano tante intelligenze particolarmente vivide, non si rendono conto di lavorare per la distruzione, tanto è vero che Nuovosonettomaoista esprime la causa di Feed the Destruction¸ che viene dopo. Lontano da me l’intento di fare considerazioni politiche: è proprio una considerazione sull’uomo. Io, a lato, rido sardonicamente.
Mescalina: Sì, ma l’uomo è un animale politico (sorrido): se parliamo di come l’uomo si muove nella società…
Paolo Benvegnù: Sì, in questo senso è un brano politico, come gli altri, e ti ringrazio, hai ragione…
Mescalina: Invece che cosa significa per te l’espressione “imparare il disinganno”, che chiude la consueta guida di didascalia sui luoghi per ogni canzone?
Paolo Benvegnù: Sì, la guida inestricabile! (ridiamo) Allora…è differente rispetto ad imparare la disillusione, se è vero che arriva un certo punto in cui senti qualcuno che dice che sei un utopista, per cui prima o poi devi imparare la disillusione, cioè che l’uomo non è fatto così e le cose non vanno in questa maniera, ecc. Il significato in questo caso è un altro: il disinganno è relativo al bene e al male. Soltanto occasionalmente io non sono diventato un mostro: dipende dallo sfondo in cui sei. Bisogna riconoscere questa cosa e arrendersi al fatto che possiamo essere la cosa più aberrante o più sublime, che possiamo essere dei meravigliosi genitori con una cura straordinaria per i figli o anche per le altre persone, o essere assassini. Imparare il disinganno per me è sapere che abbiamo tutti queste potenzialità e in condizioni estreme potremmo essere sia l’uno che l’altro: è una considerazione sull’uomo.
Mescalina: Lo stesso concetto di mostro in fondo cerca di allontanare questo pensiero, con la rassicurazione che il male sia appannaggio di chi è l’eccezione alla norma, da isolare e circoscrivere. Il mostro si addita come diverso da noi, mentre il male è qualcosa di inestricabile rispetto al bene.
Paolo Benvegnù: Sì, assolutamente. Secondo me i criminali più efferati – e questa ovviamente non è un’apologia di queste aberrazioni –, quelli più organizzati, i serial killer con manie di ordine e di pulizia del mondo e i santi più sublimi di qualsiasi tipo di religione, o i martiri hanno lo stesso valore assoluto, su un piano matematico. Tutti noi siamo veramente disperati perché non sappiamo perché siamo qui e queste sono veramente digressioni: c’è chi punta sul crimine e compie azioni tremende – e ribadisco, non sto facendo nessun tipo di apologia dei criminali – e chi cerca di aiutare in tutti i modi gli altri; ovviamente per come sono fatto io propendo più verso l’umanità non aggressiva, però quando bisogna riconoscere il valore estetico, per certi versi, di queste digressioni, a mio modestissimo parere, dal punto di vista della quantità di impegno, non c’è differenza. Santa Caterina che per tutta la vita ha dormito su un sasso a Siena, per ospitare i malati e la Turchia che ha massacrato gli armeni, dal punto di vista della genialità, delle modalità, del rigore, dell’impegno da una parte verso il bene, dall’altra non verso il male, ma verso l’efferatezza più bestiale, hanno avuto la stessa disciplina. Questa è un’altra cosa curiosa, di cui non si parla mai: si parla di menti malate, oppure di anime santificate e di martirio, ma semplicemente nelle varie sfaccettature dell’umano ci sono anche queste possibilità, che vanno colte, per imparare il disinganno o disimparare l’inganno.
Mescalina: Invece cos’è per te l’innocenza, un altro concetto che torna più volte nel disco?
Paolo Benvegnù: Accidenti, è una domanda difficile…(ridiamo). Ci sono vari tipi di innocenza: anche ad esempio l’egoismo a volte può essere innocenza; se tu non vedi l’altro al di fuori di te, ogni tuo movimento ha un senso di innocenza, che ovviamente invece dal punto di vista altruistico è egoista. In quel momento l’egoista pensa che stia facendo la cosa giusta…
Mescalina: Certo, non hai consapevolezza di togliere qualcosa a qualcuno se lo stai ignorando e sei concentrato su te stesso…
Paolo Benvegnù: Esatto! Poi sono tutte considerazioni che vanno fatte nello spazio e nel tempo. Se ad esempio in questo momento ci fossero dei ragazzi di 11-12 anni che stanno facendo sesso, farebbe quasi inorridire, a parte il fatto che succede e sia una cosa naturale per certi versi, ma 100 anni fa ci si sposava a 11 anni. Un altro esempio: lungi da me ancora fare qualsiasi apologia, ma quello che accadeva nell’antica Grecia o a Roma, non è così diverso da ciò che accade in questo momento storico, solo che qui adesso è definito pedofilia (ed è giustissimo che sia così, a mio modesto parere). Se non riusciamo a vedere chiaramente questo inganno del bene e del male, ad entrarci e lì veramente scegliere, siamo comunque estremamente e potenzialmente danneggianti o danneggiati. Questo disco in realtà significa soprattutto per me – ed è dedicato e rivolto a me – un invito: “Cerca di avere una visione più ampia, cerca di avere un pensiero più lungo, cerca di stare bene, visto che pure la pioggia e i movimenti inconsci delle persone creano intoppi e meandri, che fanno stare male,ma anche se è successo di qualcosa di strano o difficile, affrontalo e sii felice:”. Non c’è altra possibilità, a mio parere.
Mescalina: Dicevi che questo è un disco puramente per te…A proposito della scrittura delle canzoni, in questo album ci sono dei versi che recitano: “le parole sono pietre ambiziose / vizio di forma innaturale / grondano miele nel Vuoto assurdo, Siderale” (Nello spazio profondo). Come mai hai scritto questi versi e cosa per te le parole, cosa sono per te le tue parole quando scrivi?
Paolo Benvegnù: Appunto sono pietre ambiziose, sono un lusso, per certi versi, sono ambizione e sono il primo a purtroppo farne uso fin troppo, come puoi notare anche in questa telefonata, mi dispiace…
Mescalina: No, no, assolutamente…è un privilegio ascoltarti!
Paolo Benvegnù: Continuo a ritenere però che l’uomo sia altro rispetto alle parole: quella di parlare è ormai diventata una tecnica, ma siamo qualcosa di più misterioso, che si muove su altre dimensioni rispetto a quella che vediamo o ascoltiamo…E’ ciò che sentiamo che rappresenta le dimensioni più profonde dell’uomo: sarà capitato mille volte anche a te di vedere una persona e sentirla vicina, si dice a pelle, ma in realtà è altro. Anche questo dovremmo valutare: in questo momento storico si va verso una realtà di distanza, come minimo bimensionale, in cui è tutto registrato e catalogato in questi video, in situazioni e sketch di vita reale. È preoccupante: più andiamo avanti, più il potere dell’occhio prende il sopravvento e meno è calcolato quello che è tutto intorno, per cui sia la parola che l’occhio sono degli ottimi inganni. Del resto, se noi fossimo tutt’occhio, vedremmo una realtà completamente diversa, a 360 gradi; invece ci fidiamo tantissimo di qualcosa che è paurosamente limitato. L’occhio è un buco in un corpo fatto di acqua e di altre piccole sostanze che vede delle cose. Io sto semplicemente cercando di dire: cerchiamo di relativizzare ogni cosa e di sentirci più per come si sentono gli animali, – faccio un esempio sciocco…– come i cani. Ho come l’impressione che abbiano una percezione per certi versi più completa, sicuramente diversa dalla nostra e sviluppata per ogni specie in maniera completamente diversa. Le parole sono pietre preziose…Io le uso sempre, perché non posso farne a meno, ma il mio tentativo nel tempo è di farne a meno, non completamente, perché anche quella sarebbe un’imposizione, ma di dire delle cose a sufficienza: purtroppo non ci riesco e mi dispiace.
Mescalina: Dicevi che ogni specie ha un approccio diverso: forse l’uomo, rispetto ad altre specie animali, sviluppa meno l’istinto, perché sviluppa la ragione, la parola, altri strumenti magari più di analisi: sente meno ciò che ha attorno e ci ragiona di più…
Paolo Benvegnù: Sì, sì, il senso è questo, ma in realtà questo magari non è nemmeno una cosa sbagliata: secondo me il problema è più la sofisticazione del pensiero. Faccio un esempio riguardo all’arte contemporanea: si è passati dall’arte figurativa all’astratto. Da un lato è comprensibile che si sia voluto andare a cercare l’altrove pensando all’umano: questo secondo me è l’aspetto più gradevole, ma la cosa curiosa è che quasi tutti hanno fatto quel passaggio in quel momento: è questo che mi rende dubbioso e scettico. Noi sofistichiamo il nostro pensiero alle volte perché è movimento, tanto legato al movimento del pensiero degli altri. In questo disco – io non ci ho ancora capito niente, come puoi notare dalle risposte idiote, ma forse… – ho capito attraverso la scrittura prettamente inconscia di questo disco che almeno per quanto riguarda me sono tre le cose essenziali, capire cosa è necessario e cosa è superfluo, avere la possibilità di avere uno sguardo più lungo e perciò di avere un pensiero più lungo, e cercare di vivere felicemente. Magari non sono tre cose importanti, ma è quello che posso evincere in questo momento: tra un anno forse avrò altre interpretazioni e avrò compreso altre cose o sarò completamente perso in Barbagia, che forse è la cosa migliore (sorride).
Mescalina: Invece a proposito di parole…che cosa sono i campionamenti che chiudono Stefan Zweig, Avenida silencio e Piccola pornografia urbana?
Paolo Benvegnù: Prima accennavo al fatto che noi possiamo essere sfondo per gli altri e gli altri per noi: sono piccoli dialoghi, che riguardano altro e sono altrove. L’idea era di farli comparire come compaiono i dialoghi di sottofondo come nei film di Fellini: c’è Mastroianni che parla con qualcuno e dietro passano suore che parlano in francese, turisti che parlano in americano, ecc. Era per rendere l’idea che dobbiamo comprenderci come unità, ma anche come una grande moltitudine in divenire. In particolare in Avenida silencio anche il ritornello, se si può chiamare così, alla fine è nato per lo stesso motivo: inizialmente l’idea era di tenere queste parole molto in sottofondo, come se fossero sussurrate, ma poi abbiamo fatto una scelta diversa, perché ci sembra più naturale far sentire le parole ascoltate sul transatlantico, mentre si passa dal ponte A al ponte B.
Mescalina: Come mai nelle tue canzoni ancora oggi si alternano più lingue, italiano, inglese, ma anche francese e spagnolo (nel titolo) appunto in Avenida silencio: di solito si fa una scelta e in un periodo si scrive per esempio in inglese, mentre in un periodo in italiano…
Paolo Benvegnù: Essenzialmente, quando uso più lingue – ed è una scelta che faccio spesso – è perché parlo con la lingua dei colonizzati e dei colonizzanti. Poi è anche una questione di suoni: una frase come Feed the Destruction è percepita diversamente rispetto ad una in italiano, che avrebbe mille sfumature…Dà il senso della durezza: già spiegandolo si perde il coefficiente di penetrazione del concetto. Detto questo, a me piace con l’inglese, ma anche con il francese, perché mi sento colonizzato: se la seconda guerra mondiale l’avesse vinta Hitler, probabilmente oggi scriveremmo in tedesco e delle saghe nordiche…A proposito di sfondi che cambiamo, ci dimentichiamo spesso che la storia la scrivono i vincitori e la cultura la impongono i vincitori, per cui mi piace l’idea di essere colonizzato e colonizzante. Da ragazzino ho sognato di essere in Siria ai tempi dell’impero romano e parlare in latino, quando lì ovviamente si era lontani dal rigore della lingua latina...
Mescalina: Passando invece alla musica, un’ultima domanda: l’elettronica è più presente in quest’album, che suona più rarefatto dei precedenti. È merito anche della collaborazione con Michele Pazzaglia, che conosci da tempo e ha prodotto l’album con te? Com’è stato lavorare con lui a questo disco?
Paolo Benvegnù: Bellissimo. Abbiamo lavorato insieme su Hermann, ma ancora prima su Dissolution e su due EP e ormai abbiamo una comunicazione quasi metafisica: quasi non parliamo più! Ovviamente su alcune scelte ci siamo trovati più a parlare, ma fondamentalmente in quello che faccio non solo con Michele, ma con tutti, con Luca Baldini, che c’è stato tanto, con Andrea Franchi, che c’è stato quando ha potuto, con Guglielmo Ridolfo Gagliano, con Matteo Carbone e tutte le altre persone che hanno suonato in questo disco, per certi versi c’è un rapporto da un lato di fiducia, dall’altro di confronto, che per me è molto importante, tanto che ho avuto quasi timore i primi mesi di confrontarmi con loro: dovevo capire qualcosa, prima di cercare di spiegarlo. Poi il confronto è stato molto bello e secondo me dal punto di vista umano “sbocciante”: non si può dire, ma c’è stato uno sbocciare di fiori, di piccole adesioni continue. Siamo andati avanti con le forze che avevamo, tra l’altro senza avere neanche un obiettivo; poi per fortuna – a proposito di persone che aiutano… – abbiamo trovato Woodworm e i ragazzi di Woodworm, l’etichetta, Marco e gli altri, che ci hanno dato una mano ed è così raro trovare persone che aderiscono per far fiorire un affastellarsi confusionario di pensieri, a cui hai partecipato anche tu oggi, purtroppo (purtroppo per te…).
Mescalina: Ma no, guarda, assolutamente! (ridiamo).
Paolo Benvegnù: Ho fiducia nel caos, almeno nella fase primigenia della scrittura, poi insieme abbiamo lavorato bene e siamo stati bene. La difficoltà è stata quella mia iniziale di trovare una traccia da proporre loro, in cui si potessero immedesimare, che potessero sviluppare, immaginando, e – perché no? – potessero stravolgere con le loro intuizioni. Così è stato per Hermann, così è stato in modo diverso per questo disco: in Hermann c’era stata proprio una scrittura corale, mentre in questo caso per varie vicissitudini la scrittura è stata più personale, ma poi molto armonizzante tra di noi.
Mescalina: Per quanto riguarda il ruolo dell’elettronica, quindi, in questo disco, cosa puoi dirci?
Paolo Benvegnù: Ah, sì, il ruolo dell’elettronica è legato proprio alla fase di scrittura personale: in casa avevo un basso, delle chitarre, che non ho usato, un sintetizzatore e una batteria elettronica; poi abbiamo lasciato alcuni pezzi più o meno com’erano, mentre altri brani sono cambiati e paradossalmente sono diventati in seguito chitarra e voce, però il processo è stato proprio questo: avevo fatto in modo di non aver nient’altro che quelle cose a casa…
Mescalina: …il necessario, come in albergo…
Paolo Benvegnù: Esatto, hai perfettamente colto…ed era una necessità: la necessità era di non cominciare a scrivere con la chitarra, perché con la chitarra ho scritto tanto e sapevo dove andavo a finire…In questo album, invece, i brani suonati con la chitarra vengono da altro e si sente…
Mescalina: Bene, ti ringrazio tantissimo…Le tue parole sono sempre preziose come spunti di riflessione, come le tue canzoni.
Paolo Benvegnù: Troppo gentile, grazie a te.
Fotografie e art-work: Mauro Talamont
Etichetta/Management/Booking: Woodworm Music
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Si ringraziano Paolo Benvegnù e Alessandro Ricci per Big Time.