Paolo Benvegnù H3+
2017 - Woodworm/Audioglobe
Dello spazio i suoni del disco possiedono l’immensa suggestione e il languore, il respiro potente e la percezione estatica ed esausta della bellezza che sovrasta, ma non pensiate ad eccessi di pathos: siamo dinnanzi invece ad un sound piuttosto asciutto, spesso pulito e rock, con chitarre scolpite e secche e bassi chirurgici, ma quel terso cielo cosmico è spesso trapunto di piccoli baluginii sognanti, di suoni algebrici che, nonostante la loro apparenza algida, secernono “vertigini e tempeste” (Quattrocentoquattromila), o ancora di note di piano dalla dolcezza accorata, ordinate in scale che sono scalate verso l’infinito o diffuse in sobrie ebbrezze di poesia.
Ogni addizione di strumenti in questi pezzi, le cui musiche sono come sempre frutto di un lavoro collettivo con la band, è calcolatissima, tanto da sembrare necessaria: si pensi ai fiati in Boxes o alla sontuosità attentamente calibrata degli archi di No Drinks No Food. Gli arrangiamenti qua e là attingono d’altronde una nuova classicità, proponendo una misura cantautorale (talora persino “degregoriana”: si ascoltino piano e chitarra nelle strofe di No Drinks No Food), che pure si traduce in abbraccio smisurato di quella bellezza che la musica perlustra, tra il respiro delle cose, “le cattedrali, l’alfabeto, i gigli [...] le montagne immacolate, il vento, il rumore delle onde” (ancora in No Drinks No Food). Non manca anche qualche momento più torbido, quando sale l’onda delle chitarre elettriche in ritmi art-rock in Boxes.
La Sehnsucht di addii da regalare si mescola alla gioia della rinascita, tra esplosioni di stelle e di soli incandescenti (v. Astrobar Sinatra), mentre si è intenti a “imparare l’ascesa” (Slow Parsec Slow), al di là dei demoni e prigioni interiori, anche se si è cercato finora l’infinito “senza trovare niente” (Se questo sono io). Mentre i cieli cambiano e scorrono, ci sarà ancora “l’entusiasmo dei secondi” (Victor Neuer), ci saranno ancora “infiniti secondi da bere” e un “infinito futuro da desiderare” (Olovisione in parte terza), mentre il futuro “che non riesci a immaginare è solo un presente in divenire” (Boxes).
Difficile distinguere i brani più pregevoli tra i dieci di un disco in cui Benvegnù, in stato di grazia, riesce ancora a superarsi: intensità pensosa oppure quasi ossimoricamente filosofico-poetica, tra razionalità e abbandono, profondità, eleganza impareggiabile a cui abbeverarsi.