Non è un caso che la forma a cui Nada è arrivata è l’antitesi di quella canzonetta italiana, con cui lei stessa ha raccolto in passato più di un successo. E non è un caso che questa venga suonata e interpretata con artisti provenienti dall’estero, come John Parish ed Howe Gelb, e con altri che più che italiani sarebbe meglio definire indigeni, come Cesare Basile, per l’ostinata dedizione con cui lavorano la musica, come fosse un solco nella terra.
A questi aggiungete Lorenzo Corti, Marcello Sorge, Giorgia Poli e Marcello Caudullo e non sarà difficile immaginare il suono di questo nuovo disco di Nada, ulteriore scarto rispetto al precendente “L’amore è fortissimo e il corpo no”. Ora quell’amore si è fatto ancora più ostico e duro, come ben suggerisce l’immagine in copertina di un cuore di pietra persorso da una crepa.
Già la presenza di Nada nel disco di Cesare Basile, “Gran calavera eletrica”, aveva suggerito una possibile via, oscura e irta di spine, che viene qui percorsa in tutti i suoi anfratti, senza paura di incorrere in eventuali ferite. Per questo è stato chiamato John Parish, uno che la sa lunga in fatto di suoni viscerali e che non si risparmia quando c’è da fare del rock nel senso più scarno del genere, tanto che il noto produttore si è prestato a suonare in più di un brano.
“Tutto l’amore che mi manca” è un disco ruvido e grave, che dà fastidio a partire da “Chiedimi quello che vuoi”, con ben quattro chitarre a suonare una richiesta disperata. Nada riesce a tenere in equilibrio il rock e la canzone italiana, senza scendere a compromessi, puntando ad un’essenzialità che celebra entrambi nella loro forma più autentica e radicale. Anche quando in “Senza un perché” emerge qualche frammento di melodia, lei canta con voce ferita, non nasconde i propri lividi e lo stesso fa in “E ti aspettavo” e nella title-track, quando trascina quella che avrebbe potuto essere la nenia di un canto popolare.
“Asciuga le mie lacrime” è un singolo angosciato, pronto a deflagrare dal vivo, cosa che succede con la scioccante ghost-track di “Le mie madri”, un mantra tormentato, degno di Patti Smith. C’è una severità che percorre il disco, che rivendica amore e sincerità, nei testi come negli arrangiamenti, nel rock cupo e distorto come nel folk scuro e impietoso, nel canto d’amore crudo come nel duetto in inglese con Gelb. A confronto gli ultimi dischi di P.J.Harvey sembrano quelli di una ragazzina che non sa come sfogare la propria rabbia: Nada invece è una donna che non ha bisogno di alcuna posa.