Se allora ci chiedemmo quale sarebbe stata la strada intrapresa da quel disco in poi, la risposta sta proprio ne “La Malavita”. Con una line-up rimaneggiata, con il distacco di una delle colonne portanti, quel Fabrizio Massara che comunque è presente nell’album, sia come autore che come musicista, il quartetto di Montepulciano approda al grande salto della Warner e alla sapiente produzione di Carlo U. Rossi.
“La Malavita” è un disco diverso dai precedenti, tanto lontano che ai primi ascolti la delusione è lì, pronta a manifestarsi, ma subito dopo la percezione cambia completamente. È un disco che coinvolge piano piano, dove i riferimenti retrò continuano, ma su una linea differente, e dove il debito verso il ‘94-‘95 inglese non si trova più, spostandosi, al limite, verso alcune sonorità fine ’70.
I momenti migliori dell’album sono il pezzo acustico introduttivo, di una forza prorompente ed evocativo al massimo, “Sergio”, “Un romantico a Milano” e “A vita bassa”. In quest’ultimo l’alchimia dell’alternanza delle voci di Rachele e Francesco ricrea la magia di episodi passati, una canzone forte, potente e coinvolgente. “Sergio” è invece una sorpresa, a fronte di una presa non immediata, si rivela l’episodio più emozionante dell’album e forse della carriera dei Baustelle, un pezzo che si insinua sotto la pelle e fatica ad uscirne,e la frase più bella dell’album riecheggia continuamente in ogni momento della giornata: “ed io non so se sono un uomo oppure no/mi chiamo Sergio e come te/vivo”. “Un romantico a Milano” è praticamente già un classico del repertorio baustelliano, un perfetto mix di sensazioni che chi vive nella capitale meneghina riesce a comprendere, dall’omaggio al vero Manzoni (Piero, finalmente qualcuno che lo dice!), passando per “il freddo nei polmoni” fino al ritornello che può sintetizzare l’approccio verso questa metropoli, un eterno amore-odio, dicotomia irrisolvibile del cittadino alienato.
Il resto dell’album è composto da pregevoli episodi come il bel singolo “La guerra è finita”, la ballata del “Corvo Joe”, con la voce di Bianconi al top, la trascinante “Il nulla” e lo splendido, poetico finale di “Cuore di tenebra”. Gli episodi deludenti risultano invece essere “Revolver”, canzone potenzialmente perfetta ma rovinata da un suono di chitarra che esula completamente dal discorso unitario dell’album, e dalla noiosa “Perché una ragazza d’oggi può uccidersi?”, nonostante la bella voce di Rachele.
I testi, in piena coerenza con quanto fatto in precedenza, trattano di mondi più che palpabili, nostri o che vorremmo sentire nostri; ci permettiamo di consigliare di leggerli solamente ascoltando la musica. Suggeriamo anche di ascoltare “La Malavita” ad alto volume, possibilmente in macchina o con le cuffie camminando velocemente per la città, cercando magari di specchiarsi in qualche vetro di automobile o nelle vetrine dei negozi.
Un album potente, importante, il degno discendente di quel “Sussidiario” che, comunque, continuerà a fare capolino nei nostri stereo. I Baustelle sono maturati (almeno artisticamente) e, visto i risultati, noi non possiamo che esserne felici.