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Baustelle I Baustelle presentano il nuovo album 2013 Fantasma
La band toscana presenta il sesto disco. Francesco Bianconi dice: «Per questo concept album ci ha ispirato anche De Andrè».
Lo scorso 30 gennaio mi accingevo a varcare le porte della Feltrinelli di Genova per assistere all’incontro dei Baustelle con pubblico e stampa per la presentazione del nuovo album Fantasma e mi domandavo: “In questi casi valgono più le domande o le risposte?” In estrema sintesi … E’ necessario parlarsi addosso per una band che già comunica con quello che fa, cioè la musica?Si apre il palcoscenico. Non si ha la percezione del tempo sinché non lo si misura. E questo crea a volte un po’ di fastidio. Inizia così la lunga chiacchierata con la band e queste sono le prime parole di Francesco Bianconi pronunciate con tono sommesso.
Perché all’interno del brano Monumentale si parla di lasciare la chat, uscire di casa con la ragazza, fare una passeggiata al monumentale e magari baciarsi? Da qui inizia tutta una disamina che tocca con estrema cautela e serenità il tema dei social network, i suoi usi, e il pregiudizio in generale. Spiegare un testo per un artista che si voglia definire tale è sempre una pratica tediosa e autolesionista. Bianconi stesso afferma a più riprese di non voler spiegare troppo le sue canzoni subodorando quanto il rischio superi l’opportunità, ma poi si arrende alla sua malcelata vanità. Comincia così un flusso di coscienza, sapientemente gestito e automoderato, figlio di una scelta consapevole su come rapportare apparenza e sostanza, pause della voce e mimica corporea. Si vuole mettere a nudo l’uomo, il suo pensiero, che a volte scivola oltre il lecito e quindi viene ritratto; ma tutto nel segno dell’equilibrio per non porre il fianco alla critica.
Internet è una tecnologia in più, un’opportunità, ma piano piano può diventare anche una moda, un’abitudine, un vizio… E allora bisogna sapersi fermare, guardarsi intorno con occhi diversi. Non c’è una verità assoluta che si parli di tecnologie o di camposanti. Anche il Cimitero può essere più vivo e romantico di tanti stereotipi. I Monumentali di Milano o di Staglieno (GE) lo stanno a dimostrare, come cantato da Rachele Bastreghi.
Ma poi è il discorso sulla morte a risultare filosoficamente convincente, nonché chiarificatore. Partendo da una mistificazione completamente fuorviante in cui i Baustelle sono tacciati di essere amanti della morte perché la cantano, Francesco riesce davvero a farsi antidoto alla banalità. La morte è vista semplicemente come il tramite che porta alla felicità, condizione per antonomasia dell’eternità.
Insomma la morte vista come mezzo, una condizione necessaria e funzionale a uno status di benessere spirituale. Noi occidentali diamo troppa importanza al trapasso (o meglio una valenza distorta e troppo limitata) che ha in realtà un effetto liberatorio come l’apocalisse … E poi la catarsi. Una visione quasi cristiana della vita (e morte) come se tutto fosse necessario e parte di un progetto a noi incomprensibile, in modo che si compia la volontà degli dei.
E’ incredibile come l’oratoria sia un’arte suggestiva ed esaustiva nel suo dispiegarsi: dopo l’accusa infondata di clericalismo con I Mistici dell’Occidente, arriva ora quella di anticlericalismo per un verso cantato in cui si parla di rifiuto per il fetore della Chiesa. Anche qui la discussione chiarisce come le parole siano riferite a un certo tipo di Chiesa, e soprattutto alla sua degenerazione limitata e terrena per natura. L’Istituzione d’altronde è fatta di uomini che a loro volta hanno scritto la Bibbia, quindi imperfetta intrinsecamente e da non consultare per non offendere gli dei.
Non manca un riferimento al solito dibattito su cosa sarà la musica nel nuovo millennio tra download libero e superficialità imperante tra i giovani non abituati all’approfondimento da vinile. E qui la risposta più intelligente del gruppo che ha l’attenzione di soffermarsi non solo su i tanti aspetti negativi, ma anche su quanto di positivo possa scaturire da una condizione di necessità. La consapevolezza di non avere più i mezzi di una volta, soprattutto a livello finanziario, porta l’artista di oggi a essere incredibilmente più libero di rischiare o forse semplicemente più istintivo nel rispondere al proprio ingegno. Una condizione pre commercializzazione del prodotto musica, come solo sino agli anni sessanta si è potuto avvertire.
Il collegamento a questo punto, con il modo di lavorare seguito per questo ultimo lavoro, viene naturale, passando dalle parole di Claudio Brasini a quelle di Francesco Bianconi e soffermandosi in particolare sul recupero della modalità collettiva di lavorare: tutti insieme in un luogo fisico e tutto il mondo fuori.
Un modo di lavorare vecchio per certi versi, ma significativo nel momento che con le nuove tecnologie si perdono tutti i benefici del lavoro “spalla a spalla”. Non è un caso che chiaramente, e non solo a parole, ci si rifaccia ai concept album in odore di progressive degli anni settanta e in particolare a De Andrè. Il filo conduttore del disco, come si è ormai capito, è il tempo con tutti i suoi fantasmi anche musicali. Infiniti sono i richiami: da Dario Argento con la copertina dai capelli rossi, alle arie italiote, sino al compositore Olivier Messaien.
La chiusura molto bella conduce a un’ennesima lucida e lungimirante analisi. Bianconi mette il dito nella piaga in modo da esortare i suoi colleghi, e forse il pubblico, a condividere la sua scelta: riappropriarsi da italiano della nostra cultura, quella che noi abbiamo inventato, gli altri ci invidiano e in parte hanno rielaborato rivendendosela. A metà tra il citazionismo rispettoso e la scopiazzatura più becera, inalzandola a nuova tendenza. Nel cinema l’esempio è Tarantino con gli spaghetti western o le musiche di Sergio Leone. Ma i Baustelle sembra proprio che non abbiano alcuna intenzione di lasciare ad altri, ancora per molto, il diritto dovere di sventolare le nostre bandiere con fare auto celebrativo. I fantasmi sono gravidi d’idee sia quelli buoni, sia quelli cattivi.
Visto il periodo non poteva mancare una battuta su Sanremo. Semplice e perentoria: gli diamo troppa importanza … come alla morte! Ah dimenticavo. Se tutto questo fosse anche retorica, una cosa è certa: vale comunque la pena di andare a vedere l’uomo negli occhi, prima dell’artista.
Foto di: Fabrizio PUCCI