Baustelle Fantasma
2013 - Warner / Atlantic
Con Fantasma, primo album dichiaratamente “concept” dei Baustelle, la penna del Bianconi s'è concentrata sul tema del trascorrere del tempo, quindi della vita e dell'amore. Parla di santità, della Bibbia, della Chiesa, del cielo e dell'inferno, della temporaneità e della morte (parola-tabù che a scorrere i testi appare non meno di una dozzina di volte). In più i suoni scaturiti non sono mai stati tanti (un’orchestra sinfonica di 60 elementi a dar manforte), tanto variegati e complessi, rappresentando una novità e al contempo uno stacco dai lavori passati.
Descritto così parrebbe un'opera ostica, quasi ostile, tutt’al più affascinante. A conti fatti l'unica osticità è data da qualche orpello – come la coda conclusiva di Diorama o gli inframezzi musicali tra un brano e l’altro – che acquistano un senso compiuto e logico soltanto con l’andare degli ascolti.
Più nel dettaglio: L’estinzione della razza umana, in ricordo di Noi non ci saremo di Francesco Guccini, apre lo scenario sul mondo post scomparsa di noialtri e, a dispetto del titolo e del tema, si fa sbarazzina e cantabile, quasi allegra. Radioattività è una ballata, cantata dalla voce ghiaccio-bollente di Rachele che accende luci e speranze dopo il tunnel d’empatia spettrale evocato nell’album: “Bisogna avere fede. Navigare nello spazio siderale. Presupporre l’aldilà”. Il futuro, malinconica e nostalgica, è forse il brano più scarno, essenziale: inizia con un arpeggio di chitarra acustica, organo, basso e mano a mano che avanzano le liriche s’innestano nuovi strumenti, dall’armonica a bocca al woodblocks per un finale in crescendo che mette i brividi.
Il finale della temporalità è il pezzo più commovente. Francesco s’immedesima nell'organista cattolico Olivier Messiaen e prendendo spunto dalla composizione Quatuor pour la fin du Temps dipinge un momento di ricongiunzione fra due amanti che dalla tragedia di un campo nazista si protrae all'eternità.
Per registrare Fantasma Francesco Bianconi, Rachele Bastreghi e Claudio Brasini, con la decisiva complicità del poliedrico Enrico Gabrielli, sono tornati in terra natia – sfruttando le possibilità date dall’imponente e misteriosa fortezza che domina Montepulciano – assumendosi la responsabilità e gli onori della produzione artistica.
Ciononostante è forse il disco meno legato all’ambiente d’origine e alla provincia in generale, almeno per quanto riguarda i testi che spesso prendono in considerazione grandi città come, e soprattutto, Milano (Le antenne di Segrate di Maya colpisce ancora, Monumentale…), poi Roma (un marciapiede del Pigneto come teatro di vicissitudini passate, Conta l’inverni dove i Baustelle sembrano gli Ardecore, ma anche un po’ Pasolini, e si cementano in una ballad noir-capitolina dal sapore agrodolce). Poi ci sono le strade di Bologna (attraversate in Cristina), ma anche Parigi e Los Angeles evocate in La morte (non esiste più), poi Londra, Mosca…
Insomma, si tratta di un album che parte dall’Italia e attraversa il globo, come a dire che lo scorrere delle lancette è un fattore che accomuna tutti, indistintamente.
Complesso, imponente. Strabiliante.