Aa.vv. Reinciampando - atto primo
2014 - Interbeat Records/Protosound/Polyproject
Anche perché proprio come Charles Bukowsky, Piero Ciampi non fingeva: per esempio lui era una "mosca da bar". Di quelle testarde, ferite, impazzite, maleducate, fastidiosissime, come se non bastasse. Di quelle che affondano nei bicchieri per tenersi a galla. Alle spalle, quasi sempre, un amore svaporato troppo in fretta, più o meno come i soldi in tasca. Vita, notte, cicatrici tra i bassifondi di città. Roba buona per scriverci canzoni. Come quelle che ha scritto Ciampi e che qualcuno ha chiamato poesie. Ciampi che è stato troppe anime in una sola: il livornese maledetto, l’italiano a Parigi, il tiratardi, l’inaffidabile, il piantagrane, il difficile, lo spettinato, il beone, l’incompreso. Sei dischi appena e un numero sostanzioso di pezzi oscuri, le tracce che si è lasciato dietro. Quelle, soprattutto, del suo periodo più tormentato: Tu no, L’amore è tutto qui, Sporca estate. E ancora quelle di qualche anno dopo: Io e te Maria, Il lavoro.
Ha vissuto in fretta e in fretta se ne andato, Piero Ciampi. Qualcuno dice che succeda ai prediletti dal cielo, ma succede anche a chi ci dà dentro con alcol e sigarette, e dunque non c'è troppo da crederci a questa storia qua dei belli e dannati di talento che se ne salgono dritti tra le braccia del Dio dei Capricci. Per rimanere coi piedi a terra andrebbe detto piuttosto che il corollario dei pretesti della sua rimozione discografica si declinano facilmente: stanno nella scomodità dei versi, nelle parole che ha detto/scritto/cantato/sputato. Nel suo essersi mantenuto artisticamente lucido nonostante tutto il bere, il bestemmiare, il soffrire troppo, il sentirsi fuori luogo, incompreso. Nonostante il suo avercela col mondo intero.
Essere sempre e comunque contro, spaventava e spaventa. Un merito di questa antologia di gruppo è dunque quello del recupero senza risparmio della memoria scomoda, del ricordo fuori tempo massimo ma sacrosanto di un cantapoeta irregimentato. Che poi Gino Paoli (Tu no) riesca a restituire da gigante e Massimo Bizarri da Massimo Bizarri (Un modo c’è) importa fino a un certo punto. I tempi sono cambiati come cambiano i tempi, in modo quasi sempre irrimediabile, e dato il sotto vuoto spinto discografico attuale le 26 escursioni live di Reinciampando vanno salutate in ogni caso con sventolio di bandiere (anarchiche). Come un’occasione importante, cartina di tornasole del lavoro di recupero ciampiano patrocinato da Giuseppe De Grassi e come diario di un tributo-concerto romano del '90, al Teatro Argentina. Oltre ai già citati Dalla, Paoli, e Nada, mi sono piaciuti anche Ernesto Bassignano (Sentirti dire), Rossana Casale (Bambino mio), Francesco Baccini (Don Chisciotte) e Marco Ongaro (Il vino). In attesa (più che legittima) dell’uscita di un atto secondo.