Ci sono dei momenti della vita in cui è necessario fare ordine e selezionare, altri in cui bisogna sciorinare e raccogliere sensazioni come perle colorate sulla sabbia, da osservare nei loro riflessi perlescenti per farne collezione e matrice di pensieri.
Ebbene, i Perturbazione hanno scelto questa seconda strada: hanno racchiuso due anni e mezzo circa di sperimentazione libera, il lavoro collettivo su mille spunti di ogni indispensabile componente, e una vita di ascolti eterogenei nell’album più sorprendente e vitale della loro carriera. In una congerie di riflessioni e mood musicali differenti, hanno lasciato che ogni ascoltatore potesse ritrovare il colore o l’ora della sua mente, da masterizzare su quel cd-r incluso nella confezione e simbolo dell’inizio della fine per la musica, o dell’inizio di un’altra concezione della stessa, oltre lo stesso concetto, forse limitante, dell’album. Il disco spalanca uno scrigno di 24 canzoni, scandite come 24 ore ´del nostro tempo rubato´; anzi, ha letteralmente impacchettato nella scatola di cartone di un trasloco il tempo passato e quello perso, il tempo ormai giunto di non aspettare più e il tempo ricordato, la fatica e lo spreco del tempo in vite solo apparentemente diverse, il tempo fermato dalla morte e quello interrotto nell’estasi del sesso, il tempo banale del trantran quotidiano e il tempo speciale trascorso sulla/nella pelle dell’amata. E per riordinare una realtà per oggetti, sigle e simboli non ci sono ´istruzioni per l’uso´: ´ora quel che conta si conta da sé´.
Così in una splendida anarchia di immagini e sentimenti, che affiorano da sé ed emergono in sé e per sé come nel fluire del reale e nella composizione libera del progetto, troviamo di tutto. Ci sono la riflessione sulla solitudine adolescenziale per fiati e cori (ftr. Dente) di ´Mondo tempesta´, e i ritmi quasi parodicamente latini di ´Promozionale´ (in rima con ´anestesia totale´), incentrata sull’insensatezza ruffiana dei tormentoni, ma con la pensosità lieve e ´agrodolce´ tipicamente ´Perturbazione´. Ci sono i temi politico-sociali dei brani di Gigi Giancursi, dal singolo ´Mao Zeitung´ sulla competizione di ´chi non se lo merita´ con ´chi non sa nemmeno cosa sia domenica´, tra chitarre struggenti e violoncello piegato a cadenze orientali, ai fiati jazzati dell’ironica ´La fuga dei cervelli´ (con la voce straniata di Deian). O ancora dalla volutamente spoglia, scarna, amara ´Io sono vivo, voi siete morti´ (con Giancursi anche alla voce, quasi bersaniana), sull’illusione di un’ormai finta partecipazione sociale, alla delusione de ´L’Italia ritagliata´ (´residuo di qualcuno che dovevi un giorno essere´), violentemente scossa dalle chitarre elettriche. Dagli spunti musicali di Cristiano Lo Mele vengono a galla alcuni dei brani più originali del disco, come l’hardcore-folk della nauseata ´Vomito!´, con tanto di chitarre acustiche elettrizzate da Fabio Magistrali, richiamato dai tempi di ´In Circolo´ alla produzione artistica, o l’elettronica presente nell’album, vaporosa a compenetrarsi con gli archi in ´Partire davvero´, o presente in lievi vertigini tra le fonde spire di basso nella turgida ´Cimiterotica´. Da un’idea di Cristiano nasce anche la splendida serenata di stilizzato splendore, classico-minimale, ´Il palombaro´, con il theremin a far tremare l’aria; mentre il sole si fa alto, infatti, i suoni si asciugano in un’essenzialità acustica, come nella filastrocca d’origine giancursiana ´Esemplare´, laddove al calar della sera gli stessi accoglieranno anche vibrati di santur con i fremiti imperiosi di violoncello ne ´La cura del sonno´. La mattina passa per il solare, dolceamaro caffè di ´Buongiorno buonafortuna´, concluso dalla voce di Dente, mentre l’avvicinarsi della notte porterà il dream-pop cantautorale à la Lisa Germano, con piano lontano, di Elena Diana in ´Musica leggera´. Ma nelle 24 ore c’è tempo anche per il capolavoro ´Primo´, in cui ritroviamo le tipiche immagini dei Perturbazione a giocare sul filo in bilico tra lettera e metafora con impareggiabile potenza evocativa cinematografica, così come c’è spazio per il divertissement ´La canzone del gufo´, o per la malinconia in riff ed e-bow e le fascinose sinuosità slide di ´Niente eroi´, tra realtà e reality che offrono immotivata popolarità.
Nei 71 minuti del disco Cerasuolo dal canto suo regala versi di nitido intimismo imbevuto di verità, ma anche e soprattutto alcune delle interpretazioni più sorprendenti della sua carriera, sfoderando un piglio sicuro, quasi ´intraprendente´ in più di un brano (da ´Vomito!´ alla seducente licenziosità quasi ´blasfema´ di ´Cimiterotica´).
Quest’antologia di perle che sembrano singoli di dischi mai pubblicati si chiude con il bilancio dell’elegante ´Last minute´, prima di sfumare negli archi sontuosamente drammatici dei ´Titoli di coda´, che si fanno montaggio di frammenti del disco con effetto magone, perché sono, come in definitiva il disco, compendio di un tempo. E il tempo passato non torna. Però per fortuna è possibile recuperare in qualche modo il tempo rubato e strappare ancora minuti al futuro seguendo le istruzioni della voce-guida finale della traccia, per poi scegliere all’infinito di ripremere il tasto ´play´.