Perturbazione Canzoni allo specchio
2005 - Mescal / Sony Music
E i Perturbazione sono uno di quei pochi gruppi che incarnano questo ideale modello: è una sensibilità che si accompagna ad un lieve riserbo, ad un senso del gusto che predilige le piccole cose. Per quanto la si possa coltivare, è questa una caratteristica di natura. I Perturbazione ce l’hanno e ne hanno fatto il loro marchio di fabbrica.
Sono cresciuti con questa dote, se la sono portata dentro anche quando la fortuna non era dalla loro, e se la tengono stretta, anche ora che sono passati alla Mescal e che godono della considerazione dei media, MTV compresa.
“Canzoni allo specchio” è già dal titolo simbolo di questo sguardo lieve e virtuoso.
Niente di nuovo, ad un primo ascolto: Tommaso e compagni non si sono snaturati, non potevano e non dovevano farlo. Tutto rientra in una semplice logica umana, dagli ospiti, che sono degli amici (Rachele Bastreghi e Francesco Bianconi dei Baustelle, Jukka dei Giardini di Mirò), al produttore (Paolo Benvegnù) fino al colore granata che fa da sfondo all’artwork: ogni particolare rivela una passione delicata e profonda per la vita.
Quanti già conoscono i Perturbazione, non avranno nulla da scoprire, ma molto da riconoscere: l’equilibrio è stato raggiunto con il precedente “In circolo” e ora si avanza su quel filo, cosa non facile.
Qualcuno li scoprirà adesso ed è un bene, ma loro è da anni che praticano a buoni livelli, come una provinciale che arriva piano piano a misurarsi con le grandi.
Quella dei Perturbazione è una gioco talmente sottile, che continua a farli sembrare una squadra di ragazzi appena usciti dall’adolescenza, anche ora che si guardano indietro come degli uomini maturi: le loro canzoni sono giovani e adulte, ti fanno sorridere con poco e pensare a molto.
Tutto il disco è pervaso da questo sguardo riflessivo: già l’iniziale “Dieci anni dopo” è un stimolo sul passare del tempo, su un vissuto che non si lascia afferrare, oltre che sulla storia stessa del gruppo.
È un guardarsi allo specchio di chi si ferma e vede la propria immagine appena fuori dalla realtà, in una dimensione a parte, in cui i sentimenti, il riso e il dolore sono più leggeri: così la forza del disgusto umano viene sollevata mirabilmente in “Animalia”, il rancore perde il suo peso in “La fine di qualcosa” e l’essere diversi diventa una virtù sopportabile in “Il materiale e l’mmaginario”.
Inevitabile che l’amore sia giovanile, quasi frivolo, in “Se mi scrivi”, ma dietro c’è sempre una coscienza che osserva la capacità umana di dialogare e di comunicare e non se ne rallegra: ci sono canzoni in cui la malinconia si fa mestizia, in cui la musica si piega su se stessa. Tra queste spiccano “A luce spenta” e “Quattro gocce di blu”, anche se non sempre lo specchio offre quello che vorremmo: qualcosa si incrina, una crepa percorre l’immagine da un lato all’altro della cornice.
Eppure ogni canzone rimane un quadretto di vita. Che emoziona. Che commuove.