John Zorn Nova Express
2011 - Tzadik
Allo spezzettato rimo della scrittura di Burrougs John Zorn contrappone una serie di elaborate partiture in cui il quartetto (formato da: John Medeski – piano; Kenny Wollesen – vibrafono; Trevor Dunn - Basso; Joey Baron - Batteria) si trova a proprio agio nei repentini stop and go dei temi e delle parti improvvisate. Il suono è quello di un doppio duo con sezione ritmica (Baron/Dunn) e armonica (Wollesen/Medeski) che si muovono spesso in parallelo, con sincronie e scambi strumentali tra i migliori ascoltabili da sempre, ma con in più una stratificazione sonora che rende il suono del quartetto quasi orchestrale.
Si parte con le feroci ombre free di Chemical Garden in cui il tema ritmico viene espresso più volte in infinite varianti che riguardano soprattutto il modo con cui il gruppo accompagna il solo e con squarci di magma sonoro prima dell’ultima ripresa del tema. La successiva Port Of Sants cambia i riferimenti sonori aprendosi a tempi meno frenetici e a una partitura solo apparentemente meno inquieta in cui le libertà dei soli di piano e vibrafono vengono sostenute e amplificate dagli strumenti che rimangono in secondo piano. Rain Flowers, a fronte di un’intro frenetica in 4/4, dapprima si apre ad un ostinato in 6/4 di grande effetto ed intensità per poi rallentare e cambiare ancora tempo a favore di una intensa e struggente coda strumentale; The Outer Half si sviluppa su atmosfere quasi romantiche in cui spicca l’intensità dei musicisti, con uno splendido e morbido solo di Baron. Più vicina a partiture di musica contemporanea Dead Fingers Talk è inquieta e sarei curioso di ascoltarla senza Baron o nelle mani della coppia Feldman/Courvoisier. Con The Ticket That Exploded siamo nel tipico magma sonoro zorniano. I musicisti si inseguono e sovrappongono, guidati dal loro conductor, tra improvvisi cambi di tempo e di atmosfere con una docilità creativa che lascia ammirati!
Blue Veil si muove tra inquietudini, straordinari lirismi costruiti dagli intrecci piano vibrafono e una coda più nervosa. Lc2118, come prima Dead Finger, si muove invece su territori di ricercata atonalità con una parte centrale più vicina al free. C’è tempo per la breve e inquieta Last Words prima di arrivare a uno dei gioielli più luminosi del songbook zorniano: Between Two World omaggio lirico e pacificato costruito su uno dei temi semplici che tanto piacciono a Zorn e che danno la possibilità ai suoi strumentisti di indagare con morbidezza e sensibilità ogni angolo del tema tra sospensioni lievi e dolce cullare ritmico.
È questo brano l’unico in cui la mano di Zorn sembra non avvertirsi se non in termini di composizione. Nel restanti titoli è evidente la presenza del leader come conductor creativo, come presenza importante che focalizza l’esecuzione e ne amplifica l’intensità e forza comunicativa.
Insomma uno tra i migliori Zorn di sempre, complesso e a tratti ostico ma sempre leggibile grazie ad un pulsare ritmico inesorabile e con un finale spiazzante che si ascolta con piacere più e più volte!