John Zorn ama esplorare il limite, lo stimola. Da sempre il suo lavoro compositivo è nelle molteplici dimensioni del limite. Del limite inteso come vincolo e possibilità di esplorazione totale da un “punto A” ad un “punto B”. O meglio, come insegna l’epistemologia sistemica, un vincolo che ti permetta di esplorare tutto quello che si può rimanendo ben ancorato al limite e traendone forza. Insomma sto divagando ma in questo caso il limite è stato, per una volta, dato da altri. All’ultimo minuto il sassofonista newyorkese è stato chiamato a costruire una colonna sonora per una bizzarra e nera commedia olandese in origine affidata a
Van Dyke Parks. Dopo aver esplorato la possibilità di lavorare solo su un sound design fatto di rumori di fogli, macchine da scrivere, pennarelli, battiti e vento Zorn dapprima si orienta verso un lavoro per piano solo, sulla falsariga del
Coppoliano La Conversazione (1974), quindi opta per un classico trio Jazz. Chiamati i fidi
Rob Burger (probabilmente il più interessante pianista degli ultimi anni a cavallo tra jazz, rock, pop alla guida dell’
Alhambra Trio e con
Iron & Wine, Laurie Anderson, Analis Mitchell, Lucinda Williams e innumerevoli altri),
Trevor Dunn al basso e
Kenny Wollesen (batteria e vibrafono)
Zorn, in questo disco solo alla composizione e direzione, nelle poche ore di una domenica piovosa ha cavato dal suo cappello compositivo una serie di temi orecchiabili e di grande effetto i cui riferimenti ideali vanno da
Glass (
Our In-House Dostoevsky) a
Debussy (per non parlare della citazione di
One Note Samba in
Denouement). Il bianco e nero del film ha poi accentuato alcuni “omaggi” italiani a
Rota (
Fyodor and Annabel) e Morricone (
Moral and Immoral).
Ma al di la di queste sterili congetture, in questo ventiquattresimo
FilmWork, Zorn ci consegna, ma attenzione è una realizzazione del 2010, un album che, pur non essendo un capolavoro, è gradevolissimo e suonato da musicisti in stato di grazia assoluta: Le sessioni di registrazione sembra abbiano richiesto quasi sempre una sola take per brano, con Zorn a dare semplici indicazioni iniziali. E come si sente questa freschezza, iniziando dall´apertura in solitario della title track da parte di Rob Burger!
Questo
The Nobel Prize Winner è leggero, capace di sospensioni come di beat anni ’60 (
Annarel), pieno di spunti che danno vita e interesse a composizioni buone per ogni momento della giornata e della vita.