In Search Of The Miraculous<small></small>
Derive • Suoni

John Zorn In Search Of The Miraculous

2010 - Tzadik

07/03/2011 di Paolo Ronchetti

#John Zorn#Derive#Suoni

John Zorn torna sempre sulla scena del delitto. Possiamo dire che è proprio il suo appropriarsi continuamente della stessa, o meglio, “delle stesse” scene del delitto che lo fa diventare quello che è. In tutti i suoi songbook c’é un’ispirazione ad un modello predefinito e un lavoro ossessivo e certosino nello svilupparlo. Dalle composizioni brevi con i Naked City ai Game Pieces, dalle composizioni per il Masada Quartet a quelle per il Masada Book Of Angels è sempre un riesplorare e ripercorrere un modello sino al suo esaurirsi ed a trovarne altri.

A questo “mestiere” artigianale Zorn aggiunge una cura della performance, sua e dei “suoi” musicisti che è sempre nella direzione della ricerca di una grande intensità esecutiva. In questi spazi tra composizione ed esecuzione sta secondo me il suo lavoro e la sua grandezza.  
Il modello di questo disco ha le sue origini in quelli editi intorno al 2002 ed in particolare nello splendido Invitation To Suicide (Filmworks XIII) in cui per la prima volta un certo suono minimalista di derivazione glassiana faceva la sua piena comparsa. Il suono di questo In Search Of The Miraculous trova, come spesso in Zorn, una formazione di riferimento. In questo caso l’Alhambra Trio formato da Ben  Perowsky alla batteria, Greg Cohen al contrabbasso e Rob Burger al piano ai quali si aggiungono, in queste registrazioni di fine 2009, Kenny Wollesen al vibrafono e il basso elettrico di Shanir Ezra Blumenkranz.

Rispetto al precedente Alhambra Love Songs qui il suono è più “spirituale”.  Ciò avviene un po’ per il materiale compositivo tutto dedicato alle pratiche esoteriche legate alla magia bianca, a rituali, miti tradizionali e antiche leggende, e un po’ per l’ingresso di Wollesen al vibrafono. Ecco, come gusto personale, la ricerca da parte di Zorn di quello stereotipo sonoro da parte di Wollesen è una delle poche pietre al collo della sua produzione, rari casi esclusi. In questo disco, bello e godibile per tutte le orecchie, ciò avviene solo in parte grazie al lavoro prezioso di Rob Burger che con intensità cesella note e dinamiche in modo unico.

Il cuore di queste composizioni è l’incredibile The Magus posta a metà album. Il tempo composto e l’andatura ipnotica lasciano spazio dapprima ad un tempo in quattro e, quindi, a una parte solistica in tre in cui Wollesen, Burger e Perowsky si alternano preziosi. Il ritorno ad un tempo composto lascia spazio ad una splendida coda affidata a Burger.

In alcuni momenti, come nella seconda traccia Sacred Dance (Invocation) la composizione richiama in modo eccessivo quelle di Invitation To Suicide ma è tipico dei lavori zorniani il continuo rimescolare le stesse carte in cerca di soluzioni anche solo leggermente diverse, e quante volte in questo “anche solo” sta lo spazio del capolavoro! La riproposizione di temi simili è oggi più evidente esclusivamente in quanto i brani proposti sono “più orecchiabili”! Le intricate composizioni per il Masada Quartet erano più difficili da leggere e meno semplici da paragonare, ma i dieci album del gruppo avevano richiami continui al loro interno e spesso alcune composizioni erano alquanto simili (ma nessuno, o quasi, ha mai avuto da ridire su questo). Restano da segnalare, quasi in chiusura del cd, le inedite sfumature prog di Mythic Etude.

Fra qualche anno si partirà da qui per leggere l’ennesimo, benvenuto, songbook zorniano?

Track List

  • Prelude: From A Great Temple
  • Sacred Dance (Invocation)
  • The Book of Shadows
  • Affirmation
  • The Magus
  • Hymn for a New Millennium
  • Journey of the Magicians
  • Mythic Etude
  • Postlude: Prayers and Enchantmen

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