At The Gates Of Paradise<small></small>
Jazz Blues Black • Jazz

John Zorn At The Gates Of Paradise

2011 - Tzadik

07/11/2012 di Paolo Ronchetti

#John Zorn#Jazz Blues Black#Jazz

Se le porte della percezione fossero purificate, tutto apparirebbe all'uomo come in effetti è, infinito” (W. Blake)

  Il lavoro del mistico poeta e pittore romantico inglese William Blake (1757-1827) è una delle radici ispirative di questo At The Gates Of Paradise. Ma non solo. In questo nuovo viaggio Zorn cerca riferimenti in una mistica che si rifà espressamente alle correrti gnostiche di sette cristiane dei primi secoli DC.

  Come ipotizzavo già nelle recensioni di The Goddess (Tzadik 2010) e In Search Of The Miraculous (Tzadik 2009) il suono proveniente dal trio Alhambra è diventato uno dei marchi sonori zorniani degli ultimi anni. Questo At The Gates Of Paradise non sfugge al “marchio” anche se leggo, sulle note di copertina, delle assenze di Rob Burger, sostituito da un collaboratore di lusso come John Medeski, e di Ben Perowsky, sostituito da un Maestro come Joe Baron. Non essendoci altri ospiti l’organico è quindi lo stesso di Nova Express: John Medeski (piano, organ); Kenny Wollesen (vibes); Trevor Dunn (bass); Joey Baron (drums).

  Ciò che ne scaturisce è musica romantica e meditativa, appena lavorata dal linguaggio jazzistico e con piccoli spunti medio orientali. Aggiungiamo un pizzico di minimalismo e poi facciamo lievitare con i semi della creatività zorniana capace, come sempre, di grandi alchimie. I brani si susseguono apparentemente morbidi e solari ma un ascolto più attento non tarda a ritrovare momenti di rara intensità e chiaroscuri non rassicuranti.

  Certo la confezione sonora rimanda ad una rassicurazione spirituale avvolgente e coinvolgente soprattutto grazie ad una ritmica spesso ipnotica. Tra i brani da segnalare la bella e complessa A Dream Of Nine Nights in cui il suono pianistico di Medeski conduce in un viaggio musicale straordinario che, partendo da una dolce improvvisazione, passa attraverso frammenti prog, minimalismi, e quindi fraseggi e assoli più propriamente jazz nella seconda parte del brano.

  L’apertura di The Eternals è un tipico arpeggio zorniano piano/vibrafono, lontanamente minimalista, che ben lavora sugli incastri sonori e con profondo interplay sulle aperture jazzate della seconda parte. Song Of Innocence è più riflessiva e da la possibilità, soprattutto a Trevor Dunn, di esprimersi pienamente. Light Forms è il brano più oscuro del disco. Sgocciolii sonori e piccole sospensioni si alternano al timpano di Baron che sembra richiamare lontani tuoni all’orizzonte.

  L’ipnotica Liber XV sembra essere ispirata direttamente dal quindicesimo libro della Nag Hammadi, la raccolta di libri che è la testimonianza più diretta del pensiero Gnostico. Le finali Dance of Albion e Song Of Experience alzano il ritmo: nel primo Baron e soci hanno in serbo scoppiettanti scambi strumentali soprattutto nel finale del brano; il secondo è da ascriversi invece tra le migliori pagine per quanto riguarda questo tipo di repertorio. L’incedere leggermente bossanovistico, la bellezza del tema e l’attenzione alle cesellature strumentali morbide e sicure allontanano dal rischio di una ricerca calligrafica fine a se stessa.

  Certo un lavoro profondamente diverso da quello nervoso e ispirato fatto dai nostri in Nova Express ma comunque un buon disco: mistico e pieno di una particolare forma di passione e intensità. Da segnalare, come al solito per la Tzadik, la bellissima confezione cartonata corredata da bei disegni di W. Blake.

Track List

  • Eternals
  • Song of Innocence
  • Dream of Nine Nights
  • Light Forms
  • Aeons
  • Liber XV
  • Dance of Albion
  • Song of Experience

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