John Zorn Enigmata
2011 - Tzadik
Album complesso, nonostante l’organico essenziale di solo due musicisti (Marck Ribot alle chitarre e Trevor Dunn al basso elettrico a 5 corde).
Si passa molto nervosamente, attraverso una dozzina di tracce della durata variabile tra i tre e i quasi cinque minuti, ad un’alternanza tra momenti strutturati e improvvisazione pura che è quasi intellegibile (il sottotitolo dell’opera è indicativamente 12 enignmas for electric guitar and 5-string bass). La sensazione è che, partendo da flebili tracce e indicazioni scritte, il grosso del lavoro sia stato prodotto seguendo le indicazioni e le “chiamate” zorniane. Accreditato come compositore e “conduttore” del progetto, Zorn è, per chi conosce la sua musica e la (est)etica sonora, facilmente immaginabile molto attivo durante le sessioni di registrazione, almeno quanto i musicisti.
I brani, tutti con il medesimo titolo di Enigmata, si distinguono in base ad una semplice indicazione numerica progressiva che va dunque da Enigma One a Enigma Twelve. È superfluo analizzare individualmente tutti i brani (Zorn stesso, nelle bellissime e complete note, afferma come queste siano le composizioni più astratte che abbia scritto ma non nega che al loro interno si possa (ri)trovare qualcosa: “Res ipsa loquitur, Sed quid in infernos dicit” recita in calce alle note), ma è probabilmente interessante prendere, quasi a caso, una traccia e provare ad analizzarne la struttura. Prendiamo come esempio la traccia numero 5.
Si parte con una specie di rapido riff chitarristico che diventa, quasi istantaneamente, pretesto per un vorticare di sovrapposizioni sonore dei due strumenti. Al secondo 25 la chitarra ed il basso incominciano a scambiarsi feroci e velocissimi break strumentali senza mai sovrapporsi. Siamo solo al 45esimo secondo e dopo uno stop repentino avviene una, non so quanto correttamente definibile, esposizione ritmica del tema (ad opera del basso sostenuto armonicamente dalla chitarra). Si hanno quindi una serie di soli leggermente più lunghi in cui i due musicisti si sostengono a vicenda per poi lasciare a Ribot la rielaborazione dell’idea iniziale del tema. 1.45: nuovo stop e si riparte da dove si era finito ma sempre meno frenetici. Nuovo stop a 2.15 con unisoni sicuramente comandati a bacchetta nei tempi (ma naturalmente non nelle note) da Zorn sino ai fischianti Larsen finali che terminano il brano.
Praticamente tutti i brani seguono questo tipo d’idea sonora che va dal magma alla definizione di una piccola idea ritmico/melodica da cui eventualmente ripartire con alternanze rapide di scambi strumentali velocissimi. Il tutto tra rock, classica, jazz, composizione e improvvisazione. O, come suggerisce lo stesso compositore: “passaggi atonali scritti alternati a improvvisazioni dirette dal conduttore e notazioni su passaggi noise”.
Tra queste schegge salta all’orecchio la traccia otto in cui pare scorgere, nei primi tre minuti, una vena più lirica, ancorché chiaramente “acida”.
Titolo da accreditarsi tra i più abrasivi del corpus zorniano, Enigmata mantiene comunque una sua leggibilità sonora abbastanza chiara pur rimanendo consigliato principalmente ad avventurieri sonici, agli amanti (più estremi) del compositore newyorkese (che dedica idealmente il lavoro a Schopenhauer) o a chi venera quell’incredibile macchina di suoni e idee a nome Mark Ribot.