Finalmente stringo tra le mani
“Quello che non c’è” con la sensazione un po’ malata di possedere qualcosa che altri non meritano tutti a parlare della perdita di Xabier di canzoni senza cut up senza ironia di urla che mancano tutte cose che non ci sono è vero doveroso e sacrosanto tutti lo scrivono tutti lo dicono ma questo disco degli Afterhours nasconde qualcosa che non si vede che non si afferra che forse neanche si capisce ma si sfiora si intuisce poetico emotivo molto emotivo esistenziale e duro come un libro da fermarsi ogni volta e ascoltare che non eravamo abituati con canzoni che arrivavano come sfoghi come sbotti col perché solo dopo qualcosa resta ma non ha la stessa consistenza non s’aggrappa alla materia non la stringe per poi scagliarla lontano eppure ancora la fa stridere come le unghie sul vetro e poi la bagna di lacrime incerte per lo strappo e il vuoto
“Varanasi baby” e
“Non sono immaginario” con addosso il bisogno di affermare e già è un’assenza un verso
“ho questa foto grigia / è di un bambino / con la sua pistola / cha spara dritto davanti a sé / a quello che non c’è” questa volta le parole si muovono insieme minime e tormentate seguono un percorso cercano aspettano in silenzio macerie di una casa che si fatica a riconoscere in cui si è vissuto una bellezza scolpita nella sofferenza e nella fatica parole che non si dilungano ma lasciano alla musica code strumentali violino mellotron rhodes moogerfoogers chitarra che gratta e spezzetta e devia e apre spazi magari da improvvisare parole che insinuano che chiedono un senso a questa esistenza in cui il privato è nascosto nel sociale il personale è minato dal politico
“e come può il mio amore essere limpido se / è la mia nazione che l’inquina / so come un uomo deve decidere / ma ora non so più cosa sentire” stavolta è questo rimanere a guardare a riflettere davanti alla confusione rifugio disagio cecità di rispetto come una morte essere coscienti segno dei tempi se volete ma niente effetto un sottile che a dirlo già lo si possiede e lo si perde desiderio di smaterializzare la realtà futile e falsa in cui siamo immersi
“Il mio ruolo” quasi
Nick Cave altrove sfrigolii sonori forse
Mark Lanegan e poi la voce qua e là
Jeff Buckley “non voglio ciò che hai / credi di far sognare / e la verità è che la gente sta male / non riesco a godere della tua velocità / non mi fai gioire della mia felicità” un reading con l’arte appresa di
Emidio Clementi che parte dall’infanzia l’uomo come
“My father’s house” di
Springsteen e arriva alla calma apparente al senso d’imminenza di
Tarantino indietro senza nostalgia avanti contro guerre e conformismi tutta roba che sta meglio nascosta che qualcuno vorrebbe credere che non c’è non esiste ma che logora l’anima e la lascia ad annaspare senza vie d’uscita senza nemmeno una canzone che ti fa dire
“ecco” tutto prima usciva ora è dentro potremmo dire che ad esserci ancora diversi una certezza un sollievo una boccata d’aria una domanda sono gli Afterhours finalmente un cd che osa dire che altrimenti sarebbe dura chi si accorgerebbe di quello che non c’è? Ora è qua, c’è.
Discografia:
DURING CHRISTINE’S SLEEP 1990, VOX POP
POP KILLS YOUR SOUL 1993, VOX POP
GERMI 1995, VOX POP
HAI PAURA DEL BUIO 1997, MESCAL
NON È PER SEMPRE 1999, MESCAL
SIAM TRE PICCOLI PORCELLIN 2001, MESCAL
QUELLO CHE NON C’È 2002, MESCAL