Afterhours Gioia e rivoluzione
2004 - MESCAL
Il fatto poi che gli Afterhours compaiano nel film di Guido Chiesa “Lavorare con lentezza”, recentemente presentato al Festival di Venezia, potrebbe indurre gli esponenti del partito avverso a convincersi delle loro maligne insinuazioni.
Invece la posizione degli Afterhours continua ad essere chiara e questo singolo contribuisce a renderla ancora più limpida, almeno per chi volesse davvero vederla: “Gioia e rivoluzione” rappresenta la volontà di partecipare ad una storia, che non è solo quella della canzone italiana.
I concetti di “gioia”, “rivoluzione”, “cinema” e eventualmente anche di “sinistra” suoneranno blasfemi forse a quello zoccolo duro ancora fermo ai vecchi Afterhours, ma sono perfettamente in linea con la maturazione della band, resa evidente con “Quello che non c’è”.
Basti pensare che nel film di Chiesa gli Afterhours interpretano la parte degli Area, ruolo quanto mai significativo sia dal punto di vista musicale che sociopolitico. Canzone, coscienza e storia avrebbero potuto quindi essere i sottotitoli di questo singolo: le altrettante cover presentate sono delle pietre miliari della musica italiana, quella con la M maiuscola. Dagli Area a Fabrizio De Andrè a Ivano Fossati, i pezzi già fanno parte del repertorio della band, che li ha proposti più volte dal vivo e anche già pubblicati (“La canzone di Marinella” compariva sul tributo a De Andrè).
Pur non avendo ancora visto la pellicola di Chiesa, che sarà nelle sale ad ottobre, il ruolo sembra calzare agli Afterhours: le vicinanze col progressive sono più che altro ideali, ma Agnelli e compagni sono sempre stati affini allo spirito anarchico degli anni ’70. Non stona difatti nemmeno la cover con i nostri inseriti su uno sfondo dell’epoca e, anche se Agnelli non ha la voce di Demetrio Stratos (si sapeva), il pezzo si arrampica bene in entrambe le versioni.
La cover di De Andrè è invece ormai cosa nota per come gli Afterhours sono riusciti a recuperare l’atmosfera di una delle più scure canzoni d’amore italiane, percorrendola con un arrangiamento di basso e piano insinuato da sotto la melodia e trattenendo la chitarra elettrica dallo sfregiare il pezzo.
Qualche perplessità la lascia invece l’interpretazione de “La canzone popolare” di Fossati, resa in modo più “normale”, sostituendo la fisarmonica con la chitarra e portando solo nel finale qualcosa di proprio con un breve accenno tumultuoso.
“Gioia e rivoluzione” si presenta comunque come un CDS con un peso specifico non indifferente nel cammino degli Afterhours. Soprattutto se questi dovessero continuare sulla strada della canzone e riuscire ad aggiungere tasselli importanti a quella che, volenti o nolenti, è la storia italiana.