Afterhours Ballate per piccole iene
2005 - Mescal/Sony
La band di Manuel Agnelli si è sempre aggiudicata parecchia stima nel panorama nostrano, ottenuta anche andando oltre quelle critiche frutto di un’impulsività emotiva e della voglia di non vederli cambiare mai: basta ricordare quello che si diceva circa le sterzate degli ultimi lavori (“Non è per sempre”, “Quello che non c´è”) che, col senno di poi, rimangono le loro migliori produzioni.
“Ballate per piccole iene” era atteso come un disco “nuovo” per via dell´´incontro di Agnelli con Greg Dulli, della partecipazione del nostro al mini tour con i Twilight Singers e infine della produzione a quattro mani operata nell’album: ci si aspettava che il leader dei mai troppo rimpianti Afghan Whigs desse un’impronta artistica in grado di segnare un ulteriore passo nel cammino degli Afterhours.
Invece niente di tutto ciò, perchè queste dieci canzoni cominciano proprio dove finiva “Quello che non c’è”: già con "La Sottile Linea Bianca” si ha la sensazione di una produzione che cerca e trova la “solita” matrice degli Afterhours, carica di rancore e di asperità.
Manuel Agnelli, sempre protagonista in prima persona, continua a giocare le sue carte in modo tagliente, soprattutto in fase di scrittura, consolidando una vena autorale che già si era intuita nel precedente disco e nelle uscite successive, Ep compresi.
Sin dalla traccia d’apertura, abilmente posta all’inizio, le canzoni sono uno sfogo di un disagio esistenziale che non ammette compromessi e che cerca sbocchi in un mondo artificioso e psichedelico: le chitarre e tutti gli strumenti (vintage) si muovono allo stesso modo della sensibilità tormentata dell’autore, alla ricerca di una visione che non arriva mai però a pacificare.
Si passa così da momenti più spigolosi, a volte anche velenosi (“Sangue di Giuda”), ad atmosfere rarefatte, come la ballata "Male in Polvere", con una tensione costante che è caratteristica di tutto l’album. In un suono così ruvido gli arrangiamenti godono comunque di un’accuratezza che trova la sua migliore espressione nella splendida "Ci Sono Molti Modi". Anche gli archi sono usati in maniera massiccia e perfetta, fatta eccezione per "Chissà Com´è" dove il risultato è più barocco, forse persino pacchiano: gli Afterhours dimostrano comunque di essere pienamente a loro agio, quando gli arrangiamenti corrono sotterranei e asciutti a pungolare la superficie del rock, come nella "Vedova Bianca" o in quella simil-title-track che è "Ballata per la mia piccola iena", in cui è riconoscibile l’ormai tipico tocco melodico di Agnelli.
I pezzi scorrono ora abrasivi ora avvolgenti fino allo scontro con il tepore d´emozioni di "Il Compleanno di Andrea", seguendo coordinate che sono riconducibili ai precedenti lavori, ma che allo stesso tempo rimarcano qualche sfumatura autorale ben ponderata e un maggior lavoro in fase produttiva post-registrazione.
Alla fine “Ballate per piccole iene” non è quel disco clamoroso che qualcuno si aspettava, ma proprio questa è la sua forza, cupa e ostinata, con lo sguardo basso e il volto teso a digrignare i denti. Una smorfia che speriamo non venga allentata dalla ormai prossima versione in inglese (curata dalla One Little Indian).