Afterhours Hai paura del buio? (Remastered & Reloaded)
2014 - Universal
Sì, perché Hai paura del buio? rappresenta per la storia degli Afterhours e del rock italiano un disco talmente importante, potente ed ingombrante da essere considerato da molti alla stregua di un tempio sacro ed inviolabile, o almeno lo è stato fino ad oggi, quando gli stessi sacerdoti del tempio hanno deciso di sconsacrarlo permettendo che fosse “profanato” da un nutrito stuolo di musicisti di variegata provenienza musicale.
Per onestà intellettuale credo sia necessario specificare che chi scrive ha profondamente amato quell’album, ed è uno di quelli per cui quel disco così feroce, corrosivo e tagliente ha rappresentato un icona nazionale e generazionale, sia per l’amara lucidità con cui riusciva a descrivere inquietudini e sentimenti comuni a molti, sia perché ha costituito un ideale spartiacque fra la musica italiana che era stata e quella che sarebbe stata, o almeno che avrebbe potuto essere.
Hai paura del buio? rappresenta la pietra angolare di una scena alternative rock che attraverso il talento e la fertilità di un cospicuo numero di band coraggiose e originali, in quegli anni sembrava capace di reggere il confronto con quelle più affermate a livello internazionale. Non erano infatti soltanto gli anni degli Afterhours, ma anche del magnetismo “paranoico” dei Marlene Kuntz, della trilogia chimica dei Bluvertigo, della potenza lirica ed evocativa dei Massimo Volume, del dub mediterraneo degli Almamegretta, dei Ritmo Tribale e di tanti altri.
Agli Afterhours vanno riconosciuti almeno due meriti incontestabili, di cui si parlerà in seguito, che sgomberano il campo dalle critiche più grossolane e prevenute che gli sono state rivolte per questa operazione discografica, ovvero la ruffianeria per collaborazioni così eterogenee e la voglia di autocelebrarsi.
Il primo dei meriti nasce dal fatto che non si può non considerare l’innata attitudine all’elaborazione musicale passata spesso attraverso numerose collaborazioni con moltissimi artisti nel corso della loro storia, e in secondo luogo l’atavica allergia nei confronti di qualsiasi forma di autocelebrazione dimostrata nei fatti in quasi vent’anni di attività.
Questa seconda peculiarità di Manuel Agnelli e compagni li ha portati a compiere autentiche rivoluzioni stilistiche nel corso della loro produzione discografica, senza mai adagiarsi sugli allori del successo conquistato con i primi album. Tutto ciò anche a costo di inimicarsi parte di quei fans che li seguivano come dei santoni e che non hanno compreso e accettato, almeno in parte, la svolta “cantautorale” di Quello che non c’è (2002).
La voglia di collaborare con musicisti di diversa provenienza musicale ha spinto Agnelli, una quindicina di anni or sono, ad ideare ed organizzare il Tora Tora, festival itinerante che ha dato per un lustro la possibilità a gruppi meno noti della scena indipendente di esibirsi sullo stesso palco di band ben più “visibili” e affermate, facendosi ascoltare da un pubblico che altrimenti sarebbe stato complicato raggiungere.
Fatte salve queste premesse risulta più semplice cercare di analizzare pregi e difetti della riedizione/uccisione di Hai paura del buio?.
L’elemento che emerge con maggior evidenza da suo ascolto è la perdita di quella compattezza che per certi versi ne aveva fatto quasi un concept-album, così come della costante percezione di quelle atmosfere cupe e corrosive che risultano oggi diluite e altalenanti a causa del diverso background degli artisti coinvolti nell’operazione. Ma questo era certamente inevitabile.
Hai paura del buio? reloaded raccoglie infatti episodi molto differenti fra loro, e a colpire maggiormente in positivo sono quelli nei quali gli interpreti hanno osato in maggior misura, rischiando di più e personalizzandoli quasi come fossero brani frutto della loro ispirazione.
Il lavoro potrebbe essere diviso in tre tronconi fondamentali: da una parte i brani riusciti dal punto di vista realizzativo ma non particolarmente originali nell’approccio di chi li ha eseguiti, da un’altra quelli più anonimi e banali e forse del tutto evitabili, infine quelli dall’approccio più coraggioso e intimo, che sono anche i più meritevoli di menzione.
Nel primo dei tre tronconi vi sono le interpretazioni di Mark Lanegan, che presta la voce all’esecuzione di Pelle, peraltro arrangiata in maniera asciutta ed elegante, ma nella quale, forse per effetto del cantato in italiano, forse per l’impossibilità di esibire gli splendidi bassi delle sue corde vocali, il musicista americano non sembra perfettamente a suo agio, la molto intensa Simbiosi eseguita da Der Maurer e Vasco Brondi (Le Luci della Centrale Elettrica) e Veleno in cui Nic Cester (ex Jet) dimostra di non avere alcuna difficoltà nel cimentarsi con la lingua italiana e riesce ad esaltarsi nell’interpretazione di uno dei pezzi più classici e diretti dell’album.
Alla seconda categoria appartengono la versione di Samuel Romano dei Subsonica di Voglio una pelle splendida, Rapace con i Negramaro, Sui giovani d’oggi ci scatarro su eseguita dai Ministri, le due versioni di Male di Miele di Piero Pelù e degli Afghan Whigs, e quella di 1.9.9.6 di Edoardo Bennato che risulta imbarazzante nell’introduzione rielaborata nel testo, ma molto forzata nella metrica, e scolastico e distaccato nell’esecuzione di uno dei più bei pezzi dell’intera carriera degli Afterhours.
Gli episodi più felici, come dicevamo, sono appunto quelli in cui gli artisti coinvolti hanno fatto loro il brano smontandolo pezzo per pezzo e ricostruendolo con strutture e arrangiamenti personalissimi. E’ il caso di Senza finestra di Joan as Police Woman, nella quale la cantautrice e violinista statunitense mette in mostra tutta la sua classe mista ad un’eleganza con pochi eguali, la graffiante Questo pazzo pazzo mondo di tasse di Fuzz Orchestra e Vincenzo Vasi, Elimania con i Luminal, Dea, che pur restando abbastanza fedele all’originale pare indossata come un guanto dal Teatro degli Orrori che la rendono ancora più esplosiva e “cattiva” della versione degli Afterhours, Punto G, resa molto dark e ossessiva dai Bachi da Pietra, Musicista contabile dei Marta Sui Tubi, a tratti decisamente più potente dell’originale, così come Televisione, nella quale oltre al delicato “spirito” di Robert Wyatt, Cristina Donà conferma la sua innata classe di interprete.
C’è da augurarsi che la ripubblicazione di Hai paura del buio? non sortisca l’effetto sperato da Manuel Agnelli nell’intervista citata, perché sarebbe davvero un peccato che alcune delle pietre miliari del rock italiano finissero per non essere più eseguite dal vivo dalla band lombarda. Diciamocelo francamente: ci sarà pure la voglia di togliersi dai coglioni quel “maledetto” male di miele, ma certi versi in bocca ad altri artisti risultano spesso poco credibili e perdono di senso, e a noi non resta che aspettare che il rapace torni a mutilare la nostra pace.