Marco Parente Neve ridens
2005 - Mescal / Sony
Marco Parente prosegue nel suo cammino di specchi in cui ogni immagine è sviluppo della precedente: un percorso ardito che, insieme a quello di pochi altri, sta dimostrando che la canzone italiana ha forza e idee per rinnovarsi.
È evidente quanto questo cantautore – ma ha ancora senso chiamarlo così? Il termine ormai stona addosso a questi musicisti – stia portando avanti una ricerca cosciente e complessa: già l’attacco di piano di “Wake up” è un rimando ad uno stile sospeso che proviene da “Trasparente” e da ancora più indietro, un marchio di fabbrica bisognerebbe dire, che viene sviluppato su più livelli grazie all’apporto di una band rinnovata (Asso Stefana alle chitarre e varie, Enrico Gabrielli ai fiati, pianoforte e ancora varie, Enzo Cimino alla batteria e Gionni dall’Orto al basso).
Il disco, poco più di trentaquattro minuti, è un richiamo che auspica un ritorno umanitario: esemplare è la citazione di Ingmar Bergman nel singolo “Il posto delle fragole”, uno dei pezzi portanti del lavoro, in gui gli affetti, la parola e il mondo vengono scrutati con un approccio laterale, mai frontale, tanto nei testi quanto negli arrangiamenti.
Parente ha una forma d’espressione meno melodica e più intricata rispetto alla media italiana: già i titoli e i testi giocati su accostamenti di concetti che cozzano tra loro, come “Amore o governo”, “bacio e potere”, “cibo e sorriso”, “demoni e ossa”, insinuano quanto la forza del disco stia negli attriti. A “Il posto delle fragole” e “Lampi sul petto” si contrappongono brani in qualche modo vicini alla forma ballata in cui l’interpretazione è più rarefatta, gli spigoli meno accentuati pur non perdendo il vizio di concedersi qualche sviluppo strumentale che sfiora l’avanguardia.
In “Un tempio” Parente canta “con l’anarchia dentro gli occhi e la poesia che si muove”: per quanto la sua sensibilità umana e sociale non possa essere trattenuta, la figura del cantautore politico è lontana anni luce e viene semmai inglobata in uno sguardo che fa stridere il confronto tra l’interiorità e il mondo.
È un ascolto non facile quello di “Neve ridens” soprattutto nella seconda parte, in cui non a caso si dichiara “sento che sto misurando il mare”: Parente cerca di dar forma a intuizioni di estraneità e di umanità, nel tentativo di trovare una risposta prima di tutto a sé stesso. “Io aereoporto” e “Colpo di specchio” portano avanti il tema de “La mia rivoluzione”, il senso dello stare come uomini tra la gente, lasciandolo però di nuovo incompiuto.
Il disco è poi concluso da una “Trilogia del sorriso animale: III sorriso” interrotta come un cortometraggio per un intervallo che è pausa di riflessione.
Per ora si resta con un disco aperto, da valutare in tutto il suo breve peso. La seconda parte tra qualche mese.