interviste
Marco Parente Amore terreno e pubblic-azioni
Marco Parente è tornato con un “disco in cammino”, Disco pubblico, le cui canzoni non sono state pubblicate su un cd, ma si possono ascoltare solo nei concerti, tante pubblic-azioni in cui gli spettatori possono custodire le nuove piccole meraviglie del cantautore nella loro memoria, nel loro heart-disc o su qualche supporto digitale. Si tratta di brani avvolgenti, struggenti, morbidi, con spessore cantautorale e tante sfumature diverse da cogliere tendendo le orecchie e trattenendo il fiato. Ne abbiamo parlato con l’artista. Nello speciale trovate anche alcuni video live delle nuove canzoni e la playlist delle canzoni che hanno maggiormente influenzato la vita e la musica di Marco.
C’era una volta la musica come pura esecuzione, come partitura da suonare e risuonare; poi è nato il supporto, la musica come riproduzione casalinga, dal grammofono al giradischi, dagli hi-fi potentissimi degli impianti degli anni ’80 fino a strumenti sempre più tascabili da portare con sé, dal walkman all’Ipod e al cellulare. Marco Parente non ha nessuna intenzione di tornare indietro nella storia, anzi, ha provato a fare un esperimento che faccia diventare ogni singolo smartphone, tablet, ecc. un megafono per il momento irripetibile della versione live di ogni pezzo. Il suo nuovo album, intitolato programmaticamente e appositamente Disco pubblico, non congela i brani una volta per sempre in una versione studio: non sarà un vinile, un cd, un mp3 o anche solo una traccia in streaming; non sarà mai inciso, insomma, e sarà solo suonato dal vivo con un preciso invito agli spettatori, quello a memorizzarne ogni nota nella testa, nell’ “heart-disc” o nel proprio supporto digitale e in quel caso a fare girare il più possibile la canzone. Non ci sarà insomma mai una versione ufficiale di questi pezzi, ma ce ne saranno tante quante le date live, le “pubblic-azioni”, e tante quante le registrazioni con ogni spettatore vorrà fare, catturando le atmosfere di quella serata dal proprio individuale, differente e personalissimo punto di vista.
Si passa allora dalla musica liquida alla “musica che cammina”, che sparge bellezza ad ogni tappa, sperando sedimenti il più possibile. Quest’insolita esperienza di condivisione è partita a gennaio e le nuove canzoni di Marco Parente, suonate dal “contrautore” con Andrea Allulli al piano e tastiere, Andrea Angelucci al basso, Samuele Bucelli alla batteria e Stefano Cerisoli alla chitarra, hanno intrapreso il loro percorso in rete con le pubblicazioni degli utenti con l’hashtag #discopubblico su piattaforme come YouTube, Instagram o Twitter, nella consapevolezza che “in fondo una canzone, come un quadro o un film, inizia a vivere solo se davanti ad un pubblico”. Parente ha presentato i nuovi brani con queste parole:
Si può dire che sono una continuazione di Suite Love, ma nella direzione opposta; infatti se Suite Love provava a dimostrare la tesi secondo la quale l'amore è oggettivo, in queste 10 canzoni, ci si sporca fino in fondo le mani col soggetto e i suoi legami: una coppia in una stanza e l'intelligenza messa a dura prova, il desiderio che non coincide quasi mai con il suo oggetto, i sentimenti che si azzuffano al bar sotto casa, le vite in parallelo, la realtà che imbarazza la via, l'eccesso d'amore che sfigura il paesaggio, la giungla nei cuori, infine il disgelo del caos. Insomma, il solito tran tran emotivo nel duello del quotidiano.
Parente ha invece presentato il secondo pezzo (dopo Avventura molecolare) presentato ufficialmente sul web, Ma quand'è che si ricomincia da capo?, come "un piccolo racconto esistenziale realmente accaduto non dimostrabile, che trova nella forma canzone il suo vestito definitivo – D'altronde si sa la musica è un toccasana per le parole. Tutte le 10 canzoni di questo disco hanno delle madri più o meno riconoscibili, che proverò, svelandole, a ringraziare disco facendo. Per esempio 'Ma quand'è che si ricomincia da capo?' fin dall'incipit musicale mi ha sempre fatto pensare alle prime volte che ascoltavo (a loop) 'Chelsea Hotel' di Leonard Cohen. Mi sembrava un modo così intenso e spietato di descrivere un'emozione, che mi son ripromesso di provarci anch'io un giorno. Questi i vantaggi di un 'Classico': plagiarne le forme... gratis."
Abbiamo cominciato a farci un’idea di queste nuove canzoni grazie ai primi video: Ma quand’è che si ricomincia da capo ha una grazia minimale, cinematica e quasi surreale, tra chitarre acustiche e…vagiti. C’è qualcosa di sognante e accorato, invece, ma anche di inebriante e sensuale in Combaciare, che abbiamo ascoltato in duetto con Serena Altavilla (che abbiamo potuto apprezzare nei Baby Blue, nei Blue Willa e nei Solki, oltre che in importanti collaborazioni come quelle con i Mariposa o i Calibro 35).
In questi nuovi pezzi si direbbe che ci siano sonorità morbide e cangianti, oniriche e struggenti, arpeggi radioheadiani, ritmiche avvolgenti, o crescono come maree elettroacustiche maestose, istantanee interiori di sentimenti, bisogni e desideri; appaiono per ora piccole meraviglie che come sempre si fanno ascoltare quasi trattenendo il fiato, a maggior ragione ora che è necessario spalancare orecchie e cuore per inseguirne ogni evoluzione e sfumatura nei filmati live. Un progetto del genere allena all’attenzione e alla concentrazione, ad evitare qualsiasi tentazione deleteria a concepire la musica come mero sottofondo e a protendersi mente ed emozioni a coglierne e custodirne ogni prezioso valore. Centrali ancora una volta (o ancor più del solito?) i testi, dal grande spessore cantautorale (e talora con metriche quasi degregoriane), interpretati dalla fluidità magnifica dalle note più basse agli acuti più vertiginosi, non senza farsi materica nel conficcarti aghi nella pelle per la sua intensità pensosa e trascinante, talora quasi persino sofferta.
Queste le prossime pubblic-azioni:
24/02/16 Tambourine - Seregno (Mb)
25/02/16 Il Fico - Cremona
05/03/16 Glue – Firenze
12/03/16 Bar Chupito – Perugia
20/03/16 Freakout – Bologna
08/04/16 Lago di Oz – Spinetoli (AP)
09/04/16 Palazzo A. Luzzi – Sansepolcro (AR)
06/05/16 Officina Giovani - Prato
Intanto abbiamo rivolto a Marco alcune domande sull’idea alla base di Disco pubblico, sulla fruizione della musica, sui tre movimenti di Avventura molecolare e su tanto altro ancora.
La fruizione della musica è indubbiamente cambiata: il supporto sta perdendo importanza (per quanto esista per i collezionisti anche un ritorno al vinile), l’ascolto è diventato più veloce e mediato dalla rete, ma i live restano un’occasione essenziale di “incontro” con la musica. E sono irripetibili, eppure documentabili in mille modi e da mille punti di vista…Siamo nell’era dell’infinita riproducibilità tecnica persino di quanto dovrebbe essere unico come una singola esibizione?
L'esibizione rimane unica perché ogni volta, nonostante la partitura sia sempre la stessa, è soggetta a troppe variabili del caso: lo spazio e relativo suono, l'accoglienza delle persone, le persone e l'umore della giornata che si portano dietro, temperatura, luce, cibo ecc... Stessa cosa vale per i punti di vista, simili eppure unici... proprio come gli esseri umani. Di conseguenza anche le relative 'protesi digitali' finiscono per avere un'anima, unico elemento tecnicamente impossibile da riprodurre.
In questo credo consista l'unicità del rito collettivo, guardare tutti la stessa cosa, sentendo (feel) ognuno la sua.
Disco pubblico è presentato come un esperimento: com’è nata quest’idea?
È nata provando a pensare di mettere uno stuzzicadenti nell'ingranaggio della catena di montaggio e poi starsene lì, in attesa dell'imprevisto. Ma non posso farlo da solo, rischierei l'autocompiacimento, per questo ho bisogno di tutta la complicità del luogo che ci ospita e del pubblico insieme. E chissà che alla fine non se ne ricavi un utile divertimento, riacquistando l'uso della concentrazione e del gusto. L'importante è che al centro ci sia sempre l'opera, il disco, insomma la musica.
Le prime pubblic-azioni di Avventura molecolare, messe una accanto all’altra, mi fanno venire in mente il concetto della moltiplicazione dell’arte introdotto dalla pop-art, la serialità che oggi però appunto è un puro moltiplicarsi di flussi di suoni in streaming e non di copie di oggetti. Non so, il pensiero che ci si possa moltiplicare senza dividersi (ovviamente), ma anche senza una riproduzione o una produzione materiale da un lato fa un po’ impressione; dall’altro fa riflettere su come veramente ci siano tanti sguardi oggi a poter registrare (e non solo custodire nella memoria) la realtà dal loro osservatorio personale. Questo poter immortalare un’opera d’arte da angolazioni diverse, con diversa illuminazione, sensibilità, diversa attenzione (c’è chi per esempio gira video delle esibizioni live con inquadratura fissa, chi invece inquadra di volta in volta gli strumenti e le mani dei musicisti, ecc.) alla fine non è un ri-crearla in forme soggettive?
Certo, ma questo è quello che succede sempre. Ed è proprio questo l'aspetto a cui vado incontro. Ed è per questo che il supporto discografico (l'oggetto) non è che un esempio parziale dell'opera in sé. Non sai quante volte in casa, dopo aver suonato una canzone ho esclamato, “Cazzo perché non c'era nessuno a sentirmi ora, magari con un registratore in tasca!” E pensi che questa roba possa mai essere immortalata in un disco? Spesso crediamo che la tecnologia aiuti questo passaggio, io invece credo lo atrofizzi. E ci si illude se pensiamo che ricostruire modalità di registrazione “come una volta” (suonando in diretta tutti insieme in una stanza, senza usare editing digitale) restituisca freschezza e verità a un disco; è come avere 50 anni e credere che tingersi i capelli ci faccia tornare adolescenti.
Nella celeberrima opera teatrale pirandelliana Sei personaggi in cerca d’autore i personaggi non si riconoscono negli attori, quando vedono rappresentata la loro vicenda. Mentre elaboravi questo progetto delle pubblic-azioni, ti è mai venuto in mente che queste dieci canzoni in cerca di una traccia (nel ricordo, nelle registrazioni del pubblico, ecc.) potrebbero non trovarne una che ti soddisfi? Sicuramente sarà fondamentale partecipare lì e allora ai live, ma se poi il modo, le tante versioni delle registrazioni dei pezzi, in cui dovrebbero essere “tramandate” non dovesse rendere giustizia ai brani? I mezzi tecnici a disposizione degli spettatori sono spesso sofisticati, ma i musicisti sono spesso anche parecchio esigenti…
No, l'unica cosa di cui potrei pentirmi o essere insoddisfatto è la mia esecuzione e quella della band, ma questa per l'appunto dipende solo da noi, mentre il microfono delle varie protesi analogiche o digitali che siano potranno solo influire sul suono, mai sull'esecuzione.
Dopo l'esibizione a Radio Popolare ho confrontato le versioni registrate dal pubblico con i cellulari e quelle della diretta radiofonica (passata da un mixer con canali separati e varia effettistica), beh, non ho il minimo dubbio che le prime sono inesorabilmente più chiare nella comunicazione, e al momento questa è l'unica cosa che m'interessa e che gratifica il mio lavoro. Il resto sono tutte dipendenze stratificate indotte dal mercato per il mercato. Altra cosa sono quei dischi in cui il registrare in studio coincide con l'atto compositivo e le tecnologie a disposizione fungono da ispirazione. Ma per questo bisogna darsi molto tempo e tanto ce ne vuole.
Mi vengono in mente i dischi di Mark Hollis e gli ultimi due dei Talk Talk, oltre naturalmente a tutta la musica che nasce sintetica. Il primo caso purtroppo non me lo posso permettere, il secondo pur interessandomi non mi appartiene.
Certo, un tempo la musica era destinata solo all’esecuzione, non alla riproduzione a casa: si potrebbe tornare effettivamente a questo, superando proprio il concetto della ricerca di una forma definitiva per i pezzi, preferendone una “liquida” e in continua evoluzione nel tour?
Il cammino del progresso tecnologico non è in discussione.
Un tempo la musica era destinata all'esecuzione solo perché nessuno aveva trovato il modo di registrarla e questo ovviamente ne ha determinato il tipo di musica. Ma dal momento in cui abbiamo trovato il modo di riprodurla, non è che si può tornare indietro. Tra l'altro trovo che ogni scoperta tecnologica abbia prodotto i suoi buoni frutti.
Insomma, non credo che si debba scegliere tra esecuzione live e registrata, son due strade fondamentali in continua evoluzione e comunicazione tra di loro e adesso ci troviamo in quella fase delicata nella quale entrambe devono interpretare i tempi che cambiano così in fretta... ma qualcosa succederà, succede sempre qualcosa.
Hai raccontato che hai lavorato ai brani con la band per quasi un anno, in cui, tornando a casa dopo le prove, “rimettevi spesso tutto in discussione (specie le tonalità dei pezzi)” e hai precisato di farlo a volte tuttora. Come mai hai cambiato in particolare le tonalità?
Non mi ero mai posto il problema che la mia voce potesse essere più a suo agio in certe tonalità, per me questa rimaneva sempre la stessa con cui componevo la canzone e non la mettevo mai in discussione. Il primo a farmi notare la questione è stato Stefano Cerisoli, il chitarrista del gruppo, che non a caso lavora spesso con nomi della musica leggera italiana. Poi anche quando ho lavorato con Irene Grandi per Cuore Bianco, una mia canzone che ha inserito nel suo disco, la tonalità giusta è stata la prima cosa che ha cercato. Per il disco mi è servita molto questa esperienza, mi ha dato modo di sperimentare di più il registro più basso della mia voce e questo ho la sensazione che abbia giovato anche alla narrazione delle parole.
Devo dire però che ultimamente sto diventando un po' paranoico, mi viene di cambiare tonalità a seconda di come cambia la voce durante la giornata... per la gioia dei musicisti che suonano con me :)
Pensi che potresti reintervenire in corsa su qualche brano nell’arrangiamento o in qualunque altro aspetto, a seguito dell’interazione con il pubblico nei live? Normalmente si può riarrangiare un brano durante il tour, ma resta sempre la versione studio ferma e immutabile, finché non se ne registra un’altra in un altro disco; in questo caso appunto potresti avere maggiore libertà anche di ripensare qualche canzone in chiave diversa a seconda del feedback del pubblico…
Inevitabilmente il non avere una versione ufficiale di riferimento, porta a piccoli cambiamenti continui, mai strutturali però. Vedo queste canzoni quasi come partiture viventi, sì in movimento, ma comunque sempre scritte. L'idea di doverle eseguire come se leggessi mi dà sicurezza e gusto, permettendomi di concentrarmi sull'interpretazione emotiva che corre tra me, i musicisti e il pubblico. Ad ogni modo non credo sarà il feedback del pubblico a modificare le canzoni; nel caso saranno le stesse canzoni a dettare i propri cambiamenti. Un po' come l'arredamento di una stanza, gli oggetti si spostano alla ricerca del loro angolo perfetto, ma la stanza non si muove.
In Avventura molecolare si alternano tra l’altro note molto acute a note più basse: nel passaggio, come sempre, la tua voce mostra una fluidità incredibile. Come hai allenato la voce nel tempo? Cosa pensi l’abbia resa così versatile?
Non lo so, però ti ringrazio molto per queste osservazioni che prendo come un gran bel complimento. La voce è uno strumento meraviglioso, ma mi è ancora talmente oscuro. Non ne ho nessun controllo se non a livello istintivo e irrazionale.
Questo pezzo – dichiari – strutturalmente unisce tre canzoni in una, come Paranoid Android, a sua volta ispirata alla beatlesiana Happiness is a Warm Gun; l’effetto è abbastanza psichedelico. Si tratta di tre pezzi che erano effettivamente separati, o hai pensato comunque a tre movimenti in successione a mo’ di suite?
Non è nata così Avventura Molecolare e tanto meno ne ho premeditato i 3 movimenti. Credo sia stata l'idea del testo che inconsapevolmente ha suggerito e guidato le danze. In origine la coda strumentale non c'era e le strofe erano divise dal ritornello che ripetevo due volte, per cui tutto sommato era una canzone formalmente convenzionale. Poi per le ragioni che sopra ho provato a ipotizzare, Avventura Molecolare è diventata una canzone in tre tempi, tre tappe del viaggio molecolare.
Il testo recita così ad un certo punto: “ho tanto amore dentro / da sfigurarti”. L’amore, specie se compresso e bloccato, diventa pericoloso? Ammesso che l’amore non sia sempre un rischio, fosse solo per il mettersi in gioco, per l’esporsi e l’esporre, l’implodere ed esplodere dei sentimenti nelle loro manifestazioni e sfumature fisiche e psicologiche…
La frase che citi è la più importante di tutto il disco per me, però è complicato provare a tradurla, come si fa a spiegare la percezione dell'amore come flusso in piena di materia?
Nella natura questa è roba in grado di cambiare i connotati alla terra e anche all'universo...figuriamoci tra due esseri umani.
Capisco che la risposta è evasiva, ma ti assicuro che quella frase è la più concreta che abbia mai scritto.
Cosa bisogna aspettarsi musicalmente dagli altri nuovi pezzi?
Musicalmente c'è pochissima concessione all'estetica, in questo senso è un disco non prodotto, consapevolmente. Però è vero anche che ognuna di queste canzoni ha delle strane assonanze e parallelismi con brani più o meno noti della storia della musica (ovviamente non quella classica).
Come ho svelato gli altarini di Avventura Molecolare e Ma quand'è che si ricomincia da capo, così farò piano pano con tutte le altre. Sarà un modo di dire grazie alle canzoni importanti nella mia vita.
Tre aggettivi che presentino queste nuove canzoni, per intenzioni, temi, atmosfere, impatto previsto al momento, ecc.
terrene
rotonde
duali
Le 15 canzoni che hanno segnato la vita e la musica di Marco Parente (per lo speciale con video-auguri, interviste e playlist per i 15 anni di Mescalina.it http://www.mescalina.it/musica/mesca15k )
Link
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Si ringraziano Marco Parente e Luca Barachetti.